Ceta. Distrutta la
domanda interna le imprese cercano sbocchi all’estero. L’Italia paese di serie B?
E’ arrivato il CETA, ma
non ditelo in giro. Il governo ha approvato il disegno di legge per la sua
ratifica ed attuazione, ossia per l’accordo economico e commerciale tra
l’Unione europea e il Canada. Ma piano – per favore! – non
strillatelo. Eh già, perché il temuto trattato, firmato lo scorso 30
ottobre2016 a Bruxelles e ratificato dal parlamento europeo questo febbraio sta
per approdare al parlamento italiano per seguire l’iter legislativo ed essere
votato. Chi lo dice? Il consiglio dei ministri che si è riunito mercoledì sera
in fretta e furia e senza neanche un minuto di preavviso; quel cdm di cui i
rappresentanti solitamente si affrettano a propagandare i risultati e per il
quale invece non è stata convocata neanche l’ombra di una conferenza stampa. E
come mai, c’è da chiedersi, neanche il più ridicolo e scarso dei
media (provare per credere? Fatevi un giro su google) ha dato questa
notizia di epocale importanza? Perché è meglio farlo passare in sordina, o
perché forse questo “gran valore” economico non lo ha? Per entrambi i
motivi. Quanto alle “potenzialità” di esportazione la nostra bella Penisola, da
sempre caratterizzata da una grande vocazione all’export, già da tempo ha
incrementato la vendita dei propri beni all’estero. Siamo più competitivi?
Facciamo cose migliori? Ne più ne meno come prima, semplicemente gli
italiani non hanno più una lira (i consumi domestici sono drasticamente
calati, grazie a politiche iniziate da Mario Monti che in una celebre
intervista ammise di “distruggere la domanda interna”) e quindi le imprese
(quelle che non hanno chiuso) si sono arrangiante puntando ancor più sui
mercati forestieri; solo pochi giorni fa l’Istat ha registrato nei suoi dati
la “morte” della classe media italiana. Nel frattempo, visto che le
merci di qualità come quelle nostrane non ce le possiamo permettere, nei nostri
negozi arrivano tonnellate di merce a basso costo ma di pessima qualità che
viene assoggettata a controlli scarsi o addirittura nulli, poiché già siamo in
un’unione di libero scambio, l’Unione europea, che stiamo per estendere al
Canada. Inutile dire che simili politiche danneggiano direttamente le nostre
imprese, dunque il lavoro e in generale il benessere del nostro
popolo. lintellettualedissidente.it/26.5.2017
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