mercoledì 8 febbraio 2017

Il danno ambientale.

Il danno ambientale. Definizione.

L’art. 300, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, definisce danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.
Il secondo comma dell’art. 300, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, contiene un vero e proprio elenco degli ambiti che possono essere oggetto di deterioramento ambientale che restringe apparentemente i fatti che possono essere lesivi dell’ambiente.
La norma afferma che costituisce danno ambientale, in particolare, il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:
a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla L. 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, e di cui al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla L. 6 dicembre 1991, n. 394;
b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate;
c) alle acque costiere ed a quelle comprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;
d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.
Tale elenco è da considerarsi esemplificativo e non tassativo.
E’ evidente, infatti, che sono lesive dell’ambiente tutte le fattispecie di interventi realizzati senza la cosiddetta autorizzazione ambientale, mentre il legislatore fa specifico riferimento a fattispecie definite dalla Direttiva 2004/35/CE.
Esula dal concetto di danno ambientale l'impugnativa di atti di pianificazione del territorio. T.A.R. Toscana, sez. I, 25 maggio 2005, n. 2576, in Foro amm. TAR, 2005, f. 5,1463.
Non è consentita un'opposizione di merito alla scelta dell'Amministrazione di intervento in una zona della città che, comunque, è idoneo ad incidere sulla morfologia paesaggistico-ambientale della zona nonché sull'assetto urbanistico e architettonico del centro come negli anni consolidatosi, sostituendo così i propri apprezzamenti estetici e funzionali a quelli che, secondo la legge, sono, invece, riservati all'Amministrazione comunale.
Provoca danno ambientale, secondo detta disposizione, un qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizioni di leggi o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto od in parte.
Secondo la dottrina si ha responsabilità per danno ambientale non solo quando si lede un vincolo ambientale in senso stretto, ma anche quando è violato uno dei tre settori della legislazione ambientale in senso lato: la bellezza naturale; la difesa dell’ambiente; l’urbanistica. N. ASSINI, Tutela delle risorse ambientali e danno ambientale, in Nuova Rass., 2005, 2402.

4. Il principio di precauzione e l’azione di prevenzione.

L’art. 301, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, introduce il principio di precauzione in applicazione dell’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE.
Detto principio di precauzione prevede che in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione.
E’ l’operatore interessato che ha la responsabilità diretta, quando emerga il rischio suddetto, di informarne senza indugio - indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione - il comune, la provincia, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo nonché il Prefetto della provincia che, nelle ventiquattro ore successive, deve informare il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in quanto ultima autorità ad essere informata, in applicazione del principio di precauzione, ha la facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione.
L’azione di prevenzione deve essere eseguita quando il danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, ex art. 304, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152.
In questo caso il soggetto abilitato o l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.
Gli interventi non devono essere sottoposti ad alcuna autorizzazione amministrativa; essi devono essere preceduti da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire.
La comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l’operatore alla realizzazione degli interventi.
La mancata attivazione dell’operatore comporta la irrogazione di una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.
La sanzione presuppone l’accertamento della situazione di pericolo e la documentata inerzia dell’operatore di fronte all’emergenza.
Il codice dell’ambiente ignora ogni intervento cautelare delle amministrazioni locali prevedendo invece un intervento cautelare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che ha facoltà di chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale, di ordinare all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie e di adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno in caso di inottemperanza, addebitando le relative spese.
Anche in tale fattispecie c’è da chiedersi se possa intendersi abrogato il potere attribuito dal comma 3, art. 54, D.L.vo 267 del 2000, di adottare ordinanze contingibili ed urgenti conferito al sindaco.
La risposta non può che essere negativa poiché detto potere è conferito per fare fronte ad una situazione di imminente pericolo per l'igiene e l'incolumità pubblica alla quale non possa farsi fronte con i normali rimedi apprestati dall'ordinamento giuridico e cioè nel caso in cui, in mancanza di altra norma che autorizzi a provvedere altrimenti, ci si trovi di fronte ad evenienze di carattere eccezionale ed imprevedibile che determinano, per la sicurezza o l'igiene pubblica, una situazione di pericolo che occorre eliminare immediatamente. T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 19 ottobre 2005, n. 19451, in Foro amm. TAR, 2005, 10, 3267.

5. Il ripristino ambientale da parte dell’operatore.

L’art. 305, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, definisce le modalità di esecuzione dell’azione di ripristino ambientale.
L’operatore, nel caso del verificarsi di un danno ambientale, deve comunicare senza indugio tutti gli aspetti pertinenti della situazione alle autorità.
L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi, anche sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare. L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare le necessarie misure di ripristino.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può controllare le misure adottate dall’operatore; Il ministro può ordinare all’operatore di adottare tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi.
Nell’ambito di detto potere è compresa la possibilità di ordinare all’operatore di prendere le misure di ripristino necessarie con il relativo potere sostitutivo in caso di inottemperanza con diritto a rivalsa.
Se la precedente situazione non è ripristinata e non sono eliminati completamente i danni all’ambiente il D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, consente al Ministero dell’ambiente una particolare azione di rimessione in pristino.
5.1. L’ordinanza ministeriale di rimessione in pristino in forma specifica e per equivalente patrimoniale.

