L’art.
43, 1o e 2o co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327, dà disposizioni
in merito alla possibilità di acquisire un bene immobile utilizzato in assenza
di un valido ed efficace titolo abilitante ovvero qualora l’atto di esproprio
sia stato annullato dal giudice amministrativo. N. Centofanti, M. Favagrossa e P. Centofanti, Diritto urbanistico, 2012, 496.
Non può essere invocata pertanto
la norma nel caso di cessione di area a condizione che la volumetria
rinveniente dalla estensione dell'area di proprietà possa essere comunque
realizzata attraverso la formazione di comparti trattandosi di atti estranei alla libera disponibilità delle
parti
Il rapporto contrattuale è
esplicitamente sottratta alla libera disponibilità delle parti, come ha
confermato la disciplina sopravvenuta della l. 241 del 1990 che, all'art. 13,
ha confermato che, per l'attività della pubblica amministrazione diretta
all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e
di programmazione, restano ferme le particolari norme che ne regolano la
formazione.
Nel caso in specie il
procedimento espropriativo non si sia perfezionato e che mai il Comune abbia
potuto acquisire la proprietà dei beni di proprietà dell'attuale appellata.
Il Comune nella fattispecie ha
unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la
stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure
agisca con un nuovo procedimento espropriativo. (Consiglio di Stato, sez. IV,
28 gennaio 2011, n. 676)
L’amministrazione, quindi, per potere giungere ad un provvedimento di
acquisizione non deve utilizzare semplicemente il bene altrui, ma deve avere in
precedenza provveduto a modificarlo, materialmente, anche se si tratta di
perseguire scopi di interesse pubblico.
L’azione di restituzione del privato può essere paralizzata proprio per
effetto delle modifiche apportate al terreno i cui costi di ripristino
giustificano una scelta in favore dell’interesse pubblico alla conservazione di
un provvedimento nonostante la sua illegittimità.
L’atto di acquisizione deve contenere la descrizione del procedimento o dei
comportamenti materiali che hanno portato la amministrazione ad utilizzare
l’area, indicando la data in cui il fatto si è verificato.
È implicito che debba essere indicato, in vigenza della l. 241/1990, il
nominativo del responsabile del procedimento.
L’atto deve riportare la misura del risarcimento, ex art. 46, 6o
co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327 e disporne il relativo pagamento che è requisito
essenziale per l’emanazione dell’atto di acquisizione
La Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327,
per violazione dell’art. 76 della Costituzione.
È incostituzionale, in relazione
all'art. 76 cost., l'art. 43 d.p.r. 8.6.2001 n. 327 per violazione dei principi
e criteri direttivi stabiliti con legge delega di mero riordino n. 50 del 1999.
La norma censurata ha ad oggetto
la disciplina dell'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse
pubblico e consente all'autorità che abbia utilizzato a detti fini un bene
immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o
dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l'acquisizione al suo
patrimonio indisponibile, con l'obbligo di risarcire i danni al proprietario
(cd. "acquisizione sanante").
La disposizione regola, inoltre,
tempo e contenuto dell'atto di acquisizione, l'impugnazione del medesimo, la
facoltà della p.a. di chiedere che il g.a. "disponga la condanna al
risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti
di tempo", fissando i criteri per la quantificazione del risarcimento del
danno; anche la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di
cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli
altri commi censurati, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di
censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori
sviluppi applicativi. Orbene, la legge-delega aveva conferito, sul punto, al
legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento
"formale" relativo a disposizioni "vigenti"; viceversa,
l'istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata è connotato da
numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto
delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega 15 .3. 1997, n.
59, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale.
Alla stregua dei rilievi svolti,
va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 43, d.p.r. n. 327
del 2001, poiché la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di
servitù, di cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente
connessa con gli altri commi, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto
di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori
sviluppi applicativi.
(Corte cost., 8.10.2010, n. 293, FACDS, 2011, 4, 1119).
