I
BENI PUBBLICI TUTELA AMMINISTRATIVA E
GIURISDIZIONALE
Parte
Prima
I
beni demaniali
Capitolo
primo
1.
I beni pubblici.
Guida
bibliografica.
1.
La classificazione dei beni pubblici.
La
dottrina non ha risparmiato critiche alla classificazione proposta dal c.c.,
che distingue le varie categorie di beni secondo un criterio meramente formale,
ed ha formulato nuovi criteri per una classificazione più rispondente alle
caratteristiche oggettive dei beni. Giannini 1963, 29.
La
dottrina tende a privilegiare un metodo di osservazione dei beni da parte
dell’amministrazione che tiene conto del tipo di utilità pubblica che ciascun
gruppo di beni soddisfa indipendentemente dal fatto che questi – pur essendo
riconducibili ad un medesimo gruppo di beni – appartengano, invece secondo la
sistemazione fatta dal codice, al demanio o al patrimonio indisponibile.
Come
ad esempio le opere militari che sono qualificate demaniali dall'art. 822, 1°
co., e le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra
che sono inseriti, invece, tra i beni indisponibili dall’art. 826, 2° co., c.c.
Detti
beni hanno lo stesso scopo e sono destinati a garantire la difesa nazionale.
Pellicciari 2004, 2155.
La
bipartizione fra demanio e patrimonio non significa che la personalità dello
Stato o degli altri enti territoriali si sdoppi. La dottrina ritiene superate
le concezioni che vedevano lo Stato da un lato nella sua veste sovrana e il
Fisco dall’altro come persona giuridica autonoma con lo scopo di procurarsi le
entrate per amministrare il pubblico patrimonio. Resta 1964, 64.
2.
I beni demaniali.
I
beni demaniali sono tassativamente elencati dal legislatore e non possono
ammettersi estensioni tali da farvi rientrare generi non considerati dai testi
legislativi. Sandulli 1984, 741.
L’impostazione
della disciplina codicistica distingue nell’ambito dei beni del demanio
pubblico quelli appartenenti allo Stato e quelli appartenenti alle provincie e
ai comuni. Cerulli Irelli 1997, 662.
3.
Il demanio regionale.
L’esistenza
di un demanio regionale è riconosciuta dall’art. 119 cost.
La
definizione di detto patrimonio spetta al legislatore ordinario.
Diversamente
per le regioni a statuto speciale il demanio regionale è previsto dai relativi
statuti. Sandulli 1984, 742.
4.
I beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali.
I
beni demaniali delle province e dei comuni appartengono al demanio accidentale
ossia rivestono carattere demaniale solo se appartengono all’ente territoriale,
salvi i diritti esclusivi di pesca. Sandulli 1984, 744.
5.
I beni patrimoniali indisponibili.
La
dottrina fa una distinzione nella categoria dei beni immobili patrimoniali
indisponibili.
Da
una parte vi è un patrimonio indisponibile necessario dello Stato, costituito
dalle caserme, dai beni della dotazione del Capo dello Stato, dalle miniere e
dalle foreste. Queste ultime, a norma delle leggi in materia formano il demanio
forestale dello Stato, ex art. 826, 2° co., c.c. e, dopo il 1970, costituiscono
il patrimonio indisponibile necessario delle regioni, ex art. 11, commi 4 e 5,
l. 281/1970.
Dall’altra
parte vi sono i beni del patrimonio indisponibile accidentali come gli edifici
destinati a sede degli uffici pubblici e gli altri beni destinati a un pubblico
servizio, ex art. 826, 3° co., c.c. Sorace 2003, n. 1.
6.
I beni patrimoniali disponibili.
La
categoria dei beni patrimoniali disponibili è residuale.
Essa
è costituita dai beni ai quali non si applica la disciplina dei beni demaniali
né quella dei beni patrimoniali indisponibili, ma quella ordinaria del codice
civile, ex artt. 826, 1° co., e 828, 1° co., c.c.
Lo
Stato e gli altri soggetti pubblici possono essere proprietari di beni allo stesso
modo in cui lo sono i soggetti privati. Sorace 2003, n. 1.
7.
I beni vacanti.
L’art.
827 c.c. risolve il problema della proprietà dei beni privi di proprietario,
che il precedente codice del 1865 non regolava, attribuendoli allo Stato. Resta
1964, 115.
8.
I beni degli enti pubblici non territoriali.
I
beni degli enti pubblici non territoriali (dunque, per esempio, degli enti
previdenziali), se destinati a un pubblico servizio appartengono alla categoria
dei beni patrimoniali indisponibili. Sorace 2003, n. 1.
9.
I beni privati di interesse pubblico.
La
dottrina riconosce che i beni appartenenti ai privati possono assolvere a
finalità di pubblico interesse. Per tale loro natura i beni sono assoggettati
ad un particolare regime in ordine alla disponibilità, vincolandone la
destinazione e sottoponendo ogni loro manutenzione o modifica a autorizzazione
amministrativa. Sandulli 1984, 739.
1.
I principi costituzionali.
L’
art. 119, comma 6, cost. , così come sostituito dall'art. 5 L. cost.
18.10.2001, n. 3, afferma che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e
le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali
determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo
per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui
prestiti dagli stessi contratti
1.
La classificazione dei beni pubblici.
La
proprietà dei beni da parte di soggetti pubblici ha una disciplina diversa
dalla proprietà privata.
Le
pubbliche amministrazioni hanno poteri, doveri e un sistema di tutela dei loro
beni che sono particolari.
La
qualifica di bene pubblico presuppone non solo la appartenenza del bene a un
soggetto pubblico, ma anche un regime giuridico che per taluni aspetti, ha
caratteristiche diverse dal regime comune.
Si
tratta di un regime definibile complessivamente di "proprietà
pubblica", cioè caratterizzato da tratti pubblicistici, sia in quanto
comprende in alcuni casi e per certi aspetti anche poteri autoritari - per la
tutela dei beni demaniali l'art. 823, comma 2, c.c. attribuisce all'autorità
amministrativa la facoltà di provvedere procedendo "in via amministrativa
- sia per il rilievo che assumono gli interessi pubblici alla cui soddisfazione
risultano strumentali, tanto in relazione alle modalità di godimento che ai
poteri di disposizione e alla loro idoneità alla circolazione giuridica.
(Sorace
2003, n. 1).
Il
codice civile definisce il bene come le cose che possono formare oggetto di
diritti.
Il
legislatore ha definito il bene anziché la cosa. Il bene è l’oggetto che ha
rilevanza per il diritto mentre il termine cosa è di portata di più generale
per cui vi sono alcune cose che non possono esser oggetto di diritti (Resta
1964, 1).
Sono
definiti beni pubblici i beni demaniali e i beni patrimoniali.
I
beni demaniali sono quelli che appartengono allo Stato o ad altro ente pubblico
territoriale, quale comune, provincia e regione; essi sono espressamente
indicati dall’art. 822 e dall’art. 824 del c.c.
