1 Codice ambiente. Parte IV Titolo I Gestione rifiuti. Capo III Gestione integrata rifiuti.
2 Ambiente. Rifiuti raccolta differenziata. Deroghe.
L'art. 26, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, che ha
introdotto il comma 5-bis dell'art. 13 della legge della Regione Piemonte 24
ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti). Tale disposizione
prevede: «La giunta regionale, sentita la Commissione consiliare competente,
può consentire ai comuni montani ed ai comuni ad alta marginalità con
popolazione inferiore ai 1.500 abitanti una deroga al raggiungimento degli
obiettivi di raccolta differenziata, stabilendo i relativi criteri e modalità».
Lo Stato ha impugnato la suddetta norma in quanto avrebbe introdotto
una disciplina difforme da quella contenuta nell'art. 205, comma 1-bis, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), secondo
cui le deroghe agli obiettivi della raccolta differenziata possono essere
autorizzate, su richiesta del Comune interessato, dal Ministro dell'ambiente.
Corte Costituzionale, 22/06/2012, n. 158.
La regione ha affermato che gli obiettivi della raccolta differenziata
sono stabiliti nella programmazione regionale, mentre la norma statale
richiamata dal ricorrente si limiterebbe a prevedere il rispetto di percentuali
minime di raccolta differenziata da parte di ciascun ambito territoriale
ottimale. Da ciò deriverebbe che la Regione potrebbe autorizzare deroghe in
favore di singoli Comuni, a patto di mantenere inalterata la percentuale
complessiva di raccolta differenziata in rapporto all'ambito territoriale di
riferimento.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, l'attività di
programmazione attribuita alle Regioni, per la delimitazione degli ambiti
territoriali ottimali (art. 200, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006), non
implica che le stesse Regioni possano autorizzare deroghe per singoli Comuni
rispetto alle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere. La
possibilità di realizzare "compensazioni" tra le percentuali di
raccolta differenziata conseguite dai diversi Comuni all'interno del medesimo
territorio costituisce, ai sensi dell'art. 205, comma 1-bis, del d.lgs. n. 152
del 2006, una delle modalità attraverso cui il Comune richiedente intende
conseguire gli obiettivi indicati dall'art. 181, comma 1, del medesimo decreto.
La suddetta compensazione è quindi uno dei possibili contenuti dell'accordo di
programma, che deve essere stipulato tra Ministero dell'ambiente, Regione ed
enti locali interessati prima dell'autorizzazione alla deroga, da concedersi da
parte del Ministro dell'ambiente.
La potestà di concedere deroghe ai Comuni, nel caso in cui non sia
realizzabile il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata,
appartiene allo Stato - titolare di competenza legislativa esclusiva in materia
di ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. - e si
inserisce nell'ambito di un'attività di programmazione, che coinvolge anche la
Regione. Quest'ultima pertanto non può disciplinare unilateralmente la
concessione delle suddette deroghe, come invece stabilisce, in modo
costituzionalmente illegittimo, la norma regionale censurata.
3
Ambiente. Piani di
gestione dei rifiuti.
La Comunità europea ha, nel corso del tempo,
evidenziato la necessità di programmare le politiche e gli interventi in
materia, adottando una specifica disciplina in tema di rifiuti: direttiva 75/442/Cee,
modificata e integrata dalla direttiva 91/156/Cee; direttiva 91/689/Cee sui
rifiuti pericolosi; direttiva 94/62/Ce sugli imballaggi e i rifiuti di
imballaggi; direttiva 99/31/Ce relativa alle discariche.
Per razionalizzare le disposizioni succedutesi
nel corso del tempo è stata adottata la direttiva 2006/12/Ce, che ha sostituito
la direttiva quadro precedente, riproducendone, sostanzialmente, i contenuti e,
poi, la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del
Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Dal complesso delle norme comunitarie, si evince
l'ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: -
prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come
ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella normativa
comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di 'programmazione', da
cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone, per la sua
complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di garantire
il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio possibile.
Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi dell'oggetto
dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed economici in
cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si
pongono quelli di 'prossimità' (in base al quale, ogni bacino deve gestire,
riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il
più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di 'autosufficienza' (che
tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la
completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di
responsabilità nella produzione dei rifiuti).
A livello nazionale, per quel che interessa in
questa sede, va rilevato che la disciplina generale in tema di rifiuti è
contenuta nel D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale, nella Parte IV, contiene
disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati, recando nel Titolo I (Gestione dei rifiuti), tra le altre,
disposizioni generali (cfr. Capo I: artt. 177 - 194), norme in tema di
competenze (cfr. Capo II: artt. 195 - 198) e la disciplina del Servizio di
gestione integrata dei rifiuti (cfr. Capo III: artt. 199 - 207) recante regole
inerenti specificatamente il Piano di gestione dei rifiuti regionale.
Per ciò che interessa in questa sede, va,
altresì, citato il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante norme di attuazione
della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
A livello regionale, poi, la legge della Regione
Lazio del 9.7.1998 n. 27 , contiene la disciplina regionale della gestione dei
rifiuti.
Ciò posto, va rilevato che il Piano impugnato
nasce al dichiarato scopo di uniformare e razionalizzare la programmazione che
si è susseguita nel tempo, di rispondere a quanto richiesto dalla Comunità
Europea (di cui si dirà al punto che segue) e di adeguarsi al mutato quadro
normativo nazionale definito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dalla Direttiva
Europea sui rifiuti 2008/98/CE.
Con specifico riferimento ai Piani di gestione
dei rifiuti, va ricordato che, ai sensi dell'art. 199, D.Lgs. n. 152/2006, cosi
come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010, i piani regionali di gestione dei
rifiuti comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistenti nell'ambito
geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l'efficacia
ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione
del modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli obiettivi e delle
disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006.
Ai sensi di quanto stabilito dall'art. 199 del
codice dell'ambiente, i piani di gestione dei rifiuti devono obbligatoriamente
prevedere: a) tipo, quantità e fonte dei prodotti all'interno del territorio,
suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti
urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio
nazionale e valutazione dell'evoluzione futura dei .flussi di rifiuti, nonché
la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a
livello regionale, fermo restando quanto disposto dall'articolo 205; b) i
sistemi di raccolta dei rifiuti e gli impianti di smaltimento e recupero
esistenti, inclusi eventuali sistemi speciali per oli usati, rifiuti pericolosi
o flussi di rifiuti disciplinati da una normativa comunitaria specifica; c) una
valutazione della necessita di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli
impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti
per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di
cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e, se necessario, degli investimenti correlati;
d) informazioni sui criteri di riferimento per l'individuazione dei siti e la
capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero,
se necessario; e) politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse
tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per
i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione; f) la delimitazione di
ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel
rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m), d.lgs.
n. 152/2006; g) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti
necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di
trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione
dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti
territoriali ottimali di cui all'articolo 200 del d.lgs. n. 152/2006, nonché ad
assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi
a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di
rifiuti; h) la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali
ottimali, attraverso strumenti quali una adeguata disciplina delle
incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle
risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a
tal fine, le regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo;
i) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti
urbani; l) i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree
non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei
rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo
smaltimento del rifiuti, nel rispetto del criteri generale di cui all'articolo
195, comma 1, lettera p), d.lgs. n. 152/2006; m) le iniziative volte a
favorire, il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale
ed energia, ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne
derivino; n) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta,
della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani; o) la determinazione, nel
rispetto delle norme tecniche di cui all'articolo 195, comma 2, lettera a), d.lgs.
n. 152/2006, di disposizioni speciali per specifiche tipologie di rifiuto; p)
le prescrizioni in materia di prevenzione e gestione degli imballaggi e rifiuti
di imballaggio di cui all'articolo 225, comma 6, d.lgs. n. 152/2006; q) il
programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica
di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; r) un
programma di prevenzione della produzione dei rifiuti, elaborato sulla base del
programma nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all'art. 180, che
descriva le misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate.
