Ambiente Autorizzazione
integrata ambientale. Cremona Acciaieria. Necessità della VIA e coordinamento
con la pianificazione urbanistica.
1.
Autorizzazione integrata ambientale.
2.
Obbligatorietà della VIA.
3. Rapporti con la pianificazione Provinciale.
4. Rapporti con la pianificazione comunale.
5.
Legittimazione ad impugnare.
6.
Risarcimento del danno.
1.
Autorizzazione integrata ambientale.
L'autorizzazione integrata ambientale (AIA) é il provvedimento che
autorizza l'esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate
condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti del d. lg. 18 febbraio 2005 , n. 59, di recepimento della direttiva
comunitaria 96/61/CE, relativa alla prevenzione e riduzione integrate
dell'inquinamento (IPPC).
Ai sensi di quanto previsto dall'articolo 16 del citato D.Lgs.
59/05, tale autorizzazione é necessaria per poter esercire le attività
specificate nell'allegato I dello stesso decreto.
In linea con i principi della convenzione di Aarhus e con quanto
previsto dagli artt 5, 7, 11 del d. lg. 59/05, per facilitare e promuovere
l'accesso all'informazione e la partecipazione del pubblico, il Ministero cura
la pubblicazione on-line della documentazione fornita dai gestori ai fini del
rilascio delle AIA di competenza statale, relative agli impianti di cui all' allegato V del d. lg. 59/05.
Le eventuali osservazioni sulle istanze ai sensi
dell'articolo 5, comma 8 del d.lg. 59/05 possono essere presentate dopo la
pubblicazione dell'apposito avviso
a mezzo stampa e
durante tutto il procedimento dai soggetti interessati in forma scritta o con
e-mail certificata al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e
del Mare Direzione generale per la salvaguardia ambientale via Cristoforo Colombo
44 00147 Roma.
2.
Obbligatorietà della VIA.
La
assoggettabilità dell’intervento a VIA non già in astratto, ma in concreto, in
base alle sue effettive caratteristiche.
La
procedura di VIA deve, fra l’altro, conseguire gli obiettivi di proteggere la
salute e migliorare la qualità della vita umana e conservare la capacità di
riproduzione dell’ecosistema, ex art. 2 del d.p.r. 12 aprile 1996; per
far ciò, deve assicurare che “per ciascun progetto siano valutati gli effetti
diretti ed indiretti sull’uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle
acque di superficie e sotterranee, sull’aria, sul clima, sul paesaggio e
sull’interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio
culturale ed ambientale”.
La
procedura di verifica, o screening è prevista dall’art. 10 dello stesso
decreto, nel decidere se la VIA va esperita o no, deve prendere le mosse da una
“descrizione del progetto” e dai “dati necessari per individuare e valutare” i
suoi effetti sull’ambiente. In tali termini, la disamina che si compie in sede
di screening deve allora, secondo logica, riguardare proprio quel complesso di
effetti che sono presi in considerazione dall’art. 2: se si constata che essi
mancano, nel senso che il progetto non interessa, o non interessa in modo significativo,
l’uomo, la flora, la fauna, eccetera.
Lo
screening non necessariamente deve prendere in esame tutte le categorie di
effetti di cui all’art. 2; deve però esaminare tutti quelli che nel caso
concreto possono ricorrere: per fare un esempio, non necessariamente deve
analizzare gli effetti del progetto sulle acque superficiali, se esse nel sito
mancano; deve però farlo se il sito sorge in riva ad un fiume.
Compiere
lo screening con riguardo al caso concreto significa anche tener conto degli
impianti esistenti: altro è, ad esempio, realizzare un sito industriale in
un’area libera, altro è, come qui avviene, trasformare un impianto esistente.
In tale ultimo caso, infatti, si dovrà verificare, fra l’altro, se le modifiche
programmate non comportino comunque un miglioramento rispetto allo stato di
fatto, che vede già attive significative fonti inquinanti.
Alla
luce di quanto sopra, vanno esaminati i contenuti del decreto screening porta
come motivazione la frase “i suddetti interventi non determinano un impatto
significativo sull’ambiente.