La
classificazione è considerata tassativa. Essa è stata estesa dalla
giurisprudenza ai beni sostanzialmente assimilabili.
La
previsione dei tipi di beni demaniali fatta negli artt. 822 e 824 c.c. è si
tassativa, ma va comunque interpretata in modo da includervi anche i beni
sostanzialmente assimilabili ai tipi definiti in senso stretto; pertanto, la
oggettiva ricorrenza, nel singolo immobile, dei caratteri definitori
dell'appartenenza del bene a una determinata categoria di bene demaniale è
sufficiente in sé a determinare la demanialità indipendentemente
dall'intervento di atti ricognitivi o di inclusioni in elenchi o albi.
(T.A.R.
Campania Napoli, sez. III, 14.11.1995, n. 597, T.A.R., 1996, I, 265).
I
beni patrimoniali sono quei beni che appartengono all’amministrazione a titolo
di proprietà privata.
Il
regime che li caratterizza si differenzia a seconda che i beni appartengano al
patrimonio indisponibile o a quello disponibile dell’ente pubblico.
I
beni del patrimonio indisponibile sono destinati al servizio pubblico.
Per
quanto attiene ai beni indisponibili l'elencazione contenuta nell'art. 826 c.c.
non è altrettanto tassativa perché tale norma, dopo aver indicato alcuni beni
indisponibili dello Stato, stabilisce - nell'ultimo comma - che fanno parte del
patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei
comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici
pubblici, con i loro arredi e gli altri beni destinati a pubblico servizio.
Essi non possono essere trasferiti se non in ragione della normativa che li regola.
Essi non possono essere trasferiti se non in ragione della normativa che li regola.
I
beni patrimoniali disponibili sono soggetti al regime privatistico e possono
pertanto essere trasferiti anche ai privati.
La
dottrina si è sforzata di identificare il criterio razionale in base al quale i
beni pubblici sono ripartiti tra demanio e patrimonio.
L’opinione
preferibile è che i beni demaniali hanno una destinazione finale al
raggiungimento di scopi di interesse pubblico, cioè tali scopi si conseguono
direttamente col loro uso; mentre i beni patrimoniali hanno una destinazione
strumentale cioè realizzano interessi pubblici attraverso la loro
utilizzabilità economica o il loro valore di scambio (un edificio può essere
utilizzato come caserma, scuola, ospedale o può essere locato, applicando poi
il provento al conseguimento di una qualsiasi finalità dell’ente proprietario).
(Landi,
Potenza e Italia 1999, 107).
Per
altri non esistono criteri di distinzione se non quelli meramente formali
relativi al dettato legislativo.
La
distinzione va impostata alla stregua di un criterio meramente formale: la
discriminazione fattane dal diritto positivo.
(Sandulli
1984, 741).
La
critica alla classificazione tradizionale.
La
dottrina critica la classificazione tradizionale ritenendola meramente descrittiva
e legata ad applicazioni pratiche del tutto marginali.
La
l. 827/1924 prevede, infatti, all’art. 3 l’obbligo di redigere l'inventario dei
beni di demanio pubblico.
I
beni devono essere descritti secondo le indicazioni desunte dai rispettivi
catasti ovvero dai registri delle singole amministrazioni. L'inventario di tali
beni è fatto eseguire a cura del Ministero delle finanze e delle altre
amministrazioni centrali ai cui servizi i beni sono addetti.
Si
fa notare che la vera distinzione è quella esistente fra i beni pubblici –
ricomprendendo fra questi sia i beni demaniali sia quelli patrimoniali
indisponibili secondo le indicazioni del codice – e i beni patrimoniali come
quelli soggetti al diritto comune. (Cerulli Irelli 1997, 663).
Questa
dottrina propone una classificazione funzionale e tiene distinti i beni
riservati, ossia quei beni che devono appartenere obbligatoriamente
all’amministrazione, come il lido del mare, e connessi strettamente alla
esplicazione del servizio pubblico, come le opere destinate alla difesa
nazionale, da quelli destinati ad un servizio pubblico per decisione
dell’autorità competente.
La
critica non impedisce di aderire alla classificazione codicistica ancorata alla
tripartizione fra beni pubblici demaniali, patrimoniali indisponibili e
patrimoniali disponibili (Pellicciari 2004, 2153).
2.
I beni demaniali
I
beni demaniali sono quelli che, appartenendo allo Stato o ad altro pubblico
territoriale, quale comune, provincia e regione, sono assoggettati al
particolare regime di cui all’art. 822 del c.c. per essere indicato dalla legge
come bene demaniale (Virga 1995, 363).
Gli
enti pubblici territoriali sono quegli enti caratterizzati dal fatto di
comprendere tutti gli individui che appartengono al territorio che è elemento
costitutivo dell’ente (Sandulli 1984, 198).
Gli
enti territoriali sono tradizionalmente lo Stato, le Regioni, le Province ed i
Comuni; detti enti hanno la capacità di essere titolari d diritti reali secondo
due modi diversi.
Essi
possono possedere a titolo pubblico, in tal caso i beni posseduti rientrano nel
demanio dell’ente, o a titolo privato, ed in tal caso i beni rientrano nel
patrimonio dell’ente.
La
distinzione si collega a quella fra diritto pubblico e diritto privato e alla
conseguente ripartizione delle attività degli enti territoriali in attività
pubbliche private.
La
distinzione ha effetti sostanziali nel regime dei beni che derivano
dall’utilizzo degli stessi.
Ad
esempio i beni appartenenti al demanio sono ritenuti essenziali per i fini
propri dell’attività dell’ente per questo i beni che vi rientrano sono
assoggettati ad una disciplina che ne vieta la alienazione fino a che fanno
parte di questa categoria.
I
beni demaniali sono identificati dal codice civile, artt. 822-831, che ne detta
la disciplina sostanziale, e dalla legislazione speciale.
L’art.
822 c.c. distingue fra i beni che necessariamente devono essere demaniali, il
demanio necessario, dai beni che possono fare parte del demanio, il demanio
accidentale.
Sono
beni del demanio necessario quelli del demanio marittimo, idrico e militare.
I
beni del demanio marittimo. In particolare, fanno parte di tale demanio il lido
del mare, la spiaggia, le rade ed i porti la cui disciplina è demandata al
codice della navigazione.
Esso
fissa la procedura di delimitazione dei beni appartenenti.
Ai
fini del riconoscimento della demanialità delle aree, il fatto che un terreno
sia indicato nelle mappe catastali come compreso nel demanio marittimo dimostra
che è stata a suo tempo espletata la procedura di delimitazione di cui al
combinato disposto degli artt. 32 c. n. e 58 del regolamento di attuazione per
la navigazione marittima. In assenza, quindi, di alterazioni dello stato di
fatto la natura demaniale del terreno, così come verificata e registrata, non può
essere oggetto di contestazione.
(T.A.R.
Puglia Lecce, sez. I, 21.10.2005, n. 4527).