Il programma fissa anche gli obiettivi di prevenzione. Le misure e gli
obiettivi sono finalizzati a dissociare la crescita economica dagli impatti
ambientali connessi alla produzione dei rifiuti. Il programma deve contenere
specifici parametri qualitativi e quantitativi per le misure di prevenzione al
fine di monitorare e valutare i progressi realizzati, anche mediante la
fissazione di indicatori.
Costituiscono parte integrante del piano
regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate.
Rappresentano oggetto di specifica attività di
pianificazione, le fasi della gestione dei rifiuti che riguardano la produzione
e la raccolta dei rifiuti urbani, il trattamento meccanico biologico dei
rifiuti urbani indifferenziati, nonché lo smaltimento dei rifiuti urbani non
pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento.
Con riferimento alle discariche ove vengono
conferiti gli scarti da trattamento meccanico-biologico e da
termovalorizzazione, il Piano descrive la situazione della produzione di
rifiuti ed il relativo fabbisogno di impianti.
La Commissione Europea richiamò l'attenzione
delle Autorità italiane in merito all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e
91/689/CEE, con particolare riferimento agli artt. 7 n. 1 e 6, segnalando come
diverse Regioni non avessero redatto i Piani di gestione ivi previsti.
Ne seguì, in data 13 luglio 2005, un parere
motivato, in cui la Commissione evidenziò, tra l'altro, come il Piano di
gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi della Regione Lazio non fosse
conforme a quanto stabilito dall'art. 7, n. 1, quarto trattino, della Direttiva
75/ 442/ CEE, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto
all'indicazione dei luoghi adatti per lo smaltimento.
Quindi, la Corte di Giustizia CE, con sentenza 14
giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato la Repubblica Italiana, ex art. 226
del Trattato, ai sensi delle citate norme evidenziando, tra l'altro, la
circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti (un Piano
di gestione del rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un piano di
individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione), i
tre documenti non consentivano di individuare i luoghi o gli impianti adatti
allo smaltimento dei rifiuti.
La giurisprudenza ha rilevato che a fronte della
previsione dell'art. 199 comma 3, lett. c), d.lg. n. 152 del 2006, che
stabilisce che i piani di gestione dei rifiuti devono contenere « una valutazione
della necessità dei nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti
esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i
rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182 bis e se
necessario degli investimenti correlati », dal Piano di gestione dei Rifiuti per
il periodo 2011-2017 emerge, da una parte, l'insufficienza della capacità degli
impianti regionali dedicati al TMB, rispetto ai
quantitativi di rifiuti indifferenziati prodotti e, dall'altra, l'omessa
considerazione di tutti gli impianti esistenti dei quali è prevista la chiusura
e, in particolare, della discarica di Malagrotta. T.A.R. Lazio Roma, sez. I,
09/01/2013, n. 121.
4
Ambiente. Trasporto
rifiuti. Responsabilità
Al fine di delimitare gli ambiti di
responsabilità, il valore della controfirma posta dal trasportatore, in materia
di reati ambientali, equivale a assunzione di responsabilità relativa al mero
trasporto di cose. Né sembra possibile imporre al trasportatore di accertarsi
della natura reale del rifiuto, sottoponendolo ad esami analitici prima di ogni
carico.
L'art. 193 t.u. ambiente, prescrive che durante
il trasporto effettuato da enti o imprese, i rifiuti sono accompagnati da un
formulario di identificazione, onerando il conferitore della redazione del
formulario di identificazione ed esonera pertanto, così come modificato dal
D.l.vo 205/2010, da responsabilità gli autisti in relazione ai dati contenuti
nel FIR a meno che non vi siano difformità rilevabili con la diligenza
richiesta dalla natura dell'incarico. Il trasportatore, infatti si limita a
controfirmare un modello predisposto dal detentore, qualificandosi la propria
firma in un'attestazione di ricevimento del carico.
