Il
danno ambientale. Definizione.
L’art.
300, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, definisce danno ambientale qualsiasi
deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa
naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.
Il
secondo comma dell’art. 300, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, contiene un vero e
proprio elenco degli ambiti che possono essere oggetto di deterioramento ambientale
che restringe apparentemente i fatti che possono essere lesivi dell’ambiente.
La
norma afferma che costituisce danno ambientale, in particolare, il
deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:
a) alle specie e agli habitat naturali protetti
dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla L. 11 febbraio 1992, n.
157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, e di cui al D.P.R.
8 settembre 1997, n. 357, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché
alle aree naturali protette di cui alla L. 6 dicembre 1991, n. 394;
b)
alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente
negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale
ecologico delle acque interessate;
c)
alle acque costiere ed a quelle comprese nel mare territoriale mediante le
azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;
d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che
crei un rischio significativo di effetti nocivi,
anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul
suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi
per l’ambiente.
Tale
elenco è da considerarsi esemplificativo e non tassativo.
E’
evidente, infatti, che sono lesive dell’ambiente tutte le fattispecie di
interventi realizzati senza la cosiddetta autorizzazione ambientale, mentre il
legislatore fa specifico riferimento a fattispecie definite dalla Direttiva
2004/35/CE.
Esula
dal concetto di danno ambientale l'impugnativa di atti di pianificazione del
territorio. T.A.R.
Toscana, sez. I, 25 maggio 2005, n. 2576,
in Foro amm. TAR, 2005, f. 5,1463.
Non
è consentita un'opposizione di merito alla scelta dell'Amministrazione di
intervento in una zona della città che, comunque, è idoneo ad incidere sulla
morfologia paesaggistico-ambientale della zona nonché sull'assetto urbanistico
e architettonico del centro come negli anni consolidatosi, sostituendo così i
propri apprezzamenti estetici e funzionali a quelli che, secondo la legge,
sono, invece, riservati all'Amministrazione comunale.
Provoca danno ambientale, secondo detta disposizione, un qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizioni di leggi o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto od in parte.
Provoca danno ambientale, secondo detta disposizione, un qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizioni di leggi o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto od in parte.
Secondo
la dottrina si ha responsabilità per danno ambientale non solo quando si lede
un vincolo ambientale in senso stretto, ma anche quando è violato uno dei tre
settori della legislazione ambientale in senso lato: la bellezza naturale; la
difesa dell’ambiente; l’urbanistica. N. ASSINI, Tutela delle risorse
ambientali e danno ambientale, in Nuova Rass., 2005, 2402.
4.
Il principio di precauzione e
l’azione di prevenzione.
L’art.
301, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, introduce il principio di precauzione in
applicazione dell’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE.
Detto
principio di precauzione prevede che in caso di pericoli, anche solo
potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un
alto livello di protezione.
E’
l’operatore interessato che ha la responsabilità diretta, quando emerga il
rischio suddetto, di informarne senza indugio - indicando tutti gli aspetti
pertinenti alla situazione - il comune, la provincia, la regione o la provincia
autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo nonché il Prefetto
della provincia che, nelle ventiquattro ore successive, deve informare il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in quanto ultima autorità
ad essere informata, in applicazione del principio di precauzione, ha la
facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione.
L’azione
di prevenzione deve essere eseguita quando il danno ambientale non si è ancora
verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, ex art.
304, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152.
In
questo caso il soggetto abilitato o l’operatore interessato adotta, entro
ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di
messa in sicurezza.
Gli
interventi non devono essere sottoposti ad alcuna autorizzazione
amministrativa; essi devono essere preceduti da apposita comunicazione al
comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui
territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che
nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio.
Tale
comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della
situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche
del sito interessato, le matrici ambientali
presumibilmente coinvolte e la descrizione degli
interventi da eseguire.
La
comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente
l’operatore alla realizzazione degli interventi.
La
mancata attivazione dell’operatore comporta la irrogazione di una sanzione
amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni
giorno di ritardo.
La
sanzione presuppone l’accertamento della situazione di pericolo e la
documentata inerzia dell’operatore di fronte all’emergenza.
Il
codice dell’ambiente ignora ogni intervento cautelare delle amministrazioni
locali prevedendo invece un intervento cautelare del Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio che ha facoltà di chiedere all’operatore di fornire
informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale, di ordinare
all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate
necessarie e di adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie.