I
beni del demanio idrico. Fanno parte di detto demanio i fiumi, i torrenti, i
laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia.
La
legislazione speciale è rappresentata dal Regio decreto 11 dicembre 1933, n.
1775 che approva il t.u. delle disposizioni di legge sulle acque e impianti
elettrici, e dal d.p.r. 18.2.1999, n. 238 che approva il Regolamento recante
norme per l'attuazione di talune disposizioni della l. 5.1.1994, n. 36, in
materia di risorse idriche.
1.
Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque
sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne.
(art. 1, d.p.r. 18.2.1999, n. 238).
(art. 1, d.p.r. 18.2.1999, n. 238).
Fanno
parte dei beni del demanio militare le opere destinate alla difesa nazionale.
Fanno
parimenti parte del demanio pubblico accidentale quei beni che sono demaniali
solo se appartengono allo Stato.
Sono
beni del demanio accidentale quelli del demanio stradale, ferroviario,
aeronautico, gli acquedotti, i beni del demanio artistico e gli altri beni
individuati dalla legislazione speciale.
Fanno
parte del demanio stradale le strade, le autostrade.
Detti
beni trovano regolamentazione nel d.lg. 30.4.1992, n. 285, che approva il
codice della strada.
Affinché
un'area privata venga a far parte del demanio stradale, non è sufficiente che
la strada sia posta all'interno di un centro abitato e che su di essa si
esplichi di fatto il transito pubblico, ma è invece necessario che sia
intervenuto un atto o un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, etc.)
che ne abbia trasferito il dominio alla p.a.
La
strada deve essere destinata all'uso pubblico dalla stessa p.a.
Costituiscono
meri indici di riferimento, ciascuno di per sé solo non sufficiente al fine di
stabilire a chi ne debba essere attribuita la proprietà, l'uso della strada da
parte di un numero indeterminato di persone, il comportamento in relazione ad
essa della amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica, e la
sua inclusione in un centro abitato (indicata, nella specie, dal ricorrente
come circostanza dirimente), secondo la originaria previsione dell'art. 16,
lettera c), l. 20.3.1865, n. 2248, all. F, poi sostituito dall'art. 7, lett.
c), l. 12.2.1958, n. 126.
Fanno
parte del demanio ferroviario le strade ferrate.
Fanno
parte del demanio aeronautico gli aerodromi. Essi trovano la loro disciplina
normativa nel codice della navigazione.
1.
Fanno parte del demanio aeronautico civile statale:
a) gli aerodromi civili istituiti dallo Stato o appartenenti al medesimo;
b) ogni costruzione o impianto appartenente allo Stato strumentalmente destinato al servizio della navigazione aerea.
2. Gli aerodromi militari fanno parte del demanio militare aeronautico.
a) gli aerodromi civili istituiti dallo Stato o appartenenti al medesimo;
b) ogni costruzione o impianto appartenente allo Stato strumentalmente destinato al servizio della navigazione aerea.
2. Gli aerodromi militari fanno parte del demanio militare aeronautico.
(art.
692, r.d. 30.3.1942, n. 327).
Fanno
parte del demanio gli acquedotti.
Essi
sono stati trasferiti alle regioni dall’art. 11, l. 16.5.1970, n. 281.
Fanno
parte del demanio gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e
artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche.
La
legislazione è raccolta nel d.lg. 42/2004 che fissa le modalità per attribuire
la qualifica di bene di interesse storico-artistico.
La
necessità di un provvedimento costitutivo anche per i beni di interesse
storico-artistico appartenenti agli enti pubblici territoriali è in ogni caso
postulata anche dalle disposizioni del codice civile ove, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 822 e 824, c.c., fanno parte del demanio gli
immobili di proprietà di Stato, province e Comuni, "riconosciuti di
interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in
materia", con ciò evidenziandosi che la qualificazione di beni sottoposti
al regime della l. 1089 del 1939 – ora sost. dal d.lg. 42/2004 - presuppone un
apposito atto di riconoscimento che accerti l'interesse alla tutela.
Fanno
parte del demanio, inoltre, gli altri beni individuati dalla legislazione
speciale che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio
pubblico.
La
norma non consente l’estensione della demanialità in via analogica, ma impone
all’interprete, nei casi dubbi, una concreta indagine sul regime giuridico
positivo dei beni.
La
natura demaniale potrà essere ritenuta solo quando, pur in difetto di una
esplicita dichiarazione, tale regime sia integralmente quello della proprietà
pubblica. (Landi, Potenza e Italia 1999, 107).
3.
Il demanio regionale.
L’art.
119 cost. fissa il principio generale che riconosce anche agli enti
territoriali la possibilità di avere un proprio patrimonio.
La
norma non indica i beni che tale demanio deve comprendere e rimette la loro
determinazione alla legge.
6.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio
patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge
dello Stato.
(art.
119 cost.).
I
beni demaniali sono espressamente elencati dagli statuti speciali della
Sicilia, della Sardegna, della Val D’Aosta e del Trentino Alto Adige, mentre lo
statuto del Friuli Venezia Giulia, approvato con l. cost. 31.1.1963, n. 1, non
contempla i beni demaniali della regione perciò, in questo caso, si deve fare
riferimento, come per le regioni a statuto ordinario, alla legislazione
speciale.
L’art.
32 del r.d.lg. 15.5.1946, n. 455 che approva lo statuto della Regione siciliana
afferma che i beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche
esistenti nella Regione, sono assegnati alla Regione, fatta eccezione per
quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale.
L’art. 13, l. cost. 26.2.1948, n. 3 che approva lo Statuto speciale per la Sardegna definisce la successione della regione nel possesso dei beni del demanio statale.
L’art. 13, l. cost. 26.2.1948, n. 3 che approva lo Statuto speciale per la Sardegna definisce la successione della regione nel possesso dei beni del demanio statale.
La
Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti
patrimoniali dello stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso
il demanio marittimo.
I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione.
I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione.
(art. 13, l. cost. 26.2.1948, n. 3).
I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione.
I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione.
(art. 13, l. cost. 26.2.1948, n. 3).
Il
valore non immediatamente precettivo della norma statutaria è confermato
dall'art. 39, d.p.r. 19.5.1949, n. 250, che attua lo Statuto speciale per la
Sardegna. Esso prevede un'apposita procedura per il trasferimento alla Regione
dei beni dello Stato da individuarsi in appositi elenchi.
L'art.
14, l. cost. 26.2.1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), che regola la
successione della Regione nella titolarità dei beni e dei diritti patrimoniali
immobiliari e demaniali dello Stato (escluso il demanio marittimo), non ha
portata immediatamente precettiva, stante anche il disposto dell'art. 39,
d.P.R. 19 maggio 1949 n. 250 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la
Sardegna), che prevede un'apposita procedura per il trasferimento alla Regione
dei beni statali, da individuarsi in appositi elenchi.
