Contenuto del d.l. n. 19 del 2020: l’art. 1 del d.l n. 19 del 2020 prevede che, allo scopo di
contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus
COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo,
sulla totalità di esso, possono essere adottate una o più misure che, secondo
principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente
su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso,
possono prevedere, tra l’altro, la limitazione o sospensione delle attività di
somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo
sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti.
Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei
Ministri il potere di emanare, con d.P.C.M., tali misure.
L’art. 3, comma 1 consente alle Regioni di adottare misure di efficacia
locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle
attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia
nazionale».
Ma ciò è possibile solo a condizione che si tratti di interventi
destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si
tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento
del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di
misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive
esercitabili nella Regione.
11/5/2020 Il comma 3 dell’art 3, infine, precisa che «le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in
forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente».
L’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà di
iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle prescrizioni da
imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica
non sia di pregiudizio per la salute pubblica, sicché tali prescrizioni
possono essere imposte anche con un atto di natura amministrativa.
Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale situazione di
emergenza sanitaria, tra la citata norma costituzionale e una disposizione
legislativa che demandi al Presidente del Consiglio dei Ministri di disporre,
con provvedimento amministrativo, limitazione o sospensione delle attività
di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo
sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, allo scopo di
affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus COVID19.
Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1 del d.l. n. 19 del 2020, il
contenuto del provvedimento risulta predeterminato («limitazione o
sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e
alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande (...)»), mentre
alla discrezionalità dell’Autorità amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della limitazione in ragione dell’esame
epidemiologico.
18.2. – Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la competenza
legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto nell’art. 117,
comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia
di «profilassi internazionale».
Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del
medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente
in materia di «tutela della salute» e «protezione civile».
18.3. – A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori osservazioni, che
traggono le mosse dal duplice rilievo critico secondo cui l’impianto
normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020 comporterebbe
un’inammissibile delega al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere
di restringere le libertà costituzionali dei cittadini e comporterebbe
un’alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi delineata
dall’art. 118 Cost.
Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola possibilità di
limitare o sospendere le attività di somministrazione al pubblico di cibi e
bevande, il Tribunale ritiene di dover innanzitutto ribadire quanto già
anticipato al § 18.1., e cioè che è la legge a predeterminare il contenuto
della restrizione alla libertà di iniziativa economica, demandando ad un atto
amministrativo la commisurazione dell’estensione di tale limitazione.
Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del Consiglio
dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure necessarie ad
affrontare un’emergenza sanitaria trova giustificazione nell’art. 118,
comma 1 Cost.: il principio di sussidiarietà impone che, trattandosi di
emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure
precauzionali sia operata al livello amministrativo unitario.
Accertato che l’individuazione nel Presidente del
Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è conforme al principio di
sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve altresì essere affermato che ciò
giustifica l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, pur in
materie concorrenti quali la «tutela della salute» e la «protezione civile».
È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla sentenza
dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta teorizzato la c.d.
chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della funzione amministrativa si
deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria
alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione
amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si
accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel
momento dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto,
Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278).
Conformemente al principio enucleato dalla Corte
costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede espressamente che il
Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i decreti sentiti – anche – i
Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino
esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il
Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel
caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale.
Pertanto, si esclude che si possa
affermare che siano stati attribuiti all’amministrazione
centrale dello Stato poteri sostituitivi non previsti dalla Costituzione.
L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il Governo può sostituirsi
a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei
Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o
della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la
sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità
giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8 l. 5 giugno
2003, n. 131.
Ad ogni modo, non vi è stato un intervento
sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni amministrative in
ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in
sussidiarietà della funzione legislativa.
Inoltre, il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a carattere
normativo, bensì un atto amministrativo generale.
Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice
amministrativo, essendo piuttosto onere del soggetto interessato
promuovere tempestivamente l’azione di annullamento.
Pertanto, emerge chiaramente l’illegittimità
dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria in quanto spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure
necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, mentre alle
Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l.
n. 19 del 2020.
Infatti, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della Regione delineati
dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono, ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in essere per ragioni di sanità in forza
di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente».
Inoltre, l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla sospensione
dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione al servizio al tavolo,
con il mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus
COVID-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una
regressione dell’epidemia.
È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende
soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio
circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri
elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario
regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le
misure di contenimento via via adottate o revocate (si pensi, in proposito,
alla diminuzione delle limitazioni alla circolazione extraregionale).
Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere l’epidemia sono
state adottate, e vengono in questa seconda fase rimosse, gradualmente, in
modo che si possa misurare, di volta in volta, la curvatura assunta
dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni
sociali.
Un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il principio di
precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto
di emergenza sanitaria quale quello in atto, dovuta alla circolazione di un
virus, sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità
scientifica.
Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano conosciuti
con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa,
l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata
rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr. Cons. Stato,
11/5/2020 Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655), deve necessariamente presidiare un
ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della
prevenzione (Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 5).
È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le
misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di
un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste.
Infine, non risulta che l’emanazione della predetta ordinanza sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa,
consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo.
Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26
aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi
livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione
Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che
compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di
competenze del titolo V della Costituzione.
In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, nella parte in cui, al suo punto 6, dispone che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto» deve essere annullata.
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