Prosecco al glifosate
I vigneti non ci sono mai stati a Revine Lago. È forse per
questo che in pochi giorni il Comitato delle mamme – nato lo scorso maggio,
quando è spuntato anche qui il primo impianto per uve da prosecco – è riuscito
a raccogliere ben 800 firme, in un comune che conta appena 2.200 abitanti. Non
solo le mamme, anche i papà, i nonni e gli zii hanno chiesto al sindaco le garanzie
di tutela e il rispetto delle distanze delle viti dai luoghi sensibili, come
l’asilo, il parco giochi e le strade che devono essere al riparo dai
trattamenti chimici.
Revine, in provincia di Treviso, si trova al margine della
zona di produzione storica del prosecco, la Docg delle colline di Conegliano e
Valdobbiadene. Tutto attorno, nelle nove province di Veneto e Friuli-Venezia
Giulia della Doc Prosecco, entro il prossimo luglio la superficie vitata
aumenterà di altri 3.000 ettari, passando così dagli attuali 20.250 a 23.250
ettari. Per capirne la dimensione, bisogna considerare che la seconda Doc
italiana, quella del Chianti, famoso in tutto il mondo, arriva a poco più di
14.000 ettari. Basandosi sulla previsione di un aumento medio del 15% del consumo
globale di vini spumanti nei prossimi tre anni, il Centro interdipartimentale
per la viticoltura dell’università di Padova e Nomisma hanno valutato che
questi 3.000 ettari in più saranno necessari per soddisfare la domanda,
mantenendo in equilibrio il mercato. Si arriverà così, nel 2019, a produrre
oltre mezzo miliardo di bottiglie. Gli ultimi dati sull’export diffusi
dal Sole 24 ore confermano che l’unico vino italiano per cui si registra
un aumento nelle vendite è proprio il prosecco, con una crescita del 30% negli
Stati Uniti e nel Regno Unito.
Un boom economico che ha però un impatto fortissimo
sull’ambiente, il paesaggio e la salute pubblica. In questa zona ci sono
persino sentieri dove è vietato passeggiare da aprile a agosto per i
trattamenti fitosanitari sulle coltivazioni. Coinvolgiamo anche i viticoltori
chiedendo che adottino il metodo biologico: noi non siamo contro di loro, ma
vogliamo garanzie.
I vigneti di glera, il vitigno da cui si ricava il prosecco,
vengono piantati dove storicamente non ci sono mai stati, anche in aree
paludose o esposte a nord, non vocate insomma per clima e composizione del
terreno: questo implica un utilizzo ancora maggiore di fitofarmaci. I
trattamenti, poi, si fanno in momenti diversi, perché ciascun viticoltore
decide in autonomia quando farli, quindi ogni anno è un’irrorazione continua
fra primavera ed estate.
Lo scorso agosto la Regione Veneto ha approvato una proposta
di regolamento per limitare l’uso di fitofarmaci nelle aree urbane e vietare
gli erbicidi, salvo deroghe approvate dai sindaci. Si tratta, usando le parole
dell’assessore regionale all’Agricoltura Giuseppe Pan, di «una serie di
indirizzi per un corretto impiego delle sostanze fitosanitarie, proponendo un
protocollo e un regolamento adottabile da tutti i Comuni, applicabile nelle
aree pubbliche e private frequentate dalla popolazione: parchi, giardini, aree
verdi e confinanti con plessi scolastici, aree cimiteriali e in prossimità a
strutture sanitarie».
Nella zona di Conegliano Valdobbiadene era già
precedentemente in vigore un regolamento intercomunale di polizia rurale. E dal
2011 il Consorzio del prosecco superiore Docg adotta un protocollo viticolo che
prevede una riduzione dei prodotti chimici da utilizzare nei vigneti,
escludendo del tutto i più pericolosi per la salute umana e l’ambiente. Peccato
che l’adesione sia su base volontaria. Intanto, a ottobre, per la prima volta
il tribunale di Treviso ha condannato un produttore che irrorava le viti dalla
via pubblica e ordinato la rimozione del filare a ridosso della strada, dando
ragione al Comune di Refrontolo.
Per esempio, le persone ormai sanno che le strisce arancioni
tra i filari sono dovute all’uso del glifosate, erbicida che stava per essere
bandito dall’Europa e invece si continua a usare.
I vigneti di prosecco si espandono non solo nelle zone
limitrofe alle colline della Docg, ma anche nelle province del Bellunese e del
Veneziano e in Friuli. Prendono il posto dei boschi, implicano in molti casi lo
sbancamento di colline, l’interramento delle doline del Montello, occupano
luoghi unici come i palù, una complessa rete di prati umidi con fossati e
piante perimetrali. Insomma, il prosecco è sempre più la nuova industria del
Nordest. Dell’antico ambiente rurale resta poco. Il paesaggio viene stravolto,
mentre si parla della candidatura della zona di Conegliano Valdobbiadene a
patrimonio Unesco. «Si sta diffondendo la tipologia del vigneto “a rittochino”,
che non ha nulla a che fare con la tradizione di coltivare a terrazzamenti e
gradoni, o in leggera pendenza – riprende Tonin – Le viti oggi si piantano
invece seguendo la massima pendenza, perché le lavorazioni sono meccanizzate,
non si deve più andare a piedi. Questo, col passaggio frequente dei mezzi,
comporta una maggiore impermeabilizzazione del terreno e quando piove si
formano vere e proprie canalette tra i filari, con l’acqua che scende
velocissima a valle aumentando il rischio idrogeologico. Di fronte a frane e
smottamenti sempre più frequenti, i cui danni vengono pagati con fondi
pubblici, non possiamo parlare solo di cause naturali».
Il prezzo del prosecco destinato alla spumantizzazione
continua a crescere, sfiorando i 3 euro al litro: un aumento non giustificato
dalle regole del mercato, visto che sugli scaffali dei supermercati si trovano
bottiglie anche a un prezzo inferiore. Un prezzo che non tiene neanche conto
dei costi ambientali e per la salute.Legambiente.it
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