maggiore autonomia alle regioni
La concessione di maggiore autonomia alle regioni, a certe
condizioni, è prevista dalla Costituzione. Il terzo comma dell’articolo 116
stabilisce infatti che le regioni con i bilanci in ordine possano chiedere di
vedersi assegnate maggiori competenze rispetto a quelle previste normalmente
per le ragioni a statuto ordinario.
La scuola, per esempio, è una competenza statale che le
regioni virtuose potrebbero chiedere di gestire direttamente (naturalmente
entro leggi e criteri regolati dallo Stato). L’elenco delle competenze esclude
una serie di temi, come la tutela dell’ordine pubblico, che rimangono in ogni
caso esclusiva competenza dello Stato.
Il terzo comma fu introdotto con la riforma della
Costituzione del 2001 e riguarda il famoso Titolo V. Dal punto di vista delle
procedure, la concessione dell’autonomia deve essere approvata da una “legge
rinforzata” (una legge che presenta cioè un procedimento più complesso per la
sua approvazione) e che deve essere votata dalle Camere a maggioranza assoluta.
L’articolo 116 è stato invocato per la prima volta nel 2017. I governi di Lombardia e Veneto avevano organizzato un referendum consultivo, e in entrambe le regioni il “sì” aveva ricevuto la maggioranza dei voti. Essendo consultivi, i referendum non avevano avuto esiti vincolanti né per le regioni né per il governo: quelle votazioni non erano necessarie per poter presentare la richiesta di maggiore autonomia, ma servivano a dare maggiore forza politica alla richiesta. L’Emilia-Romagna ha attivato le procedure senza referendum e dopo un voto in consiglio regionale.
Nel 2018 il nuovo governo sostenuto da Lega e Movimento 5
Stelle ha promesso che avrebbe concesso l’autonomia alle regioni in regola
entro l’autunno, ma l’accordo ad oggi non è ancora stato trovato.
Alcuni componenti del M5S temono che l’autonomia concessa
alle regioni economicamente in salute, e quindi che hanno un maggior gettito
fiscale, riduca le tasse normalmente redistribuite a livello statale, e che
questo significhi minori risorse a disposizione per le regioni economicamente
più in difficoltà, cioè le regioni del Sud. Il M5s chiede dunque garanzie sul
fatto che i livelli essenziali delle prestazioni, così come dice la
Costituzione, vengano assicurati per tutti: in materia di istruzione e
assistenza sanitaria, per esempio, che secondo alcune previsioni in certe
regioni potrebbero venire a mancare se passasse l’autonomia.
La posizione del Partito Democratico, che pure ha
contribuito a creare le premesse per l’attuale situazione, non è una soltanto.
L’ex segretario Matteo Renzi ha detto di essere contrario all’autonomia,
mentre il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino e quello della Campania
Vincenzo De Luca l’hanno sostenuta e concretamente richiesta. Per Silvio
Berlusconi, infine, è proprio su questo che «il governo può cadere. E me lo
auguro».
Non è ancora chiaro se l’approvazione dell’autonomia
differenziata sarà più vantaggiosa per alcune regioni e molto meno per altre.
Dipenderà infatti da come verranno assegnate le risorse che corrisponderanno
alle nuove competenze delle regioni autonome. Ma anche in questo caso, non è
semplice prevedere come andrà.
In generale, ci potrebbero essere due criteri da utilizzare
per l’assegnazione delle risorse alle regioni autonome: il costo storico e il
costo medio nazionale.
Il costo storico indica la spesa pro-capite che una regione
effettua in media per una determinata competenza (per esempio la sanità) mentre
il costo medio nazionale indica il costo medio pro-capite di quella competenza
a livello nazionale.
Per esempio: attualmente in Lombardia lo Stato spende 459
euro pro capite per l’istruzione scolastica, mentre ne spende 477 euro in
Veneto. Il costo medio nazionale è invece più alto (537 euro). Se
l’assegnazione delle risorse alla regione sarà fatta con il criterio del costo
storico la Lombardia potrà trattenere una cifra pro-capite pari a 459 euro, se
l’assegnazione terrà conto invece del criterio medio la Lombardia potrà
trattenere nuove risorse pari a una spesa pro-capite di 537 euro. Il primo
criterio sarebbe a saldo zero e senza cambiamenti sul bilancio statale o delle
altre regioni, il secondo criterio comporterebbe invece risorse aggiuntive.
Secondo le intese preliminari tra ministero, Lombardia,
Veneto e Emilia-Romagna, queste regioni otterranno inizialmente risorse in base
al costo storico, quindi in base a quanto già spendevano per una determinata
competenza (calcolato nell’anno di approvazione definitiva della richiesta).
Sempre secondo l’intesa, però, entro un anno dall’accordo definitivo si
dovrebbero definire i fabbisogni standard, ovvero dei parametri a cui
legare le spese fondamentali per assicurare un graduale e definitivo
superamento del criterio della spesa storica. Una volta definiti i fabbisogni
standard, il criterio di assegnazione delle risorse diventerebbe, appunto,
quello del costo standard che potrebbe essere più elevato rispetto al costo
storico corrente, ma su cui è difficile fare ora delle previsioni per capire se
sarebbe svantaggioso per alcune regioni. Ilpost.it
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