Def 2019
La giostra sul Def, il piano triennale sui conti
pubblici, è cominciata a girare furiosamente grazie alle indiscrezioni con cui
vengono sapientemente imboccati gli attivisti di partito annidati nelle redazioni
dei media.
L’attenzione dei mercati e delle imprese si concentra
ovviamente sui numeri per il 2019, visto che solo pochi visionari scommettono
su un governo che duri molto a lungo dopo le elezioni europee. Le proposte sul
tappeto costano 145 miliardi di euro (escluso lo sbandierato taglio
delle accise sulla benzina) da finanziare con un gigantesco assegno scoperto,
cioè facendo esplodere fragorosamente il debito pubblico italiano.
Però il “Libro dei Incubi” ovvero il “Contratto di governo”
asserisce che l’implementazione delle misure sarebbe stato graduale.
Abbiamo incluso valori certi e coerenti con il Def
aggiornato a ottobre 2017 e stimato gli impegni che le dichiarazioni dei
ministri prefigurano. Per essere onesti, tali dichiarazioni non sono un
paradigma di coerenza, ad esempio il Ministro dell’Economia Tria all’Ecofin ha
reiterato l’impegno che il deficit si attesterà sull’1,6% del Pil.
Inoltre su alcuni capitoli come le minori accise sulla
benzina e la flat tax per le partite IVA i numeri non sono stati ventilati
nemmeno a titolo di ballon d’essai.
Poi vanno aggiunte
alcune spesucce (si fa per dire) per l’Alitalia, i centri per l’impiego (dediti
alla trasformazione degli inoccupabili in maestranze stakanoviste), le
infrastrutture nuove (altro potenziale pozzo di San Patrizio, protettore dei
keynesiani savonaroli), nonché la manuntenzione delle vecchie per evitare altri
crolli di ponti e scuole.
In definitiva, volendo mantenersi nell’alveo delle known
unknowns, come le ebbe a definire Rumsfeld dal vertice del Pentagono, le
spese senza copertura implicherebbero un deficit intorno al 3,3% anche
ipotizzando qualche effetto di stimolo al Pil dell’incremento di spesa. nextquotidiano.it/
Il bello è che non c’è nessuno che sia d’accordo su numeri
che dovrebbero essere oggettivamente inattaccabili
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