Per
l’incidenza sulla fauna e sulla flora, l’esistenza delle aree di interesse
naturalistico, Parco del Po- Morbasco e SIC Spinadesco, è riconosciuta, ma
sostanzialmente non considerata: non si spiega perché l’intervento, localizzato
in aree vicine, non avrebbe su di esse alcun impatto significativo.
Lo
stesso vale, in termini del tutto analoghi, per l’impatto dell’intervento sul
reticolo delle acque esistenti, che è sicuramente molto delicato, dato che lo
stabilimento sorge fra due fiumi, il Po e il Morbasco, e ricopre altresì una
roggia, che utilizza già per i propri scarichi. (T.A.R. Brescia, sez.I,
10.12.2008 su ric. 1425/2006).
3. Rapporti con la pianificazione Provinciale.
il
Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Cremona prevede nel
proprio ambito tre tipologie di area industriale, ciascuna da disciplinare in
base a competenze diverse: è sufficiente l’intervento del Comune, con gli
strumenti pianificatori suoi propri, per le aree di interesse, appunto,
soltanto comunale; si deve procedere in accordo fra i Comuni interessati e la
Provincia stessa per i poli di interesse intercomunale; sono infine di
competenza della Provincia e vengono individuate e gestite in accordo con i
Comuni interessati i poli industriali di interesse provinciale, che sono quelli
insistenti su aree superiori ai 250.000 mq, e richiedono quindi una apposita
previsione del Piano territoriale provinciale.
Per
altro verso, è poi ovvio che gli strumenti di pianificazione vigenti, e in
particolare il Piano provinciale, possono solo, per così dire, fotografare
l’esistente. Se si tratta invece di creare una nuova area industriale, dal
nulla o mediante ampliamento di un’area esistente, occorre di volta in volta
domandarsi in quale tipologia essa ricada, e adeguare gli strumenti di
conseguenza. Per esempio, volendo creare un nuovo polo di interesse
provinciale, occorrerà prevederlo in una apposita revisione del PTCP Nel caso
di specie, è pacifico che il complesso Arvedi, il quale insiste su di un’area
di circa 480.000 mq, dovrebbe in astratto essere classificato polo di interesse
provinciale, e quindi richiederebbe come detto un adeguamento del PTCP. (T.A.R.
Brescia, sez. I,, 10.12.2008, ric. 1425/2006).
4. Rapporti con la pianificazione comunale.
Per
l’effetto, vanno annullati le deliberazioni 3 aprile 2007 n°15 e 1 giugno 2007
n°30 della Giunta comunale di Spinadesco, di adozione e approvazione del Piano
attuativo, e i permessi di costruire 19 giugno 2007 nn° 430 e 431 rilasciati
dallo Sportello unico delle imprese del Comune di Pizzighettone ed associati,
che si fondano sulla legittimità del Piano stesso e quindi vengono annullati
per illegittimità derivata. L’amministrazione, e secondo logica la Provincia,
dovrà riesaminare la questione, chiarendo se l’ampliamento del complesso
Arvedi, nell’ipotesi in cui esso sia ammissibile sotto il già esaminato profilo
ambientale, costituisca creazione di un nuovo polo di interesse provinciale,
ovvero ampliamento del citato polo esistente, del Porto canale di Cremona;
nell’uno e nell’altro caso, dovrà adeguare il PTCP, nella prima ipotesi
prevedendo il polo nuovo, nella seconda correggendo l’errore commesso nel
perimetrare il polo esistente, che all’evidenza non si potrebbe considerare
limitato al Comune di Cremona.
Se
il complesso Arvedi costituisse invece polo a sé stante, la sua compatibilità
con il PTCP sarebbe tutta da decidere, e al livello provinciale relativo. Ad
avviso del Collegio, è quanto si deve ritenere nel caso di specie, in base ad
un rilievo molto semplice. Infatti, è pacifico che il complesso Arvedi occupa
aree site in due Comuni, Cremona e Spinadesco; è però altrettanto pacifico, e
si ricava dal mero esame degli elaborati del PTCP, da ritenere localmente
notori, che il polo provinciale “Porto canale di Cremona” è configurato dal
PTCP stesso come limitato ad aree site nel solo Comune di Cremona, e quindi,
secondo logica, fra il polo in questione ed il complesso Arvedi non vi può
essere coincidenza.