Ai sensi dell’art. 39, 2° co., d.p.r. 19.5.1949, n. 250, da tali elenchi dovevano restare esclusi i beni del demanio marittimo nonché le strade statali e relative pertinenze e i beni demaniali e patrimoniali connessi a servizi di competenza statale e a monopoli fiscali.
Per essi, dunque, vale il precetto dell'art. 14, 2° co., dello Statuto, per il quale i beni e i diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato finché duri tale condizione.
Il momento accertativo del venire meno dell'anzidetta destinazione con trasferimento del diritto dominicale sul bene, peraltro, lungi dal realizzarsi in via automatica nel caso di cessazione del servizio cui i beni sono strumentalmente connessi, non può che seguire ad un esplicito atto di dismissione da parte della competente autorità statale. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 6.5.2005, n. 1049, FATAR, 2005, 5 1743).
L’art.
5, l. cost. 26.2.1948, n. 4 che approva lo Statuto speciale per la Valle
d'Aosta dispone che i beni del demanio dello Stato situati nel territorio della
Regione, eccettuati quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di
carattere nazionale, sono trasferiti al demanio della Regione.
Sono altresì trasferiti al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile.
La giurisprudenza ha precisato che l'art. 5 dello statuto speciale per la Valle d'Aosta prevede il trasferimento ipso iure al demanio regionale dei beni del demanio dello Stato situati nel territorio regionale, esclusi quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale.
Sono altresì trasferiti al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile.
La giurisprudenza ha precisato che l'art. 5 dello statuto speciale per la Valle d'Aosta prevede il trasferimento ipso iure al demanio regionale dei beni del demanio dello Stato situati nel territorio regionale, esclusi quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale.
Nella
specie, la causa di esclusione del trasferimento deve ritenersi cessata
quantomeno con la messa in vendita del bene ai privati da parte della p.a.
L’interpretazione
giurisprudenziale consente che la cessazione della causa di esclusione del
trasferimento intervenga anche successivamente all'entrata in vigore dello
statuto medesimo. (Corte cost., 10.10.1991, n. 383, CS, 1991, II,1626).
L’art.
66, d.p.r. 31.8.1972, n. 670, che approva il testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
dispone che le strade, le autostrade, le strade ferrate e gli acquedotti che
abbiano interesse esclusivamente regionale e che saranno determinati nelle
norme di attuazione del presente statuto costituiscono il demanio regionale.
Per
le altre regioni l’art. 11 della l. 281/1970 elenca i beni che fanno parte del
demanio regionale.
1.
I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822 del
codice civile, se appartengono alle Regioni per acquisizione a qualsiasi
titolo, costituiscono il demanio regionale e sono soggetti al regime previsto
dallo stesso codice per i beni del demanio pubblico.
2. Il medesimo regime si applica ai diritti reali che spettano alle Regioni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni previsti dal comma precedente o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quello a cui servono i beni medesimi.
3. Sono trasferiti alle Regioni e fanno parte del demanio regionale i porti lacuali e, se appartenenti allo Stato, gli acquedotti di interesse regionale.
4. I beni appartenenti alle Regioni, che non siano della specie di quelli previsti dai commi precedenti, costituiscono il patrimonio delle Regioni.
(art. 11 della l. 281/1970).
2. Il medesimo regime si applica ai diritti reali che spettano alle Regioni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni previsti dal comma precedente o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quello a cui servono i beni medesimi.
3. Sono trasferiti alle Regioni e fanno parte del demanio regionale i porti lacuali e, se appartenenti allo Stato, gli acquedotti di interesse regionale.
4. I beni appartenenti alle Regioni, che non siano della specie di quelli previsti dai commi precedenti, costituiscono il patrimonio delle Regioni.
(art. 11 della l. 281/1970).
La
norma è direttamente applicabile alle regioni a statuto ordinario e non a
quelle a statuto speciale.
L'art.
11, 5° co., l. 16.5.1970, n. 281, che ha trasferito alle regioni a statuto
ordinario le acque minerali e termali, non è applicabile alla regione Valle
d'Aosta, il cui statuto speciale non comprende i detti beni nel patrimonio
della regione.
L’attribuzione
di beni appartenenti al demanio regionale agli enti locali è stata ritenuta
legittima dalla Corte Costituzionale purché vi sia uno stretto rapporto tra la
proprietà del bene ed il servizio che l’ente locale eroga utilizzando il bene
medesimo.
Non
sono fondate, con riferimento agli art. 42, 1° e 3° co., 117, 119, 1° e 4° co.,
121, 4° co., cost. le questioni di legittimità costituzionale degli art. 1 2°
co., 3, 1°, 5° e 6° co., ed 8, 3° co., della deliberazione legislativa
riapprovata il 7.3.1995 dalla regione Toscana (attribuzione ai comuni e alle
province di beni immobili regionali).Nell'esercizio della propria potestà
legislativa in tema di beni patrimoniali, che deriva direttamente dall'art. 119
comma ultimo cost., la regione Toscana ha ritenuto, con la norma dell'art. 1,
1° co., dell'impugnata deliberazione di prevedere la possibilità d'attribuire
le proprietà dei beni immobili facenti parte del suo patrimonio disponibile, a
quei comuni e province che ne fossero gli utilizzatori attuali e diretti; e ciò
sull'evidente premessa della configurabilità del nesso di strumentalità tra il
bene stesso e l'erogazione di servizi o lo svolgimento di funzioni
istituzionali.
3.1.
Gli effetti del trasferimento dei beni alle regioni.
Il
trasferimento alle regioni di determinati servizi pubblici non comporta anche
il trasferimento dei beni dello Stato destinati all’erogazione del servizio
medesimo.
È
infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, 1° co., 2 e
5, l. 2.12.1991, n. 390, sollevata in riferimento agli artt. 3, 97, 118, e 119,
cost. per il fatto che alle regioni è attribuito solo l'uso perpetuo e gratuito
(e non la proprietà) dei beni dello Stato destinati alla realizzazione del
diritto allo studio universitario: gli art. 118 e 119 cost. non impongono il
trasferimento alle regioni della proprietà dei beni destinati a funzioni
regionali e la norma in questione assicura comunque alle regioni una forma di
disponibilità dei beni commisurata ai contenuti della funzione trasferita,
secondo evidenti criteri di razionalità.
Gli
artt. 118 e 119, cost. non configurano un parallelismo necessario fra le
funzioni attribuite alle regioni e l'appartenenza regionale dei beni connessi
all'esercizio di esse, ben potendosi avere, da un lato, beni inclusi nel
patrimonio regionale, senza corrispondere a funzioni regionali determinate, e,
dall'altro lato, funzioni regionali cui non corrisponde la proprietà dei beni
ad esse strumentalmente connessi.
Il
trasferimento della proprietà di beni alle regioni impedisce che gli enti
locali possono avere compiti gestionali in ordine a detti beni. Detti atti
rimangono nella competenza delle regioni.
