giovedì 2 febbraio 2017

Il processo amministrativo.

Il processo amministrativo.


L’art. 44, L. 18 giugno 2009, n. 69, dispone la delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo che deve avvenire entro un anno dall’entrata in vigore della legge con una delega assai ampia. D. PONTE, Giudizio amministrativo. Informatizzare le procedure per cause più brevi, in Giuda Dir. , 2009, n. 28, 70.
La riforma deve, fra l’altro, assicurare la snellezza, la concentrazione e la effettività della tutela per garantire la durata ragionevole del processo. A tal fine il legislatore deve ricorrere alla informatizzazione delle procedure, alla razionalizzazione dei termini e all’estensione delle funzioni istruttorie monocratiche
Si rende necessario il coordinamento di norme sparse in diversi testi che risultano disomogenee.
Il legislatore dispone anche il riordino e la razionalizzazione dei riti speciali per determinate materie che stanno proliferando dopo le norme riguardanti i contratti pubblici, ex art. 245, D.L.vo 163/2006
Di particolare interesse è il criterio teso a riordinare la tutela cautelare. E’ generalizzata la tutela cautelare ante causam introdotta dall’art. 245, D.L.vo 163/2006, collegando la stessa alla decisione sul merito.
La riforma ha trovato attuazione con approvazione del D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, aggiornato con D.L.vo 15 novembre 2011, n. 195.
Il codice continua la tradizione mantenendo al struttura del processo amministrativo estremamente semplice. Essa consente di risolvere le controversie in tempi relativamente rapidi. Essa prede una fase cautelare contenuta in poche settimane ed una fase di merito che non richiede complicati adempimenti istruttori. M. CLARICH, Il codice  amministrativo. Un corpus normativo dai contenuti innovativi che contribuisce alla certezza del diritto., in Giuda Dir. , 2010, n. 32, 13.
Il D.L.vo 104/2010 si compone di quattro allegati
Il primo contiene il codice del processo amministrativo, il secondo le norme di attuazione, il terzo quelle transitorie ed infine il quarto le norme di coordinamento.
La dottrina rileva come il codice riafferma che la giustizia amministrativa assicura il rispetto dei principi della costituzione e del diritto europeo, ex art. 1, D.L.vo 104/2010.
Il giudice nel caso di contrasto con le norme di diritto comunitario deve procedere ad una immediata e diretta disapplicazione delle norme in favore dei principi fissati dal diritto comunitario senza dovere transitare per l’accertamento della costituzionalità delle norme . T.A.R. Lazio, sez. II, 18 maggio, 2010 n. 11984 . G. CARUSO, Il codice  amministrativo. Giurisdizione rilevabile d’ufficio solo in primo grado, in Giuda Dir. , 2010, n. 32, 14.
L’art. 2, D.L.vo 104/2010, afferma principi che oggi sembrano acquisiti da sempre ma che hanno richiesto una profonda evoluzione: la parità delle parti, il contraddittorio, il giusto processo che deve essere portato a termine in tempi ragionevoli ed aggiungiamo l’accesso al procedimento che è entrato a tutto diritto anche nel processo amministrativo. .




1.1         La giurisdizione dei giudici amministrativi.


Per capire come si è giunti all’attuale sistema di giustizia amministrativa bisogna rifarsi alla L. 2248, all. e), del 1865che ha  abolito i tribunali del contenzioso amministrativo. La disposizione di legge attribuiva le controversie con la pubblica amministrazione alla stessa amministrazione.
Successivamente, nel 1889, nasce la quarta sezione del Consiglio di Stato.
Solo nel 1907, coll’istituzione della quinta sezione, è riconosciuta la funzione giurisdizionale delle due sezioni del Consiglio di Stato ed è istituita la giunta provinciale amministrativa.
La giunta presieduta dal prefetto giudica sui ricorsi contro le delibere degli enti locali.
Il sistema si stabilizza con i testi unici del 1924, n. 1054 e n.1058.
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della composizione delle G.P.A. nel 1967 e le funzioni giurisdizionali si concentrano nel Consiglio di Stato fino all’istituzione dei T.A.R. con L.1034/1971. R. GALLI , Corso di diritto amministrativo, 1996, 64
Il giudice amministrativo ha una competenza differenziata nei confronti degli atti impugnati.
Su tutti gli atti egli ha un controllo di legittimità, ossia un controllo che l'atto non sia viziato da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, che sfocia in una pronuncia di annullamento.
Il giudice amministrativo non può sindacare né il merito della scelta tecnica né il merito della scelta di pura opportunità, ma ben può sindacare entrambe sotto il profilo della loro intrinseca logicità e della loro formale congruenza rispetto al fine concreto che l'amministrazione intende perseguire. P. CIRIACO, Discrezionalità tecnica e sindacato del giudice amministrativo , in Giur. Merito, 2010, 3, 823
Per alcuni atti è ammesso un controllo di merito ossia il giudice può valutare il fatto in sé per sindacarne l'opportunità con possibilità di modifica dell'atto.
Per altri atti è ammesso il sindacato anche sugli eventuali diritti soggettivi coinvolti dall'atto amministrativo per cui il giudice amministrativo ha competenza esclusiva che può essere estesa nel merito.
Non esistono criteri ermeneutici di ripartizione di queste competenze per cui è necessario ricorrere direttamente alle fonti normative.
La giurisdizione amministrativa è esercitata dai tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato.
L’art. 5,  D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.,  precisa che sono organi di giurisdizione amministrativa di primo grado i tribunali amministrativi regionali e il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino - Alto Adige. disciplinato dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione .
A. R. TASSONE; Organi della giurisdizione amministrativa, in A. QUARANTA e V. LOPILATO, Il processo amministrativo, 2011, 77

