giovedì 15 giugno 2017

Foglio matricolare.Sbandato.

Sbandato.


Nel marzo 1943 la "Sforzesca" era stata fatta rimpatriare e nel mese di aprile era stata sciolta.
A cosa era servita la sua discesa in campo?
Al fatto che il duce potesse essere presente al tavolo nel grande gioco dei potenti per contare di più e dove il numero dei morti era solo statistica.
Nel marzo 43 Giani era passato in forza al 21 reggimento battaglione Trieste in Piacenza.
Quelli erano giorni complicati.
L'otto settembre 1943 è stato uno dei soliti giorni di guerra.
Quello stesso pomeriggio il maresciallo Badoglio aveva annunciato improvvisamente da Via Asiago l'armistizio.
Solo i grandi capi sapevano quello che stava succedendo.
L'Italia udita la notizia, per un attimo, si era illusa che la guerra fosse finita davvero.
Un dubbio si era insinuato subito nella mente di Giani e dei suoi commilitoni.
I tedeschi? Cosa avrebbero fatto i tedeschi?
Difficile che rimanessero immobili a guardare senza prendere delle iniziative contro gli ex alleati.
Li aveva conosciuti i tedeschi sul fronte russo, sapeva che non mollavano mai fino alla fine e che volevano vincere da soli non conoscevano alleati, ma solo subordinati.
Al 21 reggimento battaglione Trieste di Piacenza gli ufficiali e la truppa  aspettavano ordini che non sarebbero mai arrivati.
Improvvisamente i carri armati tedeschi si erano presentati davanti alle caserme.
I tedeschi erano in assetto di guerra. Si erano piazzati nei punti strategici con le tute mimetiche, i mitra alla mano e le bombe infilate negli stivali.
Non c’era proprio da scherzare.
Chi aveva in caserma un vestito borghese era il più avvantaggiato. Lo indossava, si calava da una delle finestre degli uffici ed era libero di tentare di nascondersi o di raggiungere la propria casa dandosi alla macchia.
Giani aspettava l’occasione adatta. La fuga dalla caserma fu una delle poche cose che aveva raccontato: “Gli amighi da fora ne dava i vestiti e noialtri scampavamo.”
Scappavano per le finestre delle cantine o degli uffici, sicché le fughe dei commilitoni continuavano a ritmo ininterrotto; tanto più che si era sparsa la voce di treni piombati pieni di militari, che partivano in direzione di Verona e forse del Brennero. I tedeschi, avevano fatto frequenti appelli dei militari italiani ed avevano avuto la certezza che il reggimento si stava sfaldando.
Gli ex alleati avevano individuato le probabili vie di fuga seguite dai fuggiaschi e avevano messo sentinelle armate all'entrata delle cantine e degli uffici.
Giani aveva trovato il modo di fuggire dalla parte dei tetti attraverso la soffitta.
Con un commilitone che si chiamava pure lui Giovanni e veniva da Rovereto andò in soffitta e salì sui tetti attraverso un abbaino. Quindi, quasi ventre a terra per non farsi scorgere dal basso, cominciò a scendere. Arrivato in strada trovò una porta chiusa.
A forza di bussare e strepitare, i vicini  aprirono.
Non intendevano essere coinvolti in un’operazione che essi ritenevano troppo rischiosa e si erano lasciati convincere anche  perché erano di origine trentina come il suo commilitone. I fuggiaschi avevano ottenuto qualche indumento estivo e quindi erano usciti da una porta secondaria: Erano liberi!
Si erano allontanati con molta prudenza per evitare le ronde fino alla stazione.
Il re, il principe Umberto, Badoglio, Ambrosio, Roatta, i generali si erano già messi al sicuro fuggendo verso Pescara, loro oramai non correvano nessun pericolo.
Per non ostacolare la loro fuga ingloriosa non avevano tenuto nessun contatto con gli ufficiali e la truppa abbandonati alla vendetta dei tedeschi.
Giani non aveva avuto dubbi sul da farsi.
Circolava la notizia  che  le prime colonne di soldati catturati dalla Wehrmacht erano state avviate alle stazioni ferroviarie con destinazione i lager tedeschi.