27.
Il rilievo di cui sopra, configurandosi in ultima analisi come una questione di
competenza è assorbente rispetto a tutti gli altri motivi dedotti e ne preclude
l’esame, così come affermato da ultimo da C.d.S. sez. IV 12 dicembre 2006
n°7271, secondo la quale “una volta ritenuta incompetente l'autorità che ha
emanato l'atto impugnato, la valutazione sui vizi sostanziali si risolverebbe
in un giudizio meramente ipotetico sull'ulteriore attività amministrativa
dell'organo competente”. (T.A.R. Brescia, sez.I, 10.12.2008 su ric. 1425/2006).
5.
Legittimazione ad impugnare.
La
giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che il cittadino residente nelle
vicinanze del luogo nel quale deve sorgere una data opera –nella specie si
trattava di un autosilo- ha interesse, in quanto titolare di una posizione
giuridica differenziata rispetto alla intera collettività di appartenenza, ad
impugnare la delibera di approvazione del relativo progetto: così in modo
espresso (Cons. St., sez. V 17 maggio 2005 n°2456. Più in generale, la stessa
giurisprudenza ha affermato che la legittimazione ad impugnare atti di
rilevanza urbanistica- ovvero, come è stato detto, incidenti sull’uso del
“territorio di tutti”- va riconosciuta a tutti i soggetti “comunque residenti
in una zona localizzata in modo tale da risentire direttamente del danno
eventualmente determinato dal nuovo insediamento”: così C.d.S. sez. IV 12 marzo
2001 n°1382.
E’
allora logico ritenere che il possibile pregiudizio derivante dall’insediamento
in parola, data la sua importanza e la sua potenziale pericolosità come fonte
di inquinamento, vada a incidere, in termini di rischio ovvero di peggioramento
della qualità di vita, sulla situazione di tutti i cittadini residenti nei due
Comuni citati già in ragione di tale loro qualità, e quindi vada a determinare
in capo a ciascuno di essi la legittimazione ad impugnare gli atti per i quali
è causa, appunto quelli che tale insediamento consentono di realizzare. A
maggior ragione la legittimazione sussiste poi in capo a coloro i quali, in
aggiunta o in alternativa alla qualità di cittadini residenti, possono allegare
la proprietà o altro diritto su un immobile che in detti Comuni insiste, ovvero
una residenza in luogo limitrofo allo stabilimento, tale da essere, secondo
logica, il primo, ma non certo l’unico, a risentire degli effetti di un
eventuale aumento dell’inquinamento o di un incidente grave.
, la
legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo, nella specie
proprio di natura ambientale, da parte di una associazione di cittadini, va
affermata e non negata, poiché si tratta di un ente che i citati pubblici
poteri debbono promuovere e non ostacolare: così in modo esplicito TAR Puglia
Lecce 5 aprile 2005 n°1847 e Liguria 11 maggio 2004 n°747 e 18 marzo 2004
n°267, la legittimazione stessa si riconosce in linea di principio anche alle
associazioni spontanee, e non solo agli enti inseriti nell’ apposito elenco
ministeriale, perché se così non fosse, come osservato in dottrina, si dovrebbe
ammettere, in modo contrario alla stessa Costituzione, che la p.a. può
scegliersi i soggetti legittimati a sindacarne l’operato. E’altresì noto che le
associazioni spontanee, per essere titolari della legittimazione, devono
rispondere ad una serie di requisiti di rappresentatività, che, pur con
sfumature, la dottrina sintetizza nei tre seguenti: elevare la protezione di un
dato interesse a fine statutario; essere dotate di una struttura e di una
organizzazione congrue rispetto al fine medesimo; essere portatrici di un
interesse localizzato, ovvero operare stabilmente nella zona in cui si trova il
bene collettivo pregiudicato che si intende tutelare.
6.
Risarcimento del danno.
Ai
fini della richiesta di risarcimento del danno si deve valutare se l’impianto
sia stato realizzato senza la prescritta VIA ovvero se l’intervento sia stato
sospeso prima di arrivare alla fase esecutiva e pertanto l’impianto non è stato
ancora realizzato.