L'art. 193 TU ambiente prescrive che durante il
trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un
formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti
dati:
a) nome ed indirizzo del produttore e del
detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell'istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
Il formulario di identificazione deve essere
redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore o dal
detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore. Una copia del
formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre,
controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal
destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al
detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.
La disciplina vigente, quindi, onera il conferitore
(e non il singolo autista - trasportatore) della redazione del formulario di
identificazione .
Il trasportatore si limita, infatti, a
contrifirmare un modello predisposto, appunto, dal detentore, che attribuisce
agli oggetti del conferimento anche il codice identificativo del rifiuto (e
quindi la sua natura pericolosa o non pericolosa).
La controfirma del trasportatore deve, allora,
essere interpretata alla stregua di un'attestazione di ricevimento del carico.
Colui che svolge il ruolo di autista trasportatore all'interno di una ditta che
gestisca illecitamente rifiuti, in assenza di apposita autorizzazione, e si
limiti ad eseguire disposizioni del datore di lavoro, effettuando unicamente i
singoli trasporti fino all'azienda, non risponde del reato di cui all'art. 260
t.u.ambiente, in quanto non risulta configurabile il dolo specifico tipico che,
è quello di trarre profitto dalla gestione illecita di rifiuti. Ufficio
Indagini preliminari Catanzaro, 13/06/2011.
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Ambiente. Trasporto
rifiuti. Responsabilità
Al fine di delimitare gli ambiti di
responsabilità, il valore della controfirma posta dal trasportatore, in materia
di reati ambientali, equivale a assunzione di responsabilità relativa al mero
trasporto di cose. Né sembra possibile imporre al trasportatore di accertarsi
della natura reale del rifiuto, sottoponendolo ad esami analitici prima di ogni
carico.
L'art. 193 t.u. ambiente, prescrive che durante
il trasporto effettuato da enti o imprese, i rifiuti sono accompagnati da un
formulario di identificazione, onerando il conferitore della redazione del
formulario di identificazione ed esonera pertanto, così come modificato dal
D.l.vo 205/2010, da responsabilità gli autisti in relazione ai dati contenuti
nel FIR a meno che non vi siano difformità rilevabili con la diligenza
richiesta dalla natura dell'incarico. Il trasportatore, infatti si limita a
controfirmare un modello predisposto dal detentore, qualificandosi la propria
firma in un'attestazione di ricevimento del carico.
L'art. 193 TU ambiente prescrive che durante il
trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un
formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti
dati:
a) nome ed indirizzo del produttore e del
detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell'istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
Il formulario di identificazione deve essere
redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore o dal
detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore. Una copia del
formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre,
controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal
destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al
detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.
La disciplina vigente, quindi, onera il
conferitore (e non il singolo autista - trasportatore) della redazione del
formulario di identificazione .
Il trasportatore si limita, infatti, a
contrifirmare un modello predisposto, appunto, dal detentore, che attribuisce
agli oggetti del conferimento anche il codice identificativo del rifiuto (e
quindi la sua natura pericolosa o non pericolosa).
La controfirma del trasportatore deve, allora,
essere interpretata alla stregua di un'attestazione di ricevimento del carico.
Colui che svolge il ruolo di autista trasportatore all'interno di una ditta che
gestisca illecitamente rifiuti, in assenza di apposita autorizzazione, e si
limiti ad eseguire disposizioni del datore di lavoro, effettuando unicamente i
singoli trasporti fino all'azienda, non risponde del reato di cui all'art. 260
t.u.ambiente, in quanto non risulta configurabile il dolo specifico tipico che,
è quello di trarre profitto dalla gestione illecita di rifiuti. Ufficio
Indagini preliminari Catanzaro, 13/06/2011.
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