1. L. 231/2001. Le sanzioni interdittive
Le sanzioni
interdittive sono:
a) l'interdizione
dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o
la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla
commissione dell'illecito;
c) il divieto di
contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le
prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da
agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di
quelli già concessi;
e) il divieto di
pubblicizzare beni o servizi, art. 9, comma 2, l. 231/2001.
La giurisprudenza
ha risolto il problema se l'interdizione
dall'esercizio dell'attività, di cui all'art. 9, comma 2, lett. a), possa
essere disposta solo parzialmente, in tutti i casi in cui l'ente svolge più
attività economiche, distinte ed indipendenti fra loro. Cassazione penale, sez.
II, 7 febbraio 2012, n. 4703, in Resp. civ.
e prev,. 2012, 03, 0827.
Essa ha applicato
estensivamente l'art. 14, in base al quale la sanzione interdittiva deve essere
funzionale alla prevenzione degli illeciti del tipo di quelli commessi (e
questa operazione ermeneutica è costituzionalmente corretta, in quanto si
risolve in favor rei); peraltro, i dubbi sulla sua praticabilità, quantomeno
nella fase cautelare, sono alimentati dall'art. 46, comma 3, che, prevedendo la
misura dell'interdizione dall'esercizio dell'attività quale extrema ratio, dovrebbe
indurre il giudice ad applicare le altre misure previste dall'art. 9, che
permettono di conciliare le esigenze preventive con la prosecuzione delle
attività dell'ente estranee alla commissione di illeciti.
Nello stesso senso,
la Cassazione ha ribadito che il giudice, quando dispone una misura cautelare
interdittiva o procede alla nomina del commissario giudiziale, debba limitare,
ove possibile, l'efficacia del provvedimento alla specifica attività della
persona giuridica alla quale si riferisce l'illecito.
La “specifica attività” richiama i criteri posti
da d.lgs. n. 231/2001, art. 14, in materia di scelta delle sanzioni.
Il riferimento è al
parametro della c.d. frazionabilità delle sanzioni interdittive, parametro che
impone che tale tipologia sanzionatoria non operi in modo “generalizzato e
indiscriminato”, ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell'ente
che è stata causa dell'illecito. ( Cass. pen., Sez. VI, sent. 25 gennaio 2010,
n. 20560, in CED Cass., rv. 247043)
Dinanzi alla forte invasività delle sanzioni
interdittive nella vita dell'ente il legislatore ha voluto che il giudice tenga
conto della realtà organizzativa dell'ente sia per “neutralizzare il luogo nel
quale si è originato l'illecito”, sia per applicare la sanzione valorizzandone
l'adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell'extrema
ratio. Questi stessi criteri trovano spazio anche nella fase cautelare, le cui
misure provvisorie replicano pedissequamente le sanzioni interdittive
definitive. Ne consegue che anche il giudice della cautela è tenuto a valutare
l'incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce
l'illecito dell'ente, applicando i criteri di cui all'art. 14 cit. e, quindi,
limitando, ove possibile, la misura ad alcuni settori dell'attività
dell'ente.... Invero, la valutazione sulla frazionabilità della misura non è
condizionata dalla differenziazione dell'attività dell'impresa, come sembra
ritenere il Tribunale, in quanto anche ad un ente che svolge un'unica attività
può essere applicata una misura limitata ad una parte dell'attività stessa. In
altri termini, la circostanza che la... (si omette il nome dell'impresa) svolga
unicamente l'attività edilizia non è ragione sufficiente per negare la
possibilità di limitare l'applicabilità della misura sostitutiva ad un settore
ricompresso nell'ambito di tale attività, tanto è vero che la difesa della
società ricorrente aveva espressamente richiesto la limitazione dell'attività
commissariale ai lavori riguardanti... (si omette il nome del cantiere) e alle
commesse afferenti gli appalti pubblici gestiti dall'impresa».
Il g.i.p. può
applicare la misura dell'interdizione del divieto di trattare con la p.a.,
limitando il divieto alla sola attività oggetto del reato da cui deriva la
responsabilità amministrativa in capo all'ente.
Le misure vanno
applicate nel caso in cui esistano le condizioni previste dagli art. 45 e 13
d.lg. n. 231 del 2001 - gravi indizi per ritenere la sussistenza della
responsabilità dell'ente per illecito amministrativo dipendente da reato;
fondati e specifici elementi che facciano ritenere concreto il pericolo di
reiterazione; profitto di rilevante entità a vantaggio dell'ente; commissione
del reato determinata o agevolata da gravi carenze organizzative quando il reato
è stato commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione –
La creazione di fondi extrabilancio è indizio
dell'inefficacia del sistema di prevenzione del rischio penale adottato.
Tribunale Milano, 27/04/2004.
Il dibattito
giurisprudenziale in tema di sanzioni interdittive si è incentrato sullo
specifico presupposto costituito dal profitto di rilevante gravità percepito
dall'ente a seguito della perpetrazione del reato. In particolare, al cospetto
della tesi che individuava il profitto nell'utile netto ricavato dall'ente,
sembra prevalere l'orientamento che guarda all'importo complessivo conseguito
per mezzo del reato ovvero al solo fatto dell'assegnazione di plurimi appalti
pubblici.
E’ stato
ritenuto sufficiente che le prestazioni
indebite di finanziamenti e contributi illecitamente ottenuti dallo Stato siano
stati accreditati nella casse della società, in quanto lo storno, anche se
immediato, delle somme sui conti personali dell'autore del reato costituisce
una condotta di post factum, incapace di elidere il dato storico del profitto
conseguito dall'ente. Cassazione penale, sez. II, 20/12/2005, n. 3615.
Un altro indirizzo
precisa che la nozione di profitto di rilevante entità ha un contenuto più
ampio di quello di profitto inteso come utile netto, in quanto in tale concetto
rientrano anche vantaggi non immediati, comunque conseguiti attraverso la
realizzazione dell'illecito (la Corte ha precisato che il giudizio circa la
sussistenza di un profitto "di rilevante entità" non discende automaticamente
dalla considerazione del valore del contratto o del fatturato ottenuto a
seguito del reato, seppure tali importi ne siano, ove rilevanti, importante
indizio almeno con riferimento ad alcuni dei reati indicati negli artt. 24 e 25
del d.lg. n. 231 del 2001. Cassazione penale, sez. VI, 23/06/2006, n. 32627.
1 commento:
Avrei un quesito da sottoporvi: una società holding fornisce materiale per la costruzione di immobili a una sua controllata situata in Italia e quest’ultima commette un reato di corruzione per l’aggiudicazione di appalti finalizzati alla costruzione di questi immobili. Nel reato vi partecipano poniamo gli amministratori della controllata in questo caso la controllante può essere chiamata a rispondere ammesso che il reato avvantaggerebbe senz’altro anche quest’ultima? la ringrazio
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