La
giurisprudenza ha escluso che ai comuni possa essere riconosciuta una potestà
concorrente nella approvazione del Piano delle coste poiché le funzioni
amministrative in materia di utilizzo del demanio marittimo a fini turistici
sono state delegate, e successivamente conferite, dallo Stato in via esclusiva
alla Regione.
La
delibera comunale di approvazione del Piano comunale delle coste ha il valore
di semplice "parere" - atto endoprocedimentale - reso all'interno del
procedimento di approvazione del Piano di utilizzo delle coste di competenza
regionale. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I,
5.7.2005, n. 3607,
FATAR, 2005, f. 7/8,2562).
3.2.
I conflitti in materia di trasferimento.
Il
conflitto di attribuzione in materia di trasferimento di beni demaniali è stato
riconosciuto dalla Corte Costituzionale che ha annullato i provvedimenti
governativi che non hanno rispettato le modalità procedimentali fissate dalle
leggi di devoluzione.
Nel
caso di specie l'art. 59, 1° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616, ha disposto che
sono delegate alle Regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo,
sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio
lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche
e ricreative, escludendo dalla delega le funzioni in materia di navigazione
marittima, di sicurezza nazionale e di polizia doganale.
L'art. 59, 2° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616, stabilisce però che la delega in questione non si applica ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima. L'identificazione delle aree escluse è stata effettuata con d. p. c. m. 21.12.1995 ignorando la proposta di parere, formulata dal Consiglio regionale con conseguente illegittimità del decreto.
L'art. 59, 2° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616, stabilisce però che la delega in questione non si applica ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima. L'identificazione delle aree escluse è stata effettuata con d. p. c. m. 21.12.1995 ignorando la proposta di parere, formulata dal Consiglio regionale con conseguente illegittimità del decreto.
È
ammissibile, in sede di conflitto di attribuzione, la censura della regione,
che denuncia l'impedimento alla propria reale partecipazione al procedimento
per l'individuazione dei beni demaniali marittimi esclusi, per il preminente
interesse nazionale, dalla delega alle regioni, atteso che il parere della
conferenza Stato - regioni non ha carattere assorbente o sostitutivo del parere
delle regioni interessate.
Altre
controversie sulla proprietà dei beni sono state dichiarate soggette alla
giurisdizione ordinaria.
La
giurisprudenza ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di
attribuzione proposto dalla regione nei confronti dello Stato relativamente a
controversie in materia di rivendica della titolarità degli immobili soggetti a
potenziale trasferimento.
L'erronea
inclusione negli elenchi nella procedura di trasferimento è soggetta ad azione
di rivendica da parte degli organi statali preposti.
In
tema di trasferimento alle Province di Trento e di Bolzano di beni dello Stato,
secondo le norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino
Alto-Adige rese dal d.p.r. 20.1.1973, n. 115, l'Amministrazione delle finanze,
in qualità di preposta alla cura del demanio e del patrimonio dello Stato, ha
facoltà di agire davanti al giudice ordinario per denunciare l'erronea
inclusione negli elenchi - di cui all'art. 8 del citato decreto, da formarsi
d'intesa fra i competenti organi statali e la provincia interessata - di beni
non contemplati dalla legge, considerato che siffatta denuncia non investe un
conflitto di attribuzioni di competenza della corte costituzionale, né coinvolge
un sindacato sulla legittimità del provvedimento amministrativo, di competenza
del giudice amministrativo, ma si traduce in una vindicatio rerum, a
tutela di posizioni di diritto soggettivo.
Del
pari è stato dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione
proposto dalla regione Friuli Venezia Giulia nei confronti dello Stato nella
parte in cui rivendica la titolarità degli immobili non strumentali alle tratte
del torrente Judrio e dei fiumi Livenza e Tagliamento, rimaste nel demani
idrico statale che non attiene a poteri e funzioni costituzionalmente
attribuiti alla regione.
Il
ricorso dalla regione Friuli Venezia Giulia nei confronti dello Stato in
relazione della nota 3 aprile 2003 n. prot. 2096, del provveditorato regionale
alle opere pubbliche - magistrato alle acque di Venezia si risolve in una mera
pretesa di carattere patrimoniale vindicatio rei, in quanto diretto
all'accertamento del titolo giuridico di appartenenza dei beni, senza
coinvolgere alcuna titolarità di attribuzioni garantite dalla Costituzione o
dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione vindicatio
potestatis.
Spetta
allo Stato, e per esso al provveditorato regionale alle opere pubbliche -
magistrato alle acque di Venezia - invitare, con nota del 3.4.2003 n. prot.
2096, le agenzie del demanio a non procedere al trasferimento degli immobili
adibiti a casello e/o magazzino idraulico, funzionali ad assicurare il servizio
di piena nella tratta del torrente Judrio che delimita il confine di Stato e
nelle tratte dei fiumi Livenza e Tagliamento che delimitano il confine tra le
regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia.
4.
I beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali.
I
beni del demanio comunale e provinciale sono tassativamente indicati dal c.c.
1.
I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'art. 822, se
appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio
pubblico.
2.
Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.
(art.
824, c.c.).
Il
demanio provinciale è costituito essenzialmente dalle strade, anche da quelle
ferroviarie, come pure dagli aeroporti appartenenti alle province, nonché dai
beni del demanio culturale di proprietà delle stesse.
Sono
stati trasferiti alle province anche i diritti esclusivi di pesca.
1.
Le funzioni amministrative relative alla materia "pesca nelle acque
interne" concernono la tutela e la conservazione del patrimonio ittico,
gli usi civici, l'esercizio della pesca, il rilascio della licenza, la
piscicoltura e il ripopolamento, lo studio e la propaganda, i consorzi per la
tutela e l'incremento della pesca.
2. Le regioni promuovono la ricerca e la sperimentazione nel settore.
Le concessioni a scopo di piscicoltura nelle acque interne, ove riguardino acque del demanio dello Stato, sono rilasciate dalle regioni previo parere del competente organo statale.
3. Sono altresì trasferite le funzioni relative alla pesca nelle acque del demanio marittimo interno, così come delimitato dall'art. 1, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639.
4. I diritti esclusivi di pesca del demanio statale sono trasferiti al demanio dell'amministrazione provinciale.
(art. 100, d.p.r. 616/1977).
2. Le regioni promuovono la ricerca e la sperimentazione nel settore.
Le concessioni a scopo di piscicoltura nelle acque interne, ove riguardino acque del demanio dello Stato, sono rilasciate dalle regioni previo parere del competente organo statale.
3. Sono altresì trasferite le funzioni relative alla pesca nelle acque del demanio marittimo interno, così come delimitato dall'art. 1, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639.
4. I diritti esclusivi di pesca del demanio statale sono trasferiti al demanio dell'amministrazione provinciale.
(art. 100, d.p.r. 616/1977).
La
dizione dell'art. 824, 1° co., c.c., assoggetta al regime dei beni demaniali,
se appartenenti alle province o ai comuni, soltanto i beni della specie di
quelli indicati dall’art. 822, 2° co.