Il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare
egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno in caso di
inottemperanza, addebitando le relative spese.
Anche
in tale fattispecie c’è da chiedersi se possa intendersi abrogato il potere
attribuito dal comma 3, art. 54, D.L.vo 267 del 2000, di adottare ordinanze
contingibili ed urgenti conferito al sindaco.
La
risposta non può che essere negativa poiché detto potere è conferito per fare fronte
ad una situazione di imminente pericolo per l'igiene e l'incolumità pubblica
alla quale non possa farsi fronte con i normali rimedi apprestati
dall'ordinamento giuridico e cioè nel caso in cui, in mancanza di altra norma
che autorizzi a provvedere altrimenti, ci si trovi di fronte ad evenienze di
carattere eccezionale ed imprevedibile che determinano, per la sicurezza o
l'igiene pubblica, una situazione di pericolo che occorre eliminare
immediatamente. T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 19 ottobre 2005, n. 19451, in Foro
amm. TAR, 2005, 10, 3267.
5.
Il ripristino ambientale da parte
dell’operatore.
L’art.
305, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, definisce le modalità di esecuzione
dell’azione di ripristino ambientale.
L’operatore,
nel caso del verificarsi di un danno ambientale, deve comunicare senza indugio
tutti gli aspetti pertinenti della situazione alle
autorità.
L’operatore ha inoltre
l’obbligo di adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per
controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto
immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare
ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o
ulteriori deterioramenti ai servizi, anche sulla base delle specifiche istruzioni
formulate dalle autorità competenti relativamente alle misure di prevenzione
necessarie da adottare. L’operatore ha inoltre
l’obbligo di adottare le necessarie misure di ripristino.
Il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può controllare le misure
adottate dall’operatore; Il ministro può ordinare all’operatore di adottare
tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o
gestire in altro modo qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o
limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o
ulteriori deterioramenti ai servizi.
Nell’ambito
di detto potere è compresa la possibilità di ordinare all’operatore di prendere
le misure di ripristino necessarie con il relativo potere sostitutivo in caso
di inottemperanza con diritto a rivalsa.
Se
la precedente situazione non è ripristinata e non sono eliminati completamente
i danni all’ambiente il D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, consente al Ministero
dell’ambiente una particolare azione di rimessione in pristino.
5.1.
L’ordinanza ministeriale di
rimessione in pristino in forma specifica e per equivalente patrimoniale.
L’art.
311, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, prevede che il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio agisca, anche esercitando l’azione civile in sede
penale, per il risarcimento del danno ambientale in
forma specifica.
Il secondo comma dell’art. 311,
D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, dispone che chiunque,
realizzando un fatto illecito o omettendo attività o comportamenti doverosi,
con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con
negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno
all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte,
è obbligato al ripristino della precedente situazione.
Spetta al magistrato in caso di mancanza di ogni attività da parte
del gestore di ripristino ambientale dettare le modalità dell’azione di
ripristino.
Così configurata l'azione di rimessione in pristino è puramente
teorica poiché, nel caso di latitanza del gestore, è evidente la necessità di
un'azione sostitutiva da parte dell’organismo pubblico tesa ad eliminare il
danno ambientale attraverso gli interventi più appropriati.
La nuova disciplina è tesa a conseguire tempestivamente
l’esecuzione delle sanzioni amministrative attraverso la riduzione dei tempi
del risarcimento.
In mancanza della possibilità di ottenere l’azione di ripristino
l’amministrazione può ottenere l’equivalente patrimoniale.
E’ prevista un’ordinanza ingiunzione che dà la possibilità al
Ministero di incassare in modo certo e veloce le somme.
Dette somme, una volta riscosse, confluiscono in un fondo di
rotazione che deve finanziare gli interventi di messa in sicurezza,
disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale.
La
giurisprudenza precedente ha precisato le condizioni per l’esperimento
dell’azione di risarcimento vale a dire la volontarietà dell’azione, sotto il
profilo soggettivo, e la necessità che sussista, sotto il profilo oggettivo, un
danno concreto all’ambiente.
Essa
non riteneva sufficiente la modificazione, alterazione o distruzione
dell'ambiente naturale considerata da un mero punto di vista obiettivo, nella
sua materialità, ma occorreva l'elemento soggettivo intenzionale, cioè la
condotta dolosa o colposa, e, per la legge speciale, qualificata dalla
violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a
legge. Vige, altrimenti, la causa esimente dell'esercizio legittimo di un
diritto. Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1998, n. 1087, in Resp. Civ. Prev.,
1999, 467.