La norma censurata è contenuta
nel testo unico, in materia di espropriazioni che aveva previsto un generale
strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. La legge-delega
aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere ad
un coordinamento formale relativo a disposizioni vigenti; l’istituto previsto e
disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti
di novità. L’ art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, infatti, ha anzitutto
introdotto la possibilità per l’amministrazione e per chi utilizza il bene di
chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la
condanna al risarcimento in luogo della restituzione.
Esso estende tale disciplina
anche alle servitù, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso
l’applicabilità della c.d. occupazione appropriativa, trattandosi di
fattispecie non applicabile all’acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non
emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dell’opera
pubblica. Infine, la norma censurata differisce il prodursi dell’effetto
traslativo al momento dell’atto di acquisizione. (Corte cost., 8.10.2010, n. 293) .
L’art. 42 bis, d.p.r.327/2001.
Il legislatore è intervenuto con
una nuova norma l’art. 34, d. l. 6 .7.2011, n. 98, che introduce l’art. 42 bis al posto dell’abrogato art. 43 ,
d.p.r.327/2001, a regolare l’istituto per adeguarsi ai dettati della Corte .
Il provvedimento di acquisizione
deve essere motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di
interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione valutate comparativamente
con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli
alternative alla sua adozione.
Il corrispettivo complessivo
risulta formato da tre addendi: il valore venale del bene, l’indennità per il
pregiudizio non patrimoniale e l’indennità per il periodo di occupazione senza
titolo.
Per il pregiudizio non patrimoniale
deve essere corrisposto forfettariamente il 10% del valore venale del bene.
L’indennità per il periodo di
occupazione, se il ricorrente non prova il maggior danno, è determinata nel 5%
del valore venale.
La dottrina nota che tale
indennità è inferiore a quella prevista per la indennità di occupazione che è
calcolata in 1/12 del valore venale ossia in percentuale pari al 8,33%, ex art. 50, d.p.r. 327/2001, con
conseguente illegittimità costituzionale della stessa disposizione per
violazione al principio di uguaglianza.
La dottrina nota che l’adozione
di un meccanismo di sanatoria dell’illecita occupazione esteso non solo ai casi
sostenuta da una valida dichiarazione di pubblica utilità , ma anche a quella radicalmente illeciti è andato oltre
le condanne pronunciate dalla giurisprudenza europea.
Essa auspica la soluzione dei
problemi tanto per i casi di occupazione usurpativa che di quelli di
occupazione acquisitiva suggerendo comunque il meccanismo di restituzione del
bene a proprietario.
L'art. 42 bis risulta conforme
alle disposizioni della Cedu e alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo
che ha più volte condannato la Repubblica Italiana proprio perché i giudici
nazionali avevano riscontrato la perdita della proprietà in assenza di un
provvedimento motivato, previsto da una specifica previsione di legge. (Cons.
Stato, sez. VI 15.3.2012 n. 1438)
Nel
caso si specie la società espropriante
ha disposto l'acquisizione al proprio patrimonio dell'area sulla quale è
stata realizzata l’opera pubblica nell’ipotesi
la scogliera protettiva del tratto ferroviario.
La
sentenza ha pertanto deciso che la domanda di restituzione dell'area non può essere
accolta ed è divenuta improcedibile, in quanto sulla base di un provvedimento
autoritativo sopravvenuto - consentito dallo ius superveniens - la società ha
acquisito il diritto di proprietà dell'area di cui già aveva il possesso;
Ogni
contestazione avverso questo nuovo provvedimento può essere fatta valere nel caso di sua
impugnazione in sede di cognizione.
La
domanda risarcitoria, altresì riproposta, non può essere accolta in ragione della
avvenuta emanazione del provvedimento di acquisizione, ai sensi dell'art. 42
bis.
La giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo
La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo va riconosciuta anche per
ciò che attiene alle controversie relative alle espropriazioni cd.
"sananti" ed in presenza di domande che volte ad ottenere la condanna
dell'Amministrazione al risarcimento dei danni.
La
norma prevede una normativa speciale sugli effetti dell'illegittimità
dell'atto, che appare prevalente rispetto a quella generale, pur successiva,
rintracciabile nella legge sul procedimento.
