Nei Paesi membri dell’Unione, che
sono 28, i partiti euroscettici e populisti sono 91, e sono presenti
in 24 nazioni. Dal 2010 a oggi, il loro peso è raddoppiato.
La prova del nove si avrà a marzo
2017, quando si voterà in Olanda, dove il Partito per la Libertà (Pvv) di Geert
WIlders, che oggi ha il 12 per cento, è dato dai sondaggi ai primi posti. In
caso di vittoria, Wilders, che nel suo Paese ha subito processo per presunta islamofobia,
ha già dichiarato che avvierà le procedure per la Nexit.
Il mese dopo, il 23 aprile, si
voterà per il primo turno delle presidenziali in Francia, dove quasi
certamente Marine Le Pen entrerà per il ballottaggio, ripetendo l’exploit
inaspettato di suo padre Jean-Marie del 2002.
In autunno ci saranno le elezioni
federali tedesche dove, anche qui a sorpresa poiché la Germania è
considerata un Paese europeista (anche perché è quella che ci ha guadagnato di
più) la Merkel se la dovrà vedere con l’avanzata significativa dell’Alternative
fuer Deutschaland di Frauke Petry. Per quanto riguarda gli altri Paesi europei,
ricordiamo che in quattro di questi i partiti euroscettici (anche se non tutti
populisti) sono già al governo: accade in Grecia, Ungheria, Polonia e
Finlandia.
Ci sono anche partiti populisti
che non sono però euroscettici, come ad esempio in Irlanda, Repubblica
ceca e Bulgaria.
Per quanto riguarda i partiti di
sinistra di questo tipo, essi amano definirsi non euroscettici ma eurocritici. Secondo
i dati della Fondazione David Hume, in alcune nazioni la forza dei partiti
populisti ed euroscettici si avvicina al 50 per cento: è il caso di Ungheria,
Irlanda, Grecia e Bulgaria.
In altre nazioni sono pressoché
assenti, come a Malta, in Slovenia o Lussemburgo.
In Italia tali partiti si
avvicinano al 30 per cento, nella media dell’Unione. Ma in Italia ancora nessun
partito ha mai affrontato seriamente la questione. Seriamente vuol dire
costituire un comitato di esperti e lanciare una raccolta di firme. secoloditalia.it/
2017/02/08.
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