giovedì 15 giugno 2017

Foglio matricolare.L’Ospedale al Mare

L’Ospedale al Mare


A settembre la Cetta e Nicheto erano andati a trovare la zia Andreina, la sorella più giovane della Roma.
 “Come sta Giani” si era informata la zia  non nascondendo la sua preoccupazione.
“Come al solito. Speremo ben” sospirava la Cetta.
Nichetto ascoltava ma non comprendeva appieno la gravità della malattia che costringeva Giani a frequenti ricoveri.
Lui quando tornava a casa diceva che non era nulla di grave.
Giani assicurava sempre i suoi che dopo quel ricovero si sarebbe rimesso e sarebbe stato finalmente bene.
Giani però era sempre più stanco, i ricoveri si facevano più frequenti.
Non andava più alla Casa di cura, aveva finalmente trovato un professore dell’Ospedale al Mare del Lido che aveva diagnosticato la sua malattia.
Quando però era  riuscito a trovare l’origine del male aveva nello stesso tempo perduto anche le residue speranze: si trattava di un linfogranuloma maligno.
A questo punto si era arreso, non combatteva più.
Nichetto non riusciva a capire.
Se era stata scoperta la malattia dovevano essere tutti più contenti. Perché invece erano tutti i più tristi?
Bepi, i camerieri, Tony sbrega boche, el marzian, Zerbetto, lo zio Pasquale avevano tutti un'espressione molto triste.
Se ci fosse stato il nonno Nicola, forse sì che lui avrebbe trovato un rimedio invece se ne era andato qualche anno prima. Nichetto non se n'era nemmeno accorta di questa tragica scomparsa.
Il nonno si era messo a letto per una influenza e non si era più rialzato.
Poi gli avevano detto che il nonno era andato via per sempre e che l’avrebbe rivisto in cielo.
Nicheto non aveva capito che quella era la morte perché non aveva notato nessuna sofferenza nel volto di Nicola, che se ne era andato via serenamente senza quasi soffrire, mentre notava sempre il sorriso triste sul viso di Gianni.
L’Ospedale al Mare si affacciava sulla spiaggia del Lido.
Arrivarci da Venezia era un viaggio.
Da Rialto l’itinerario più veloce prevedeva l’imbarco da Piazza S. Marco, di fronte alle Carceri di Palazzo Ducale, sulla motonave veloce – el bateo grando - che portava al Lido.
La motonave attraccava al piazzale di S. Maria Elisabetta; da lì bisognava salire sull’autobus che ti portava all’Ospedale.
Nicheto era andato a trovare Giani con lo zio Donato.
Se non fosse stato per tutte quelle persone in camice bianco non si aveva neppure l’impressione di essere in un ospedale.
I reparti erano immersi nel verde del Lido: sembrava di essere in una delle colonie marine affacciate sul mare agli Alberoni.
A vederlo da lontano quel luogo pareva un centro di vacanza non di malattia.
Stranamente pur essendoci una spiaggia lunghissima non c’era no bambini a giocare sulla sabbia, ma  persone di tutte le età che cercavano di recuperare il bene più prezioso.
Il sole e l’aria marina erano medicine portentose per ridarti la salute.
Il sole portava calore, la brezza marina energia.
Questo straordinario cocktail faceva venire voglia di vivere anche a chi stava lottando con sofferenza contro la malattia e gli passava la voglia di farla finita.
I malati in via di guarigione trascorrevano la loro convalescenza sulla spiaggia.
Sembrava che stessero trascorrendo una piacevole vacanza.
“Co ti sta megio ti va anca ti in spiaggia”.
Diceva Nicheto a Giani che faceva finta di crederci.
La bellezza dell’ambiente marino cercava invano di mascherare il dolore.
Giani era molto pallido, appariva dimagrito e stanco.
Giani non aveva paura della morte. L'aveva vista in faccia tante volte nella ritirata di Russia aveva visto il terrore negli occhi dei suoi commilitoni che non poteva far salire sul camion perché era già colmo.
Non aveva paura per lui ma aveva paura per Nicheto e per la la Cetta. Lei era una persona emotivamente instabile, una brava donna di casa, ma gestire una famiglia e dare un futuro a Nicheto era un’altra questione.
Per cui Giani preferivano parlare con loro, nei pochi giorni che pensava gli rimanessero, rassicurandoli dicendo che la sua non era una malattia grave e che sarebbero andati insieme ancora in vacanza Montecatini.
Nichetto era un bambino intelligente aveva capito che c'era qualcosa che non andava, ma preferiva come lo struzzo mettere la testa sotto la sabbia ed aspettare gli eventi.
Era contento della sua vita si trovava bene alle elementari, stava bene con gli amici del Campo San Polo, con la Cetta, con la zia Bice, con lo zio Donato, viveva una infanzia che poteva essere quasi felice.
“Ciao come va Nicheto” lo aveva salutato Giani come se spostando l’attenzione sul bambino, sulle cose che faceva, sulla scuola, sui giochi, sulla vita banale ma tranquilla di tutti i giorni, avesse potuto per un momento esorcizzare dolore e preoccupazioni.
“Varda che bela zornada che xe ancuo, se ti sta megio ti pol andar anche ti in spiaggia, te compagno mi” Nicheto indicava a Giani i degenti meno gravi che venivano accompagnati in riva al mare dai parenti.
Sembra quasi, a guardarli da lontano dalle finestre del reparto di medicina, che i malati fossero degli allegri gitanti che si deliziavano del sole tiepido di fine settembre.
“Sì, sì la prosima volta femo cussì” diceva Giani nel tentativo di illudere Nicheto con questa speranza di guarigione.
Nello stesso istante di nascosto sussurra alla la zia Bice: “Te afido Nicheto e la Ceta.”
Queste erano state le sue ultime parole.
Lo zio Donato che era un burbero era uscito dalla stanza per nascondere una lacrima.
Solo Nicheto che si ostinava a non capire  restava lì a fare gli ultimi progetti di una guarigione cui non credeva più nessuno.
Era arrivato il medico di turno chiamato dall’infermiera per una difficoltà respiratoria. Gli infermieri avevano fatto uscire Nicheto dicendo che dovevano portare una bombola di ossigeno ma che non era niente di grave, avevano invitato tutti i parenti a tornare a casa che tutto era sotto controllo.
Giani era morto quella notte.

Il linfogranuloma maligno non aveva, come suo costume, perdonato.

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