Essa
stabilisce, infatti, che qualora sia impugnato un provvedimento di acquisizione
ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato
per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi
utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di
fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento
del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di
tempo".
Il
legislatore ha così ipotizzato non solo che l'acquisizione possa essere
comunque disposta senza che venga seguita la via maestra del procedimento, con
tutte le garanzie per esso previste, ma ha anche previsto che nel caso di
pendenza di ricorso per annullamento dell’occupazione si possa addivenire ad acquisizione.
L’art. 42 bis,
innova profondamente la norma non consentendo più la richiesta al g.a.
Essa impone alla
p.a. di adottare il provvedimento di acquisizione.
Non serve un
processo teso all’annullamento dell’atto ablatorio illegittimo perché
l’amministrazione può attivarsi in via di autotutela ed in ogni caso non può
paralizzare l’azione giudiziaria ma solo duplicare il procedimento impugnato..
La determinazione
del risarcimento del danno.
Il danno è quantificato dalla
legge e l’amministrazione condannata ha gli elementi per formulare un ipotesi
risarcitoria.
Nella fattispecie il giudice
amministrativo , ai sensi dell'art. 34, comma 4, del c.p.a., ha condannato il
Comune ad emanare, entro 60 giorni dalla comunicazione o notificazione, se
antecedente, della presente sentenza, un provvedimento di acquisizione, ex art. 42 bis t.u. espropriazioni, contenente la indicazione del risarcimento
dovuto ai ricorrenti per la perdita della proprietà del fondo;
La sentenza ha precisato che la quantificazione del risarcimento deve
avvenire secondo le disposizioni di cui al più volte citato art. 42 bis, d.p.r. n. 327/2001, integrato dai
criteri ricavabili dalla stima fatta dal consulente tecnico d'ufficio .
Il Comune deve inoltre offrire
gli interessi quale risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo;
Il giudice amministrativo è
investito di giurisdizione esclusiva ed ha, quindi, la possibilità di
condannare la pubblica amministrazione anche oltre che al risarcimento del
danno ad un facere .
Qualora il Comune non adotti un
atto formale volto all'acquisizione del bene dei ricorrenti ed al correlativo
risarcimento i ricorrenti potranno chiedere l'esecuzione della presente
decisione, per l'adozione delle misure consequenziali, rientrando nei poteri di
questo Tribunale la nomina di un commissario ad acta e la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per la
valutazione dei fatti, che dovessero condurre a tale ulteriore fase del
giudizio. Le spese di consulenza tecnica sono state poste a carico del Comune.
( T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 19.8.2011, n. 2102, DG, 2011).
L'art. 43, d.p.r. n. 327/2001,
ribadisce il principio per il quale, nel caso di occupazione sine titulo, vi è un illecito il cui
autore ha l'obbligo di restituire il suolo e di risarcire il danno cagionato,
salvo il potere dell'Amministrazione di fare venire meno l'obbligo di
restituzione ab extra, con l'atto di
acquisizione del bene al proprio patrimonio. In altri termini, a parte
l'applicabilità della disciplina civile sull'usucapione (per la quale il possesso
ultraventennale fa acquistare all'Amministrazione il diritto di proprietà pur
in assenza dell'atto di natura ablatoria), l'art. 43 testualmente preclude che
l'Amministrazione diventi proprietaria di un bene in assenza di un titolo
previsto dalla legge.
Analogo principio è riaffermato
dall’art. 42 bis.
Nella fattispecie il ricorrente è
tuttora proprietario dei suoli che il comune ha occupato per la realizzazione
dell'impianto di incenerimento dei rifiuti.
Di conseguenza il comune detiene
tali suoli illecitamente ed è tendenzialmente obbligato a restituirli previa
rimessione allo stato pristino, salvo che ne acquisti la proprietà facendo
ricorso al potere attribuiti dalla norma.
L'unico danno allo stato
risarcibile è quello derivante dallo spossessamento dei suoli e, venendo in
rilievo un illecito permanente deve essere respinta l'eccezione di
prescrizione.
Per la determinazione
dell'importo dovuto è decisiva la verifica se il comune intenda acquisire la
proprietà dell'area, ovvero se intenda restituirla al ricorrente, fermo
restando il suo diritto al risarcimento dei danni per il periodo di mancata
utilizzazione del fondo.