Se
l'impianto, infatti, è stato in funzione per lungo tempo nonostante l'assenza
della VIA.
Il
ritardo nello svolgimento della VIA ha avuto due conseguenze dannose: a) ha
consentito il radicamento dell'attività di smaltimento spostando la tutela per
i singoli e per la collettività dalla prevenzione alla mitigazione; b) ha
ritardato l'adozione di adeguati presidi tecnologici mettendo a rischio la
salute dei singoli e l'integrità dell'ambiente. Sotto il primo profilo si può
ritenere che una valutazione preventiva avrebbe condotto a una diversa
localizzazione dell'impianto oltre ad imporre diverse modalità costruttive.
Nel
caso di specie il ricorrente ha chiesto la condanna della Regione e di Rifiuti
s.p.a. al risarcimento del danno biologico-esistenziale e di quello
patrimoniale.
Il
danno biologico-esistenziale è ripartito nelle voci dell'invalidità permanente,
dell'invalidità temporanea dovuta al ritardo con cui è stata svolta la VIA e in
particolare al degrado della qualità della vita in tale periodo sotto forma di
sofferenza psicologica e fisica per i rumori e le altre emissioni dell'impianto
e per il timore di gravi danni alla salute e del danno morale dovendo essere
risarcita la sofferenza psicologica collegata all'impossibilità per il
ricorrente di far valere tempestivamente ed efficacemente le proprie ragioni,
come sarebbe avvenuto se la procedura di VIA si fosse svolta prima dell'autorizzazione.
Il
danno patrimoniale è individuato nel deprezzamento del valore dell'immobile di
proprietà.
Deve
essere risarcito anche il deprezzamento subito dall'immobile di proprietà della
ricorrente. Considerate le criticità ambientali riscontrate in zona il
ricorrente, se la procedura di VIA fosse stata svolta secondo il corretto
ordine procedurale, avrebbe potuto tutelare il proprio interesse a distanziare
l'impianto avvalendosi dell'interesse pubblico all'individuazione di un sito
meno problematico. Non avendo avuto tale opportunità il ricorrente deve ora
essere reintegrato del valore che il proprio immobile ha perso a causa della
vicinanza dell'impianto.
La
differenza di valore deve essere calcolata secondo i prezzi di mercato
utilizzando ogni banca dati disponibile. Come termine di confronto sono stati
presi immobili con pari caratteristiche, situati in un contesto ambientale e
urbanistico simile, ma lontani da impianti di smaltimento di rifiuti speciali o
strutture assimilabili. (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 11 agosto 2007, n.
726, in Il merito, 2007, 10,
96).
A
differenti conclusioni si perviene nel caso di richiesta di danno nel caso
l’intervento sia stato sospeso prima di arrivare alla realizzazione.
La
giurisprudenza ha, infatti, respinto tutte le domande di risarcimento del danno
proposte dai ricorrenti in quanto al momento della richiesta non sussiste danno
alcuno. Se l’ampliamento non è stato realizzato è evidente che esso non può
avere prodotto alcuna conseguenza sull’ambiente o sulla vita dei ricorrenti.
Dall’altro l’accoglimento dei ricorsi obbliga semplicemente a rinnovare la
procedura, senza che si possa in anticipo affermare in questa sede quale ne
sarà l’esito, se la sua realizzabilità con motivata esclusione da VIA, ovvero
il suo assoggettamento alla VIA medesima, con possibile esito negativo o
positivo della stessa. Non è quindi possibile allo stato affermare se i
ricorrenti abbiano titolo o no a conseguire il bene della vita di cui reclamano
la tutela risarcitoria, ovvero un ambiente privo dell’ampliamento
dell’insediamento ritenuto dannoso.
7.
Sanzioni penali.
Risulta difficile ritenere che la carenza di Via ove
essa invece venga riconosciuta necessaria dal giudice amministrativo non comporti
responsabilità penali e che il giudice
amministrativo rilevata la inosservanza della norma e non trasmetta gli atti
alla procura della Repubblica perché proceda ex art. 44, d.p.r. 380/2001.
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