Il tribunale amministrativo regionale decide con l'intervento di tre magistrati, compreso il presidente
Il Consiglio di Stato è organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale decide con l'intervento di cinque magistrati, di cui un presidente di sezione e quattro consiglieri.
L'adunanza plenaria è composta dal presidente del Consiglio di Stato che la presiede e da dodici magistrati del Consiglio di Stato, assegnati alle sezioni giurisdizionali.
 Gli appelli avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia sono proposti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nel rispetto delle disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione.
La composizione dei T.A:R. e del Consiglio di Stato è disciplinata dagli artt. 9 e segg. della L. 6 dicembre 1971, n.1034.


2           Gli interessi legittimi e i diritti soggettivi.


L’art. 7,  D.L.vo 2 luglio 2010, n.104 cod. proc. amm.,  devolve alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.
La tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi è prevista in forma differenziata a seconda del tipo di lesione alle posizioni giuridiche del ricorrente; si suole distinguere fra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
L'interesse legittimo trova fondamento nella pretesa alla legittimità dell'atto amministrativo (VIRGA), altri ne accentuano l'aspetto processuale identificandolo con l'interesse al ricorso (SATTA).
Per altri autori l’interesse legittimo nasce nel momento in cui la p.a. comincia ad interessarsi del bene sostanziale del privato, in tal modo anche il processo amministrativo acquista una funzione diversa che è quella della reintegrazione e della tutela sostanziale del privato arricchita dalla possibilità di assicurare anche la tutela risarcitoria, ex L. 205/2000. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, 341.
Si qualifica interesse legittimo la posizione giuridica del privato sottoposta all'azione amministrativa sia in rapporto ad una particolare compressione del suo diritto soggettivo, che viene degradato ad interesse legittimo, sia in rapporto alla normale azione della pubblica amministrazione.
Il diritto soggettivo sotto l'azione amministrativa subisce un affievolimento e viene limitato nella sua possibilità di esercizio e di tutela.
Il soggetto titolare ha pertanto un interesse qualificato legittimo alla tutela in rapporto alle norme che guidano l'azione amministrativa.
Ad esempio il diritto del proprietario in rapporto alla procedura di pubblica utilità risulta affievolito ed il proprietario ha un mero interesse legittimo alla regolare attuazione del procedimento.
Il concetto di interesse legittimo è di carattere generale.
Esso è rapportato alla stessa azione amministrativa il cui esercizio fa sorgere degli interessi qualificati legittimi nei privati interessati anche a prescindere da diritti soggettivi preesistenti.
Ad esempio si pensi ad un pubblico concorso di assunzione che fa sorgere in chi vi partecipa l'interesse legittimo all'esercizio dell'azione amministrativa che si concretizza nel censurare i poteri dell'amministrazione; esso in tal caso coincide con l'interesse generale ad una corretta gestione delle pubbliche assunzioni.
Del pari l'illegittima aggiudicazione di un appalto incide sull'interesse legittimo del concorrente e coincide coll'interesse generale alla buona amministrazione nell'affidamento dei lavori pubblici.
Per altra dottrina non ha senso parlare di degradazione del diritto soggettivo perché sono gli stessi interessi -  rappresentati come diritti soggettivi nell’ambito dei rapporti tra privati - che si configurano come interessi legittimi nei confronti dell’amministrazione che agisce nell’esercizio di pubblici poteri V: CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, 1997, 378.
Sono gli effetti stessi dell'azione della amministrazione sui vari soggetti che ne vengono coinvolti che qualificano la posizione di interesse.
Non ogni provvedimento qualifica come legittimo l'interesse del soggetto che ne risulta coinvolto.
Nelle gare di appalto, ad esempio,  solo i partecipanti hanno posizioni di interesse legittimo, non le imprese che non hanno partecipato.
I soggetti che pur risentono indirettamente degli effetti dell'azione amministrativa hanno un mero interesse alla legittimità dell'azione che non è azionabile.
La distinzione fra mero interesse ed interesse legittimo richiede come requisiti perché l'interesse sia riconosciuto legittimo la concretezza, l'immediatezza e l'attualità.
Alla classificazione tradizionale che distingue fra interessi legittimi veri e propri e diritti soggettivi affievoliti a interessi legittimi in seguito all'azione dell'amministrazione sono seguite altre definizioni per qualificare l'interesse legittimo e per evidenziarne le possibilità di tutela.
Si distingue fra interessi oppositivi o statici per indicare quegli interessi che comportano l'affermazione di una pretesa ad un comportamento negativo dell'amministrazione ; mentre si qualificano pretensivi, dalla definizione fornita dalla giurisprudenza, quegli interessi visti in chiave dinamica che sottintendono la richiesta di un comportamento positivo.
L'annullamento di un provvedimento negativo su di una richiesta di permesso di costruire, ad esempio, comporta un interesse pretensivo ad una delibera comunale che recepisca gli indirizzi del TAR, qualora sia mutata la situazione urbanistica allora vigente.
Agli interessi collettivi di cui sono titolari lo Stato e gli altri enti pubblici si contrappongono gli interessi diffusi di cui sono portatori soggetti od associazioni non determinati.
Si tenta così di allargare il concetto di personalità dell'interesse per consentire una maggiore possibilità di
tutela nei confronti dei provvedimenti della amministrazione; ad esempio la L. 349/1986 riconosce ad associazioni di protezione ambientale la facoltà di ricorrere contro i provvedimenti lesivi dell'ambiente.
Il diritto soggettivo trova diverso inquadramento nella dottrina: per taluni (VIRGA) consiste nella facoltà di agire, per altri (ALLORIO) si riscontra nella pretesa giurisdizionale che l'ordinamento gli riconosce, altri ancora (PUGLIATTI) intendono per diritto soggettivo il potere attribuito al soggetto dall'ordinamento giuridico così come disciplinato dalle norme.
Il diritto soggettivo può riguardare i diritti reali, come il diritto di proprietà, ovvero i diritti sulla persona, come il diritto all'integrità fisica, ovvero i diritti obbligatori, come le obbligazioni che derivano dai contratti.
Quando si fa questione su questi diritti le relative controversie vengono deferite al giudice ordinario anche se vi è interessata una amministrazione pubblica.
E' affidata al giudice ordinario la giurisdizione nelle controversie su diritti soggettivi, salvo il caso di giurisdizione esclusiva, nel qual caso il giudice amministrativo giudica congiuntamente anche sui relativi diritti soggettivi.