Il quantum deve essere
determinato dal comune in base alle disposizioni sostanziali del testo
unico sugli espropri.
Il valore da corrispondere al
privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell'immobile, individuato
"non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più
individuarsi in tale data, una volta venuto meno l'istituto della c.d.
accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore
dell'Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso
introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto
abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto
transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l'effetto traslativo de
quo" (Consiglio di Stato, sez. IV,
28 gennaio 2011, n. 676)
In relazione poi al danno
intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall'illegittima
occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati,
"i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore
del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato
in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate
andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla
data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito
della presente sentenza". Consiglio di Stato, sez. IV, 01/06/2011, n. 3331
L’ottemperanza
La sentenza della Corte Cost. n. 293
del 2010, nel rilevare un eccesso di delega e nel dichiarare
l'incostituzionalità dell'art. 43, ha fatto tornare l'ordinamento ad una
peculiare situazione, in cui di certo da un lato non poteva disconoscersi il
perdurante diritto di proprietà del titolare, malgrado la avvenuta costruzione
dell'opera pubblica o di interesse pubblico, e dall'altro non poteva negarsi
l'immanente potere di disporre l'esproprio in sanatoria, per evitare la
demolizione di quanto costruito a spese della
collettività e che, se del caso, ancora risultava conforme alle esigenze di
questa.
L'art.
42 bis del d.l. 98 del 2011, conv. l. 111/2011, ha dunque reintrodotto il
potere discrezionale già disciplinato dall'art. 43.
L'Amministrazione, valutati
gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento,
l'acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per
il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale; al comma 8 prevede poi
che le sue disposizioni "trovano altresì applicazione ai fatti
anteriori", sicché esso si applica senza alcun dubbio anche nella
fattispecie in esame.
L’Amministrazione ha dunque l'obbligo giuridico di far venir
meno la occupazione sine titulo e
cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto. Consiglio di
Stato, sez. IV, 01/06/2011, n. 3331.
Essa o deve restituire i terreni ai titolari, demolendo
quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi
perché vi sia un titolo di acquisto dell'area da parte del soggetto attuale
possessore.
In assenza di atti di natura ablatoria ex art. 42 bis o di
contratti di acquisto delle relative aree, sussiste il potere dovere del giudice amministrativo di avvalersi, anche per il tramite del
commissario ad acta, e di disporre -
con le necessarie cautele per la pubblica incolumità - la materiale rimozione,
anche con l'esplosivo, delle opere che attualmente risultano senza titolo.
Nel giudizio di ottemperanza il g.a. può avvalersi dei propri
poteri tipici della giurisdizione di merito e dunque tenere in debito conto le
esigenze di interesse pubblico che militano - in attesa delle determinazioni da
fare assumere ai sensi dell'art. 42 bis
- nel senso del provvisorio mantenimento del nodo stradale ormai completato e
da tempo aperto al pubblico transito.
Il g.a. nella fattispecie ha disposto che:
a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla
comunicazione o dalla previa notifica della presente sentenza), il commissario ad acta trasmetta ai proprietari
l'avviso di avvio del procedimento previsto dall'art. 42 bis del testo unico degli espropri, consentendo loro, entro un
termine non inferiore a sette giorni, di rappresentare il loro punto di vista
sia sulla complessiva vicenda e sulla sussistenza o meno di un interesse
pubblico, tale da giustificare l'emanazione dell'atto di acquisizione, sia sul
valore dell'area in questione (specificando il suo ipotizzato valore complessivo
ovvero computandolo a metro quadrato);
b) decorsi i medesimi termini, entro i successivi sessanta
giorni, il commissario:
b1) debba emanare il formale provvedimento di acquisizione
dell'area, ai sensi dell'art. 42 bis, disponendo l'onere a carico della società
che sarebbe risultata beneficiaria nel caso di emanazione del decreto di
esproprio
b2) in alternativa, debba emettere un atto formale (di cui
assumerà tutte le responsabilità), in cui dichiari che la p.a. non ritiene
sussistenti i presupposti di emanazione dell'atto di acquisizione previsto
dall'art. 42 bis, contestualmente dandone notizia al Genio Civile affinché tale
organo si rechi sul posto e nel minore tempo possibile disponga la materiale
demolizione del tracciato stradale, nonché alla procura competente della Corte
dei Conti, affinché essa sia informata delle vicende che hanno condotto allo
sperpero del denaro pubblico.