La
nuova formulazione dell’art. 311, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, elimina il
requisito della colpa del gestore punendo anche il mero comportamento colposo
che non tenga conto delle norme vigenti a tutela dell’ambiente. A. ROBUSTELLA, op.
cit., 2006, 786.
5.2.
La determinazione del danno.
La
L. 349 del 1986 ribadisce che per la determinazione del danno deve essere preso
in considerazione il costo del ripristino delle risorse naturali, il profitto
indebito conseguito dall’autore del danno e del grado della colpa dell’agente.
La
giurisprudenza ammette che, in mancanza di misurazioni qualitative e
quantitative dell'inquinamento, il danno ambientale sia liquidato dal giudice
penale sulla scorta dei criteri equitativi dettati dall'art. 18, L. 349 del
1986, e che il suo ammontare, fermo restando il costo di ripristino delle
risorse naturali, vari in funzione del grado della colpa e del profitto
indebito conseguito dal trasgressore. Trib. Venezia, 27 novembre 2002, in Riv.
giur. Amb., 2003, 163.
La
dottrina invoca una organizzazione amministrativa capace di raccordare
l'attività del Ministero dell'ambiente (di per sé privo di qualsiasi struttura
periferica in grado di raccogliere, ordinare e valutare tutti gli elementi e le
conoscenze indispensabili all'utile esercizio dell'azione con riferimento alla
singola condotta lesiva dell'ambiente) con i compiti della locale Avvocatura
distrettuale dello Stato, organo tecnico esclusivo titolare della
rappresentanza dell'Amministrazione statale nel processo e responsabile delle
scelte difensive di volta in volta da compiere. G. SCHIESARO, "Chi
inquina paga": una nuova frontiera nella liquidazione del danno ambientale
ex art. 18, legge 349/1986, in Riv. giur. Ambiente, 2003, 1, 173.
L’art.
311, comma 3, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, dà una definizione più compiuta dei
criteri per determinare il risarcimento.
Detta
disposizione normativa precisa, infatti, che alla
quantificazione del risarcimento per equivalente patrimoniale il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio provvede in applicazione dei
criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 al D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152.
Il
risarcimento di danni provocati da impianti i cui progetti sono sottoposti a
VIA, all. 3, deve essere quantificato tenendo in evidenza gli elementi di
verifica richiesti per l'assoggettamento a VIA di quei progetti con particolare
riferimento alle caratteristiche dei progetti, alla loro localizzazione e alle
caratteristiche del loro impatto potenziale.
5.3.
Il danno morale.
Per
la giurisprudenza il responsabile del disastro ambientale deve risarcire il
danno morale ai residenti nell'area in quanto soggetti a rischio.
Deve
essere ristorata la lesione costituita dalla paura di ammalarsi come
conseguenza del reato ex art. 449 c.p.
Nella
specie, la Corte ha confermato il risarcimento per i cittadini di un paese che,
in seguito alla fuoriuscita di diossina da una fabbrica, erano stati
ripetutamente sottoposti a controlli sanitari e a un regime di vigilanza; a
detta della Corte, il danno non patrimoniale da risarcire andava ravvisato nel
patema d'animo indotto in ognuno dei cittadini dalla preoccupazione per il
proprio stato di salute, dopo la consumazione del reato di disastro ambientale.
Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059.
Gli
attori, residenti nelle zone confinanti a quelle oggetto di danno ambientale
devono sottoporsi, in quanto soggetti a rischio, a ripetuti controlli sanitari,
sia nell'immediatezza dell'evento sia successivamente, per parecchi anni.
Il fatto nel patema d'animo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute ha indotto il giudice civile a configurare il danno non patrimoniale in capo agli attori.
Il fatto nel patema d'animo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute ha indotto il giudice civile a configurare il danno non patrimoniale in capo agli attori.
Il
fatto deve essere documentalmente provato.
Il
danno non patrimoniale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza
interna ben può essere provato per presunzioni. Il danno è stato quantificato
in euro 5.000 liquidato in via equitativa in favore di ciascuno degli attori
sulla base di una valutazione prudenziale, se non addirittura minima del danno
morale.
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