La
giurisprudenza ha pertanto escluso dal demanio degli enti locali il lido del
mare. (Cass. Civ. , sez. trib.,
9.3.2004, n. 4769,
GCM, 2004, 3).
Il
demanio comunale è costituito prevalentemente dalle strade, anche ferroviarie,
dagli aeroporti, acquedotti, fontane, cimiteri , mercati e beni del demanio
culturale.
4.1 Il federalismo demaniale. Il d.lgs. 85/2010. L’individuazione dei beni.
L’ art. 119, comma 6, cost. , così come sostituito dall'art. 5 L. cost. 18.10.2001, n. 3, afferma che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Per l’attuazione di detto articolo l’art. 19, L. 5 maggio 2009, n.42, dà delega al Governo di predisporre le norme in materia di federalismo fiscale, stabilendo i princìpi generali per l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell'ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;
b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;
c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribuzione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni;
d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale. Mezzocampo S. Federalismo demaniale. Dalla non onerosità alla valorizzazione ambientale, criteri imprescindibili per il processo di attribuzione, in G.D. , 2010, 28, 42.
La fase operativa è disposta dal D.L.vo 28.5.2010, n.85,con il quale una quota consistente del demanio e del patrimonio statale sta per essere trasferita ai comuni o meglio può essere trasferita ai comuni che ne chiedano l’attribuzione.
Si tratta comunque di un provvedimento inteso a far cassa ed il trasferimento avviene nel patrimonio disponibile dell’ente locale al fine di potere procedere ad una successiva alienazione.
La ratio legis non è dunque quella di procedere di un trasferimento di beni nel patrimonio degli enti locali ma quella di trasferire di beni agli enti locali perché procedano al meglio alla loro alienazione dopo aver proceduto alle modifiche degli strumenti urbanistici che ne consentano la massima valorizzazione economica.
Il
percorso per l’attribuzione del ben si sviluppa in più fasi previste dall’art.
3 del D.L.vo 28.5.2010, n.85.
La prima fase prevede l’individuazione dei i beni ai fini dell’attribuzione ad uno o più enti appartenenti ad uno o più livelli di governo territoriale mediante l’inserimento in appositi elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia. I beni possono essere individuati singolarmente o per gruppi.
Gli elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi, anche relativi allo stato giuridico, alla
consistenza, al valore del bene, alle entrate corrispondenti e ai relativi costi di gestione e acquistano efficacia dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri nella Gazzetta Ufficiale.
Si nota come in questa fase sia del tutto assente la partecipazione dell’ente locale che non ha alcun peso nella scelta dei beni da trasferire.
L’ente locale non può intervenire neppure rispetto agli elementi informativi che il decreto di individuazione deve fornire proprio per consentire all’ente locale di effettuare ponderatamente la sua scelta.
La prima fase prevede l’individuazione dei i beni ai fini dell’attribuzione ad uno o più enti appartenenti ad uno o più livelli di governo territoriale mediante l’inserimento in appositi elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia. I beni possono essere individuati singolarmente o per gruppi.
Gli elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi, anche relativi allo stato giuridico, alla
consistenza, al valore del bene, alle entrate corrispondenti e ai relativi costi di gestione e acquistano efficacia dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri nella Gazzetta Ufficiale.
Si nota come in questa fase sia del tutto assente la partecipazione dell’ente locale che non ha alcun peso nella scelta dei beni da trasferire.
L’ente locale non può intervenire neppure rispetto agli elementi informativi che il decreto di individuazione deve fornire proprio per consentire all’ente locale di effettuare ponderatamente la sua scelta.
4.2
La domanda di attribuzione.
Il trasferimento dei beni demaniali agli enti locali non è automatico ma condizionato ad una espressa domanda di attribuzione dell’ente locale
Gli enti locali che intendono acquisire i beni contenuti negli elenchi devono presentare, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei citati decreti, un’apposita domanda di attribuzione all’Agenzia del demanio.
Nella relazione allegata alla domanda, sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente devono essere indicate le specifiche finalità e modalità di utilizzazione del bene, la relativa tempistica ed economicità nonché la destinazione del bene medesimo.
Di fatto tali indicazioni devono segnare un percorso obbligato per l’ente locale, il cui margine di discrezionalità appare del tutto limitato. Esso deve condurre alla successiva alienazione del bene attraverso un percorso che ne effettui la preventiva valorizzazione come precisa il successivo art. 4, D.L.vo 28.5.2010, n.85.
Il problema della destinazione futura del bene è un punto centrale del trasferimento perché può comportare anche mutamento della destinazione urbanistica del bene che non è come ben si sa nelle attribuzioni del rappresentante dell’ente locale ma che può richiedere anche pareri e tempi decisamente più lunghi di quelli assegnati dal decreto.
Per i beni che negli elenchi sono individuati in gruppi, la domanda di attribuzione deve riferirsi a tutti i beni compresi in ciascun gruppo e la relazione deve indicare le finalità e le modalità prevalenti di utilizzazione.
4.3 Il decreto di attribuzione.
Sulla base delle richieste di assegnazione pervenute è adottato, entro i successivi sessanta giorni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Regioni e gli enti locali interessati, un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, riguardante l’attribuzione dei beni, che produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun ente locale.
Il decreto è un provvedimento amministrativo ed in caso di mancata attribuzione esso può essere impugnato alla giustizia amministrativa, ex art. 7, D.L.vo 2.7.2010, n.104.
4.4 La vigilanza sull’attribuzione. Il potere sostitutivo.
L’attribuzione all’ente locale del bene demaniale non esaurisce le funzioni dell’amministrazione centrale che si riserva il controllo che il procedimento di attribuzione giunga agli effetti voluti ossia alla successiva cessione del bene opportunamente valorizzato.
Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati nella relazione, il Governo esercita il potere sostitutivo ai fini di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento al patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione.
L’art. 8, L. 131/2003 che definisce il procedimento per l’esercizio del potere sostitutivo dando attuazione all'art. 120 della Costituzione
Il potere sostitutivo deve necessariamente concretarsi in una preventiva diffida all’ente preposto perché eserciti le funzioni ad esso demandate.
Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
La legge ha superato le eccezioni di incostituzionalità in quanto fissa dei principi generali che devono essere disciplinati con procedimenti speciali dal legislatore ordinario. Corte cost., 19.7.2004, n. 236, Foro Amm. CDS, 2004, 1936. Centofanti N., Il silenzio nel procedimento e nel ricorso amministrativo, 2005, 188.
Il trasferimento dei beni demaniali agli enti locali non è automatico ma condizionato ad una espressa domanda di attribuzione dell’ente locale
Gli enti locali che intendono acquisire i beni contenuti negli elenchi devono presentare, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei citati decreti, un’apposita domanda di attribuzione all’Agenzia del demanio.
Nella relazione allegata alla domanda, sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente devono essere indicate le specifiche finalità e modalità di utilizzazione del bene, la relativa tempistica ed economicità nonché la destinazione del bene medesimo.
