mercoledì 7 agosto 2019

maggiore autonomia alle regioni




maggiore autonomia alle regioni

La concessione di maggiore autonomia alle regioni, a certe condizioni, è prevista dalla Costituzione. Il terzo comma dell’articolo 116 stabilisce infatti che le regioni con i bilanci in ordine possano chiedere di vedersi assegnate maggiori competenze rispetto a quelle previste normalmente per le ragioni a statuto ordinario.
La scuola, per esempio, è una competenza statale che le regioni virtuose potrebbero chiedere di gestire direttamente (naturalmente entro leggi e criteri regolati dallo Stato). L’elenco delle competenze esclude una serie di temi, come la tutela dell’ordine pubblico, che rimangono in ogni caso esclusiva competenza dello Stato.
Il terzo comma fu introdotto con la riforma della Costituzione del 2001 e riguarda il famoso Titolo V. Dal punto di vista delle procedure, la concessione dell’autonomia deve essere approvata da una “legge rinforzata” (una legge che presenta cioè un procedimento più complesso per la sua approvazione) e che deve essere votata dalle Camere a maggioranza assoluta.

L’articolo 116 è stato invocato per la prima volta nel 2017. I governi di Lombardia e Veneto avevano organizzato un referendum consultivo, e in entrambe le regioni il “sì” aveva ricevuto la maggioranza dei voti. Essendo consultivi, i referendum non avevano avuto esiti vincolanti né per le regioni né per il governo: quelle votazioni non erano necessarie per poter presentare la richiesta di maggiore autonomia, ma servivano a dare maggiore forza politica alla richiesta. L’Emilia-Romagna ha attivato le procedure senza referendum e dopo un voto in consiglio regionale.

Nel 2018 il nuovo governo sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle ha promesso che avrebbe concesso l’autonomia alle regioni in regola entro l’autunno, ma l’accordo ad oggi non è ancora stato trovato.
Alcuni componenti del M5S temono che l’autonomia concessa alle regioni economicamente in salute, e quindi che hanno un maggior gettito fiscale, riduca le tasse normalmente redistribuite a livello statale, e che questo significhi minori risorse a disposizione per le regioni economicamente più in difficoltà, cioè le regioni del Sud. Il M5s chiede dunque garanzie sul fatto che i livelli essenziali delle prestazioni, così come dice la Costituzione, vengano assicurati per tutti: in materia di istruzione e assistenza sanitaria, per esempio, che secondo alcune previsioni in certe regioni potrebbero venire a mancare se passasse l’autonomia.
La posizione del Partito Democratico, che pure ha contribuito a creare le premesse per l’attuale situazione, non è una soltanto. L’ex segretario Matteo Renzi ha detto di essere contrario all’autonomia, mentre il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino e quello della Campania Vincenzo De Luca l’hanno sostenuta e concretamente richiesta. Per Silvio Berlusconi, infine, è proprio su questo che «il governo può cadere. E me lo auguro».
Non è ancora chiaro se l’approvazione dell’autonomia differenziata sarà più vantaggiosa per alcune regioni e molto meno per altre. Dipenderà infatti da come verranno assegnate le risorse che corrisponderanno alle nuove competenze delle regioni autonome. Ma anche in questo caso, non è semplice prevedere come andrà.
In generale, ci potrebbero essere due criteri da utilizzare per l’assegnazione delle risorse alle regioni autonome: il costo storico e il costo medio nazionale.
Il costo storico indica la spesa pro-capite che una regione effettua in media per una determinata competenza (per esempio la sanità) mentre il costo medio nazionale indica il costo medio pro-capite di quella competenza a livello nazionale.
Per esempio: attualmente in Lombardia lo Stato spende 459 euro pro capite per l’istruzione scolastica, mentre ne spende 477 euro in Veneto. Il costo medio nazionale è invece più alto (537 euro). Se l’assegnazione delle risorse alla regione sarà fatta con il criterio del costo storico la Lombardia potrà trattenere una cifra pro-capite pari a 459 euro, se l’assegnazione terrà conto invece del criterio medio la Lombardia potrà trattenere nuove risorse pari a una spesa pro-capite di 537 euro. Il primo criterio sarebbe a saldo zero e senza cambiamenti sul bilancio statale o delle altre regioni, il secondo criterio comporterebbe invece risorse aggiuntive.
Secondo le intese preliminari tra ministero, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, queste regioni otterranno inizialmente risorse in base al costo storico, quindi in base a quanto già spendevano per una determinata competenza (calcolato nell’anno di approvazione definitiva della richiesta). Sempre secondo l’intesa, però, entro un anno dall’accordo definitivo si dovrebbero definire i fabbisogni standard, ovvero dei parametri a cui legare le spese fondamentali per assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. Una volta definiti i fabbisogni standard, il criterio di assegnazione delle risorse diventerebbe, appunto, quello del costo standard che potrebbe essere più elevato rispetto al costo storico corrente, ma su cui è difficile fare ora delle previsioni per capire se sarebbe svantaggioso per alcune regioni. Ilpost.it

Nessun commento:

Posta un commento