L’art. 311, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, prevede che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisca, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica.
Il secondo comma dell’art. 311, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, dispone che chiunque, realizzando un fatto illecito o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione.
Spetta al magistrato in caso di mancanza di ogni attività da parte del gestore di ripristino ambientale dettare le modalità dell’azione di ripristino.
Così configurata l'azione di rimessione in pristino è puramente teorica poiché, nel caso di latitanza del gestore, è evidente la necessità di un'azione sostitutiva da parte dell’organismo pubblico tesa ad eliminare il danno ambientale attraverso gli interventi più appropriati.
La nuova disciplina è tesa a conseguire tempestivamente l’esecuzione delle sanzioni amministrative attraverso la riduzione dei tempi del risarcimento.
In mancanza della possibilità di ottenere l’azione di ripristino l’amministrazione può ottenere l’equivalente patrimoniale.
E’ prevista un’ordinanza ingiunzione che dà la possibilità al Ministero di incassare in modo certo e veloce le somme.
Dette somme, una volta riscosse, confluiscono in un fondo di rotazione che deve finanziare gli interventi di messa in sicurezza, disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale.
La giurisprudenza precedente ha precisato le condizioni per l’esperimento dell’azione di risarcimento vale a dire la volontarietà dell’azione, sotto il profilo soggettivo, e la necessità che sussista, sotto il profilo oggettivo, un danno concreto all’ambiente.
Essa non riteneva sufficiente la modificazione, alterazione o distruzione dell'ambiente naturale considerata da un mero punto di vista obiettivo, nella sua materialità, ma occorreva l'elemento soggettivo intenzionale, cioè la condotta dolosa o colposa, e, per la legge speciale, qualificata dalla violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge. Vige, altrimenti, la causa esimente dell'esercizio legittimo di un diritto. Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1998, n. 1087, in Resp. Civ. Prev., 1999, 467.
La nuova formulazione dell’art. 311, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, elimina il requisito della colpa del gestore punendo anche il mero comportamento colposo che non tenga conto delle norme vigenti a tutela dell’ambiente. A. ROBUSTELLA, op. cit., 2006, 786.

5.2. La determinazione del danno.

La L. 349 del 1986 ribadisce che per la determinazione del danno deve essere preso in considerazione il costo del ripristino delle risorse naturali, il profitto indebito conseguito dall’autore del danno e del grado della colpa dell’agente.
La giurisprudenza ammette che, in mancanza di misurazioni qualitative e quantitative dell'inquinamento, il danno ambientale sia liquidato dal giudice penale sulla scorta dei criteri equitativi dettati dall'art. 18, L. 349 del 1986, e che il suo ammontare, fermo restando il costo di ripristino delle risorse naturali, vari in funzione del grado della colpa e del profitto indebito conseguito dal trasgressore. Trib. Venezia, 27 novembre 2002, in Riv. giur. Amb., 2003, 163.
La dottrina invoca una organizzazione amministrativa capace di raccordare l'attività del Ministero dell'ambiente (di per sé privo di qualsiasi struttura periferica in grado di raccogliere, ordinare e valutare tutti gli elementi e le conoscenze indispensabili all'utile esercizio dell'azione con riferimento alla singola condotta lesiva dell'ambiente) con i compiti della locale Avvocatura distrettuale dello Stato, organo tecnico esclusivo titolare della rappresentanza dell'Amministrazione statale nel processo e responsabile delle scelte difensive di volta in volta da compiere. G. SCHIESARO, "Chi inquina paga": una nuova frontiera nella liquidazione del danno ambientale ex art. 18, legge 349/1986, in Riv. giur. Ambiente, 2003, 1, 173.
L’art. 311, comma 3, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, dà una definizione più compiuta dei criteri per determinare il risarcimento.
Detta disposizione normativa precisa, infatti, che alla quantificazione del risarcimento per equivalente patrimoniale il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio provvede in applicazione dei criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 al D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152.
Il risarcimento di danni provocati da impianti i cui progetti sono sottoposti a VIA, all. 3, deve essere quantificato tenendo in evidenza gli elementi di verifica richiesti per l'assoggettamento a VIA di quei progetti con particolare riferimento alle caratteristiche dei progetti, alla loro localizzazione e alle caratteristiche del loro impatto potenziale.
5.3. Il danno morale.

Per la giurisprudenza il responsabile del disastro ambientale deve risarcire il danno morale ai residenti nell'area in quanto soggetti a rischio.
Deve essere ristorata la lesione costituita dalla paura di ammalarsi come conseguenza del reato ex art. 449 c.p.
Nella specie, la Corte ha confermato il risarcimento per i cittadini di un paese che, in seguito alla fuoriuscita di diossina da una fabbrica, erano stati ripetutamente sottoposti a controlli sanitari e a un regime di vigilanza; a detta della Corte, il danno non patrimoniale da risarcire andava ravvisato nel patema d'animo indotto in ognuno dei cittadini dalla preoccupazione per il proprio stato di salute, dopo la consumazione del reato di disastro ambientale. Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059.
Gli attori, residenti nelle zone confinanti a quelle oggetto di danno ambientale devono sottoporsi, in quanto soggetti a rischio, a ripetuti controlli sanitari, sia nell'immediatezza dell'evento sia successivamente, per parecchi anni.
Il fatto nel patema d'animo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute ha indotto il giudice civile a configurare il danno non patrimoniale in capo agli attori.
Il fatto deve essere documentalmente provato.
Il danno non patrimoniale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza interna ben può essere provato per presunzioni. Il danno è stato quantificato in euro 5.000 liquidato in via equitativa in favore di ciascuno degli attori sulla base di una valutazione prudenziale, se non addirittura minima del danno morale.




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