Lui, dopo aver  buttato la divisa, aveva seguito l’istinto fuggendo in treno verso casa.
A Venezia poteva forse trovare rifugio aspettando tempi migliori.
L’unico problema era evitare i controlli della Wehrmacht che era stata spiegata a rastrellare  i fuggiaschi.
I capi politici e militari italiani avevano ingannato, sorpreso e abbandonato i loro soldati dopo averli mandati a fare la guerra in condizioni tragiche.
Oltre agli equipaggiamenti e alle munizioni erano mancati persino gli ordini.
Pochi capi avevano pagato di persona per il senso dell’onore.
Per i vertici l'otto settembre era un gioco di inganni, di opportunismi, di irresponsabilità e di paura: una nera pagina di storia. Per i gregari era inevitabile lo sfascio.
Le gesta di Badoglio sono state immortalate nella loro disumana debolezza nella Badoglieide di Nuto Revelli che Giovanni  cantava dopo la fine della guerra:
“Ti ricordi la fuga ingloriosa 
con il re, verso terre sicure?
Siete proprio due sporche figure
meritate la fucilazion.”
Era una classe dirigente strana quella di quel periodo (o è un requisito comune di chi comanda quello di nascondersi nel momento cruciale quando occorre veramente avere una guida?).
Salvo rare eccezioni chi aveva un posto di responsabilità era scappato. I capi  avevano rinunciato a stare lì in prima linea quando le cose sono diventate difficili.
Si erano presi gli onori e gli oneri li hanno lasciati agli altri, ai comuni mortali, a quelli che si erano già presi i disagi di una guerra che avrebbero fatto a meno di combattere.  
Giani nella retorica ufficiale si “sbandava” a seguito degli eventi succeduti all’armistizio del 9 settembre 1943 e conseguentemente  veniva denunciato al Tribunale speciale di guerra per non avere risposto al richiamo alle armi.
Tre sere dopo la radio annunziava la liberazione di Mussolini ad opera di paracadutisti tedeschi.
L’Italia era destinata a spaccarsi in due la situazione si stava facendo sempre più confusa.
Cosa aveva fatto Giani dopo l’otto settembre?
Sicuramente non era andato con i repubblichini, sicuramente non era andato con i partigiani.
Come tanti italiani si era eclissato confidando che la notte buia doveva prima o poi passare.
Faceva parte di quella categoria di persone che, dietro gli uomini che rischiavano la vita nella lotta quotidiana contro i tedeschi ed i fascisti, costituiva una seconda linea, estesa quanto il paese che provvedeva a sostenere, finanziare e curare tutti coloro che avevano partecipato alla lotta di liberazione. (Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo, 1966).
Non faceva parte di organizzazioni , gruppi sensibili al richiamo della resistenza. All’inizio dopo l’otto settembre i “ribelli” erano poche migliaia di persone che non costituivano una forza militare, privi com’erano di un comando unificato, di direttive e di una strategia. (Indro Montanelli, Storia d’Italia, 9, 2004, 58). 
Era lì a Venezia e se ne stava nascosto, per paura che succedesse qualcosa  se ne stava lontano anche dalla ragazza mora, la figlia di Nicola.
Non si faceva vedere né alla bottega di biadaiolo, che era stata di suo padre, né al Bar Florida.
Lì c’era Bepi, suo fratello, che era riuscito a  non partire militare perché era di qualche anno più vecchio ed ebbe una gran fortuna a non essere arruolato nella riserva.
Lui stava dietro le quinte cercando di dare una mano come poteva alla sua famiglia, cercando di nascondersi per non finire in un campo di concentramento in Germania.
Gli alleati erano sbarcati ad Anzio il 22 gennaio 44 .
nel giugno 44.

Nel giugno 44 i tedeschi avevano ancora il controllo di Roma.  

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