Belfort Jordan. The Wolf of Wall Street
L’autobiografia di Jordan
Belfort, The Wolf of Wall Street, ha ispirato il
film di Martin Scorsese. Leonardo DiCaprio interpreta quel medio
borghese del Queens, diventato un giovane protagonista del mondo della finanza
negli anni ’90. Così abile a truffare da renderlo miliardario a soli 26 anni.
Quei piccoli investitori ignari, ancora oggi, ne pagano le
conseguenze.
“Non c’è nobiltà nella povertà”
diceva Belfort continuamente ai suoi collaboratori fin dal 1989, quando fondò
la Stratton Oakmont, la sua agenzia di brokeraggio a Long Island, New York,
diventata un call center per avviare alcuni investimenti illeciti. Così
illeciti da costruirci sopra una vera e propria frode.
Approfittando dell’ingenuità e
dell’ignoranza, riuscì a far investire molte persone in Borsa, e così
alimentando il fatturato della sua società fino a 25 milioni di dollari a
semestre. Montagne di denaro poi dilapidate in droga, sesso e viaggi
extralusso.
E oggi come mostra il film nel
finale tiene seminari motivazionali, in cui condivide la propria
esperienza, insegnando la strategia ‘Staight Line’: una tabella di marcia per
concludere un buon affare finanziario; dal primo incontro alla chiusura del
contratto. Per la polizia Belfort potrebbe vivere in California con la sua
famiglia, mentre altri ipotizzano che sia in Australia per sfuggire alla
giustizia e al pagamento di ingenti risarcimenti al governo Usa e alle 1.513
vittime dei suoi raggiri.
La dark comedy di
Scorsese è diventata il bersaglio di una polemica, perché accusata di celebrare
le gesta di Belfort quasi fosse un eroe.
Scorsese ha risposto alle
varie accuse con un comunicato ufficiale, scrivendo: “C’è un tizio di cui vi
fidate che vi ruba tutto quello che avete: se non si parla di queste cose,
queste cose continueranno ad accadere”.
“Il film è l’ennesimo tentativo maldestro di
rendere simpatico e divertente un mondo di banditi. Ed è ancora più grave farlo
in questo momento in cui il Paese si sta riprendendo a fatica da altri inganni
di Wall Street. Ma che modello culturale rappresentate? State dalla sua parte,
consacrate l’ossessione paranoica per i soldi”.
Il debito di Belfort ammonterebbe
a circa 120 milioni di dollari, anche se lui ha dichiarato
pubblicamente dalla sua pagina Facebook, che il governo degli Stati Uniti si
sta prendendo il 100% dei suoi profitti attuali, derivanti dalla vendita del
libro e dai diritti del film. Il risentimento e la sete di giustizia
delle numerose vittime appare comprensibile, ma la leggenda che “il cinema
rende bello il male” può considerarsi tale. Come ritiene lo stesso procuratore
Joel Cohen che inchiodò il Lupo di Wall Street: “L’arte ha il diritto di
esprimersi e prendersi licenze, ma appunto deve essere chiaro che è tutta
finzione.” ilfattoquotidiano.it/2014/02/07.
I meccanismi adottati dalla
Stratton Oakmont per fare soldi erano di diverso tipo, ma con alla base un’idea
comune. In pratica Belfort e altri suoi soci compravano azioni di una società,
rivendendole poi in massa a una serie di investitori poco informati o male
informati da loro. In questo modo il valore delle azioni aumentava repentinamente
garantendo un buon ricavo per la Stratton Oakmont grazie alle commissioni sulle
vendite azionarie. Dopo poco tempo le azioni si sgonfiavano, con una
inevitabile perdita per gli investitori convinti da Belfort e i suoi a
comprare.
Grazie a questo sistema Stratton
Oakmont si espanse rapidamente, assumendo centinaia di nuovi impiegati. Nel
momento di massimo successo aveva circa mille dipendenti, quasi tutti impegnati
sul fronte delle vendite. Il film racconta efficacemente la crescita della società
da un capannone a una sede più consona, con un grande open space.
In diverse scene del film Belfort
sale su un piccolo palco montato nella sede della società e, microfono alla
mano, tiene discorsi decisamente sopra le righe per celebrare e motivare i suoi
dipendenti. Anche nella realtà il broker teneva spesso discorsi motivazionali,
ma erano molto più autocelebrativi rispetto al film.
Finiti gli interventi di Belfort,
si tenevano spesso feste sfrenate per i risultati economici ottenuti dalla
Stratton Oakmont. Scorsese rende bene quei momenti, con musica, alcolici,
droghe e trovate che sono state al centro delle accuse di scarsa moralità del
film nelle ultime settimane.
Una delle scene di festa più
discusse è quella in cui una impiegata accetta di farsi tagliare a zero i
capelli davanti agli altri colleghi, ricevendo in cambio diecimila dollari per
rifarsi il seno. L’episodio è
raccontato nel libro di Belfort ed è stato confermato da Porush,
dicendo che fu probabilmente la cosa peggiore che fecero durante le feste.
All’inizio del film Belfort e un
collega lanciano verso un bersaglio un nano, con casco e occhiali da pilota,
per giocare a tiro a segno. In realtà, stando a come l’hanno sempre raccontata
Belfort e il suo socio Porush, questa particolare disciplina sportiva non fu
mai sperimentata.
La società assunse comunque
alcuni nani per almeno una festa e in effetti in una riunione fu discussa la
possibilità di usarli come proiettili umani, ma non si passò mai ai fatti. ilpost.it/2014/02/14.
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