Fusaro Diego. Pensare altrimenti.
L'ordine dominante non reprime,
oggi, il dissenso. Ma opera affinché esso non si costituisca. Fa in modo che il
pluralismo del villaggio globale si risolva in un monologo di massa. Perciò
dissentire significa opporsi al consenso imperante, per ridare vita alla
possibilità di pensare ed essere altrimenti.
Da sempre, sia pure in forme
diverse, gli uomini si ribellano. Difficilmente le rivolte si lasciano
ricondurre a un paradigma unitario, ma presentano come orizzonte comune la
rivendicata antitesi rispetto a un ordine costituito o a un «comune sentire» che
si pretende giusto. La cellula genetica del dissenso corrisponde a un sentire
altrimenti che è, già virtualmente, un sentire contro: e che, per ciò stesso,
può trapassare nelle figure concrete in cui il dissentire si cristallizza
facendosi operativo. Il pensiero ribelle deve costituire oggi il gesto primario
contro l'uniformazione globale delle coscienze che si sta registrando
nell'orizzonte del nuovo pensiero unico e del falso pluralismo della civiltà
occidentale. Diego Fusaro si propone qui di analizzare le figure del pensare
altrimenti, le declinazioni storiche del dissenso e la sua fenomenologia.
Come in un romanzo di Chesterton,
nella politica di questo secolo maggioranza e opposizione sembrano guardie e
ladri che a furia di mescolarsi si confondono. Le differenze dei partiti si
colgono ormai soltanto nei volti diversi dei loro leader, l’alternativa è un
io, non più un programma, una visione del mondo. Oltre l’immutabile
minimo-comun-liberalismo c’è spazio giusto per la rivendicazione di una
competenza e un’onestà il cui prevedibile fallimento darà qualcosa da dire
all’opposizione. Da anni, con un personalissimo slalom tra Hegel, Marx e
Heidegger, Diego Fusaro conduce la sua battaglia contro il «pensiero unico»
attraverso i libri, la televisione e l’uso intensivo dei social media. Torna
ora al suo tema prediletto con Pensare altrimenti (Einaudi, pp 176,
€7,99, da oggi in libreria), un elogio della dissidenza evocata quasi come
categoria universale.
«In principio fu il dissenso»,
ammicca infatti il titolo del secondo capitolo, anche se poi l’autore chiarisce
come il termine dissenso si riferisca all’«ambito delle passioni» e non sia
possibile ricondurlo a una categoria politica, pena il doverlo identificare
volta per volta nelle sue differenti manifestazioni. Una galleria
«necessariamente impressionistica» di personaggi storici e mitologici, da
Prometeo ai contestatori delle super antenne del Muos a Sigonella, fissa la
storia del mondo animato dal conflitto eterno tra le incarnazioni dell’ordine
costituito e i loro doppi ribelli, tra l’essere e il poter essere. Forse per
non apparire troppo trasgressivo, Fusaro omette di collocare in cima al
pantheon degli oppositori il primo ribelle della tradizione cristiana: Satana,
l’angelo ribelle.
Si capisce subito che Pensare
altrimenti è un libro concepito per la politica, un tambureggiante appello al
risveglio di un’umanità che l’autore vede funestamente addormentata nel
giardino dei consumi.
Per Fusaro dovrebbe essere
proprio il dissenso la scossa che impedisce alla democrazia di assopirsi.
Infatti per lui «la democrazia resta un orientamento teleologico (…) una meta a
cui tendere, non certo una forma politica già realizzata nelle strutture
dell’esistente». Così al homo instabilis e nomade della società della
precarietà si contrappone l’uomo radicato che nel posto fisso cerca la
creazione di un legame sociale e la possibilità di formare una famiglia. Se si
volesse poi capire pervicacemente se Fusaro sia di destra o di sinistra, ecco
la risposta: «Le dicotomie oggi imposte dal politicamente corretto, come quella
tra destra e sinistra, tra atei e credenti, tra islamici e cristiani, tra fascisti
e antifascisti, tra stranieri e autoctoni, rendono invisibile la contraddizione
- il nesso di forza capitalistico - e assumono lo statuto di risorsa ideologica
e simbolica per l’assoggettamento dell’opinione pubblica al profilo culturale
di quella teologia delle diseguaglianze che è l’odierna economia di
mercato».
Al di là della battaglia
culturale, se il ribelle vuole realizzare la sua visione dovrà diventare
rivoluzionario o quanto meno cercare una dimensione politica collettiva.
L’autore fa l’esempio di «Occupy Wall Street» e spiega che «il grande dissenso
verso l’integralismo economico globale è chiamato a organizzarsi», ma
preferisce non indicare in quali forme politiche la protesta potrebbe oggi
incarnarsi. L’«integralismo economico globale» dovrà fare i conti quest’anno
con le elezioni in Olanda e Francia dove i partiti «populisti» puntano
apparentemente a rovesciare gli equilibri costituiti. E il nuovo presidente
americano, per quanto imprevedibile, sembra inaugurare un’inattesa stagione protezionista.
Se vorrà incidere, il «pensiero diverso» dovrà scegliere quale tigre
cavalcare. lastampa.it/2017/02/02
Il filosofo Diego Fusaro mette in
relazione i flussi migratori e la perdita di diritti nel lavoro: "Ci
vogliono far diventare tutti schiavi e delocalizzati, affinché non ci possiamo
più ribellare al capitale". Si guadagna così l'appellativo di 'Lenin 2.0'
da parte di David Parenzo. la7.it/la-gabbia/-04-05-2017.
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