Il commissario, non appena avrà emanato uno dei due
provvedimenti da emanare in alternativa come previsto dalle precedenti lettere
b1) e b2), invierà una articolata e documentata relazione al g.a.
Ove tale termine trascorra inutilmente, senza atti formali,
della vicenda sarà data notizia alla procura della Repubblica presso il
Tribunale
In altra fattispecie il giudice
amministrativo ha deciso che:
a) entro il termine fissato
decorrente dalla comunicazione il comune
e ricorrente possono addivenire ad un
accordo, in base al quale la proprietà dei suoli venga trasferita al comune e
al ricorrente corrisposta la somma specificamente concordata;
b) ove tale accordo non sia
raggiunto entro il termine, il comune - entro i successivi sessanta giorni –
può emettere un formale e motivato decreto, con cui dispone o la restituzione
dell'area a suo tempo occupata, previa rimessione allo stato pristino, ovvero
l'acquisizione di questa al suo patrimonio indisponibile, ai sensi dell'art.
43.
Nel caso di restituzione
dell'area, il comune è tenuto a risarcire il danno relativo al periodo della
sua utilizzazione senza titolo (cioè dalla data di scadenza dei termini di
occupazione legittima e sino a quella della effettiva restituzione), danno che,
in difetto di indicazioni da parte del ricorrente circa i redditi che egli
ritraeva dal bene, può essere stimato in misura corrispondente agli interessi legali
sul valore di mercato dei suoli a decorrere dal giorno in cui ciascuna
occupazione è divenuta illecita.
Se invece le parti non concludano
alcun accordo e il comune neppure adotti un atto formale volto alla
restituzione o alla acquisizione dell'area in questione, decorsi i termini
sopra indicati il ricorrente può
chiedere alla Sezione l'esecuzione della presente sentenza, per la conseguente
adozione delle misure consequenziali
c) rientra nei poteri della
Sezione la nomina di un commissario ad
acta e la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, per la sua
valutazione dei fatti (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 20.5.2008, n. 576, FATAR, 2008, 5, 1362).
La comunicazione alla Corte dei
Conti
L’autorità che emana il
provvedimento deve darne comunicazione alla Corte dei Conti perché si attivi
qualora riscontri nei comportamenti tenuti dall’amministrazione un danno
erariale.
La richiesta di intervento
dicontrollod ella Corte dei Conti prima ritenuto una facoltà della p.a . è ora
ritenuto un obbligo , ex art. 42 bis, co. 7, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
La giurisprudenza ritiene che la ratio sia quella di garantire che l'espropriazione della proprietà
privata per scopi di pubblica utilità non si trasformi in un danno ingiusto a
carico del cittadino e che l'ablazione del bene ed i connessi effetti
indennitari e/o risarcitori conseguano necessariamente ad un formale
provvedimento della p.a.
Quanto all'accertamento
dell'elemento soggettivo della responsabilità extracontrattuale, poiché il
soggetto danneggiato può limitarsi ad indicare gli elementi costituenti indici
presuntivi della colpa della pubblica amministrazione, sulla quale incombe
l'onere di provare il contrario, ovvero la sussistenza di un errore scusabile.
La conduzione negligente del
procedimento espropriativo che non
rispetta l'iter di formazione della
deliberazione di localizzazione, secondo un costante indirizzo
giurisprudenziale, e in carenza di dimostrazione circa la sussistenza di un
eventuale errore scusabile da parte del Comune, fa presumere sussistente anche
l'elemento soggettivo dell'illecito procedimento ablativo.( T.A.R. Sicilia
Catania, sez. III, 19.8.2011, n. 2102, DG,
2011).
Nessun commento:
Posta un commento