3           I criteri di ripartizione della giurisdizione.


La non sempre netta distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi ha suggerito alla giurisprudenza taluni criteri di distinzione per rendere più chiara la giurisdizione di ciascun giudice.
Là dove il confine fra interessi e diritti è più difficile da individuare vi è stata una attrazione nell'orbita del giudice amministrativo, attraverso l'individuazione di una giurisdizione esclusiva su questioni che, se deferite al giudice ordinario, avrebbero reso più complicata la tutela giurisdizionale, ad esempio in tema di concessioni.
Il criterio di ripartizione più diffuso è quello relativo alla distinzione fra norme di azione e norme di relazione enunciato brillantemente dalla migliore dottrina .E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, 1957, 10.
Le norme di azione sono quelle che regolano l'azione  amministrativa: gli interessati hanno solo un interesse legittimo alla censura dei procedimenti e dei provvedimenti, anche quando tale azione esplica effetti su diritti soggettivi che vengono compressi e affievoliti al rango di interessi legittimi.
Le norme di relazione sono quelle che disciplinano i rapporti fra privati e amministrazione ponendoli su di un piano di sostanziale parità come se l'amministrazione agisse iure privatorum.
Questo si verifica quando l'amministrazione agisce nell'ambito di rapporti privati, regolati dal diritto civile, ad esempio, nel caso dei vari contratti posti in essere dall'amministrazione come compravendite, locazioni.
Il criterio enunciato presenta pur sempre una certa difficoltà visto che nell'ambito di una disciplina legislativa del procedimento amministrativo, ad esempio nell'espropriazione per pubblica utilità, si ravvisano norme di azione, quelle procedimentali, e norme di relazione, quelle che fissano l'indennità.
E' da notare che talvolta la differenziazione è estremamente complicata.
In questo caso il legislatore risolve il problema attribuendo la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo che giudica di diritti e interessi, fatti salvi i diritti patrimoniali consequenziali che sono riservati al giudice ordinario.
Un altro criterio si basa esclusivamente sulla causa petendi, nel senso che evidenzia a priori la natura della controversia e, in questo modo, a volte non appare sufficiente come criterio differenziatore.
In alcune ipotesi la natura della controversia è utilizzata come criterio per la definizione della giurisdizione dalla stessa richiesta di tutela  - petitum -  fatta dall'attore per i diversi effetti che ne derivano.
Ad esempio, se il proprietario di un immobile è leso nel suo diritto dal confinante che ha costruito in spregio alle norme sulle distanze, egli può richiedere al giudice amministrativo l'annullamento della relativa concessione, per violazione delle norme di azione, ossia delle norme di piano che regolano l'azione amministrativa, ovvero può richiedere al giudice ordinario il rispetto del suo diritto di proprietà, ossia delle norme di relazione, attraverso la restituzione in pristino ed il risarcimento relativo.
La diversità della tutela accordata ha spinto taluni a riconoscere nella richiesta del privato il criterio stesso della ripartizione della giurisdizione.
Questo criterio di distinzione è stato elaborato nella teoria della prospettazione secondo la quale è lo stesso ricorrente che individua la giurisdizione prospettando la lesione di un suo diritto ovvero di un suo interesse legittimo.
Non appare accettabile tale criterio che si fonda nella richiesta del ricorrente senza che sia ammessa una indagine sulla natura stessa del diritto o dell'interesse su cui si controverte.
Il D.L.vo 80/1998, i cui contenuti sono recepiti dal D.L.vo cod. proc. amm.., supera il criterio tradizionale di riparto della giurisdizione basata sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi identificando per legge le materie oggetto della giurisdizione amministrativa e crea una giurisdizione generale di legittimità comprensiva dell’esame delle eventuali richieste di risarcimento del danno. La Corte costituzionale ha però ridimensionato la facoltà del legislatore di definire ex lege la giurisdizione restituendo alla causa petendi il ruolo di criterio principale di riparto. F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale  amministrativo, 2005, 211.