Di fatto tali indicazioni devono segnare un percorso obbligato per l’ente locale, il cui margine di discrezionalità appare del tutto limitato. Esso deve condurre alla successiva alienazione del bene attraverso un percorso che ne effettui la preventiva valorizzazione come precisa il successivo art. 4, D.L.vo 28.5.2010, n.85.
Il problema della destinazione futura del bene è un punto centrale del trasferimento perché può comportare anche mutamento della destinazione urbanistica del bene che non è come ben si sa nelle attribuzioni del rappresentante dell’ente locale ma che può richiedere anche pareri e tempi decisamente più lunghi di quelli assegnati dal decreto.
Per i beni che negli elenchi sono individuati in gruppi, la domanda di attribuzione deve riferirsi a tutti i beni compresi in ciascun gruppo e la relazione deve indicare le finalità e le modalità prevalenti di utilizzazione.
4.3 Il decreto di attribuzione.
Sulla base delle richieste di assegnazione pervenute è adottato, entro i successivi sessanta giorni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Regioni e gli enti locali interessati, un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, riguardante l’attribuzione dei beni, che produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun ente locale.
Il decreto è un provvedimento amministrativo ed in caso di mancata attribuzione esso può essere impugnato alla giustizia amministrativa, ex art. 7, D.L.vo 2.7.2010, n.104.
4.4 La vigilanza sull’attribuzione. Il potere sostitutivo.
L’attribuzione all’ente locale del bene demaniale non esaurisce le funzioni dell’amministrazione centrale che si riserva il controllo che il procedimento di attribuzione giunga agli effetti voluti ossia alla successiva cessione del bene opportunamente valorizzato.
Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati nella relazione, il Governo esercita il potere sostitutivo ai fini di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento al patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione.
L’art. 8, L. 131/2003 che definisce il procedimento per l’esercizio del potere sostitutivo dando attuazione all'art. 120 della Costituzione
Il potere sostitutivo deve necessariamente concretarsi in una preventiva diffida all’ente preposto perché eserciti le funzioni ad esso demandate.
Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
La legge ha superato le eccezioni di incostituzionalità in quanto fissa dei principi generali che devono essere disciplinati con procedimenti speciali dal legislatore ordinario. Corte cost., 19.7.2004, n. 236, Foro Amm. CDS, 2004, 1936. Centofanti N., Il silenzio nel procedimento e nel ricorso amministrativo, 2005, 188.
4.5
Le funzioni dell’Agenzia del demanio.
I beni per i quali non è stata presentata la domanda di attribuzione , confluiscono, in base ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in un patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione, che provvede alla valorizzazione e alienazione degli stessi beni, d’intesa con le Regioni e gli Enti locali interessati, sulla base di appositi accordi di
programma o protocolli di intesa.
La valorizzazione in questo caso viene sollecitata agli enti locali interessati dall’Agenzia del demanio
Decorsi trentasei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di inserimento nel patrimonio vincolato, i beni per i quali non si è proceduto alla stipula degli accordi di programma ovvero dei protocolli d’intesa rientrano nella piena disponibilità dello Stato e possono essere
comunque attribuiti con i decreti di cui all’articolo 7.
I beni per i quali non è stata presentata la domanda di attribuzione , confluiscono, in base ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in un patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione, che provvede alla valorizzazione e alienazione degli stessi beni, d’intesa con le Regioni e gli Enti locali interessati, sulla base di appositi accordi di
programma o protocolli di intesa.
La valorizzazione in questo caso viene sollecitata agli enti locali interessati dall’Agenzia del demanio
Decorsi trentasei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di inserimento nel patrimonio vincolato, i beni per i quali non si è proceduto alla stipula degli accordi di programma ovvero dei protocolli d’intesa rientrano nella piena disponibilità dello Stato e possono essere
comunque attribuiti con i decreti di cui all’articolo 7.
5.
I beni patrimoniali indisponibili.
I
beni patrimoniali sono quei beni che appartengono all’amministrazione a titolo
di proprietà privata (Virga 1995, 361).
Il
regime dei beni patrimoniali si differenzia a seconda che i beni appartengano
al patrimonio indisponibile o disponibile dell’ente pubblico.
I
beni del patrimonio indisponibile sono caratterizzati dalla loro destinazione
al servizio pubblico.
La
giurisprudenza esige che il bene, per fare parte del patrimonio indisponibile,
sia effettivamente destinato ad un servizio pubblico.
I
beni non possono essere considerati come destinati ad un pubblico servizio solo
per un generico riferimento in tal senso, fatto nei provvedimenti
dell’amministrazione, che non sia supportato da un effettivo utilizzo da parte
dell’ente.
Un
bene in tanto può considerarsi appartenente al patrimonio indisponibile per
essere destinato ad un servizio pubblico, a norma dell'art. 826, 3° co., ultima
previsione, c.c., in quanto abbia un'effettiva e attuale destinazione a quel
servizio; non è, pertanto, sufficiente la determinazione dell'ente pubblico ad
imprimere al bene il carattere di patrimonio indisponibile.
Un
bene, in tanto può considerarsi appartenente al patrimonio indisponibile per
essere destinato a pubblici servizi a norma dell'art. 826, 3° co., c.c., in
quanto abbia una effettiva destinazione a quel servizio, non essendo
sufficiente la determinazione dell'Ente pubblico di imprimere al bene il
carattere di patrimonio indisponibile.
(Cass.
Civ., Sez. Un. 12.3.1974, n. 652).
La
giurisprudenza esclude la possibilità di utilizzare dei mezzi amministrativi -
come l'ordinanza sindacale di sgombero coattivo - per giungere alla presa di
possesso dei beni ed ad una più razionale utilizzazione degli stessi (Cass. Civ., sez. un., 23.6.1993,
n. 6950, GCM,
1993, 1069).
I
beni patrimoniali indisponibili non possono essere trasferiti se non in ragione
della normativa che li regola.
I
beni patrimoniali disponibili sono destinati alla produzione di un reddito e
pertanto sono soggetti al regime privatistico, salvo per la loro alienazione
che è soggetta all’osservanza delle norme di contabilità di Stato.
Il
regime dell’alienabilità è quello che sostanzialmente caratterizza i beni del
patrimonio indisponibile rispetto ai beni demaniali.
I
beni patrimoniali indisponibili sono alienabili nel rispetto delle particolari
norme che li regolano mentre i beni demaniali sono inalienabili, ex art. 828,
2° co., c.c.
La
differenza di regime (l’unica idonea alle giuridiche distinzioni) fra beni demaniali
e quella del patrimonio indisponibile è data dalla inalienabilità assoluta
(divieto di circolazione) dei primi e dell’alienabilità dei secondi, sempre che
sia osservato il regime giuridico della (corrispondente) destinazione d’uso.
(Correale
2004, 255).
6.
I beni patrimoniali disponibili.
Gli
enti pubblici possono possedere dei beni che hanno un regime giuridico
perfettamente identico a quello riservato ai beni privati.