3.1) L’ammissibilità dell’arbitrato nell’ambito della giurisdizione amministrativa.

L’art. 6, comma 2, L. 205/2000 risolve ogni controversia affermando che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto.
La norma è stata riprodotta dall’art. 12, D.L.vo 104/2010, che regola il processo amministrativo.
Il legislatore prevede solo l’arbitrato rituale escludendo l’arbitrato irrituale e l’arbitrato rituale secundum aequitatem. F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale, 2005, 783.
La giurisprudenza conferma che è ammesso soltanto il ricorso all'arbitrato rituale di diritto e non a quello irrituale; la ratio della norma consiste nella rilevanza dei pubblici interessi comunque coinvolti nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva; in quanto benché la p.a., nel suo operare negoziale, si trovi su un piano paritetico a quello dei privati, ciò non significa che vi sia una piena ed assoluta equiparazione della sua posizione a quella del privato, poiché l'Amministrazione è comunque portatrice di un interesse pubblico cui il suo agire deve in ogni caso ispirarsi; ne consegue che alla stessa è preclusa la possibilità di avvalersi dello strumento del c.d. arbitrato irrituale o libero, poiché in tal modo il componimento della vertenza verrebbe ad essere affidato a soggetti (gli arbitri irrituali) individuati, nell'ambito di una pur legittima logica negoziale, in difetto di qualsiasi procedimento legalmente determinato e, perciò, senza adeguate garanzie di trasparenza e pubblicità della scelta. T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 12 marzo 2010, n. 621 , in Foro amm. TAR, 2010, 3, 1118.
La giurisprudenza ha precisato che nel caso in cui l'apposizione e la sottoscrizione della clausola per arbitrato rituale sia avvenuta nella vigenza dell'art. 6, L. 21 luglio 2000 n. 205, il patto compromissorio produce l'effetto di privare l'autorità giudiziaria adita del potere di pronunciarsi sulla questione sottopostale, dovendo la stessa essere devoluta agli arbitri, in quanto l'exceptio compromissi si configura come una eccezione propria e in senso stretto, avendo per oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell'esercizio della giurisdizione statale. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 14 giugno 2010, n. 7658 , in Foro amm. TAR, 2010, 6, 2194.
La norma consente che siano risolte mediante arbitrato rituale di diritto le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del g.a.
Nella specie la clausola compromissoria, prevista dalla convenzione per l'attuazione di piano attuativo finalizzata all'edificazione di un insediamento industriale permetteva alla ricorrente di non subire sanzioni, o non subire sanzioni illegittime, in relazione agli obblighi assunti con atto convenzionale.
La validità di detta clausola non può essere contestata dall'amministrazione con riferimento all'art. 1341 c.c. - che prevede la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie, nel cui novero è compresa la clausola compromissoria - sia perché la norma è dettata a tutela del contraente più debole, sia perché essa si applica soltanto ai contratti per adesione, predisposti unilateralmente da un contraente ovvero conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 24 marzo 2005, n. 556, in Foro amm. TAR, 2005, f. 3, 624.


Nessun commento:

Posta un commento