Essi
sono soggetti alle norme del codice civile quando non sia diversamente disposto
dalla legislazione speciale (Sandulli 1984, 736).
1.
I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni
sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è
diversamente disposto, alle regole del presente codice.
(art.
828).
Per
qualsiasi atto di tutela l’amministrazione non può fare ricorso a provvedimenti
amministrativi, ma deve rivolgersi al giudice ordinario.
Il
potere di agire in via di autotutela esecutiva presuppone che il bene oggetto
del provvedimento autoritativo abbia natura di bene demaniale o patrimoniale
indisponibile. Qualora l’immobile appartenga al patrimonio disponibile
dell’ente o sia detenuto da un soggetto pubblico in base ad un titolo
privatistico come, ad esempio, un contratto di comodato, illegittimamente
l’amministrazione agisce in via di autotutela esecutiva al fine di ottenere lo
sgombero dell’immobile.
È
illegittima l'ordinanza con cui il sindaco ha ingiunto in via di autotutela
esecutiva lo sgombero di un'area detenuta dal Comune in forza di un contratto
di comodato, ovvero di qualsivoglia altro titolo privatistico, e che rientri
nel patrimonio disponibile della Regione. Infatti, il potere di agire in via di
autotutela esecutiva presuppone che il bene oggetto del provvedimento
autoritativo abbia natura di bene demaniale o patrimoniale indisponibile.
7.
I beni vacanti.
I
beni immobili vacanti, ossia quei beni di cui nessuno si dichiara proprietario,
appartengono di dritto allo Stato.
La
norma è stata introdotta per la prima volta dal vigente c.c. che ha colmato una
lacuna della legislazione precedente.
1.
I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio
dello Stato.
(art.
827, c.c.).
L'effetto
abdicativo è riconducibile alla rinuncia del privato alla proprietà
dell'immobile. A tal punto il bene, risultando vacante, diviene di proprietà
dell'ente pubblico procedente alla stregua di quanto previsto dall'art. 827
c.c.
(Trib.
Palermo, 20.2.2001, Gius, 2002, 559).
La
giurisprudenza ha affermato che l’acquisto avviene a titolo originario.
L'acquisto
dei beni (mobili, immobili e crediti) del defunto da parte dello Stato in
mancanza di altri successibili, a norma dell'art. 586 c.c., avviene iure
successionis e, quindi, a titolo derivativo, mentre l'acquisto dei beni
immobili che non sono in proprietà di alcuno, previsto dall'art. 827 c.c.,
avviene a titolo originario. Pertanto, l'art. 67 dello Statuto speciale
Trentino-Alto Adige, approvato con d.p.r. 31.8.1972, n. 670, stabilendo che i
beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno,
spettano al patrimonio della Regione, ha apportato deroga all'art. 827 c.c., ma
non ha modificato l'art. 586 c.c., che è tuttora in vigore nel territorio di
quella regione, operando nel diverso campo della successione a causa di morte.
8.
I beni degli enti pubblici non territoriali.
I
beni degli enti pubblici non territoriali come, per esempio, degli enti
previdenziali, appartengono alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili
se destinati a un pubblico servizio.
Un
regime particolare, analogo a quello dei beni patrimoniali indisponibili, ma
per certi aspetti più rigido, è stato delineato dalla legislazione sulla
privatizzazione nella quale si rinvengono disposizioni dirette ad evitare che,
dopo la trasformazione di un ente pubblico in un ente privato, possano essere
troppo facilmente sottratti alle precedenti destinazioni i beni ora
appartenenti a soggetti privati, ma precedentemente usati per specifiche
finalità pubbliche.
L'art.
3, 7° co., d.lg.29.10.1999, n. 419, prevede che gli enti privatizzati, indicati
dall’allegato a) della stessa legge, devono conservare i beni che consentono la
realizzazione degli scopi dell’ente.
7.
I beni la cui gestione o conservazione costituiva lo scopo istituzionale
dell'ente pubblico permangono destinati a tale finalità, fatto salvo ogni altro
onere o vincolo gravante sugli stessi ai sensi delle vigenti disposizioni, e
non possono essere alienati o gravati di alcun diritto se non in base a
specifica ed espressa autorizzazione del ministero vigilante, secondo la
vigente normativa, da rilasciarsi in casi eccezionali. Gli atti adottati in
mancanza di autorizzazione non possono essere trascritti e sono nulli di
diritto, fatta salva ogni diversa forma di responsabilità prevista dalle
vigenti disposizioni. Il regime di autorizzazione permane sino a che sussista
l'esercizio delle funzioni o dei servizi pubblici in via di convenzione o di
concessione. Allo scadere definitivo delle convenzioni o concessioni, il regime
di autorizzazione è prorogato sino alla convenzionale determinazione della
destinazione finale dei beni. Le limitazioni di cui al presente articolo
devono, in ogni caso, risultare negli statuti degli enti di diritto privato
derivanti dalla trasformazione e sono iscritte nel registro di cui all'articolo
33 del codice civile.
(art.
3, 7° co. 7, d.lg.29.10.1999, n. 419).
9.
I beni privati di interesse pubblico.
L’art.
42, 2° co., cost., afferma la funzione sociale della proprietà.
La
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i
modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione
sociale e di renderla accessibile a tutti.
(art. 42, 2° co., cost.).
(art. 42, 2° co., cost.).
La
dottrina afferma il potere del legislatore, pur riconoscendo alla proprietà
privata la tutela della costituzione, di porre ad essa dei limiti.
La
funzione sociale della proprietà, genericamente intesa, si traduce
essenzialmente nell’imposizione, al titolare del diritto sulla cosa, si certi
obblighi personali (ma ob rem), tali da rendere socialmente utile la
titolarità privata del diritto stesso, ma non si traduce in un regime speciale
della cosa in sé.
(Sandulli
1984, 737).
La
dottrina riconosce il potere conformativo del legislatore anche se oscilla
nell’ammettere la garanzia costituzionale.
Alcuni
autori ritengono, infatti, che gli interventi conformativi essendo diretti a
realizzare una funzione sociale siano sempre ammessi.
Altri,
invece, ammettono l’intervento regolatore della Corte costituzionale nel caso
in cui l’apprezzamento dei fini di utilità generale sia inficiato da criteri
illogici, arbitrari o contraddittori (Gambaro 1995, 57).
Tali
beni privati sono denominati di interesse pubblico. Essi sono assoggettati ad
una particolare disciplina in ordine alla possibilità del proprietario di
disporne.
Il
regime di tali beni è soggetto a vincoli di destinazione - che non può essere
alterato - di modificabilità - che esige articolari autorizzazioni - e di
trasferimento – che può essere assoggettato a prelazione da parte
dell’amministrazione.
L’amministrazione
ha, inoltre, particolari poteri di controllo e di tutela; essi consentono
all'ente pubblico che ha il controllo di agire in via amministrativa per la
rimessione in pristino del bene qualora esso sia stato trasformato senza
consenso.
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