La tutela
dell’accesso.
Il diritto di
accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti
amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla L. 241/1990, che prevede
l'esame e l'estrazione di copia come modalità congiunte dell'esercizio del
diritto, senza richiamare deroghe od eccezioni di sorta.
Il diritto di
accedere agli atti amministrativi non può, pertanto, consistere nella mera
presa visione con esclusione dell’estrazione di copia del documento.
Lo scorporo
della facoltà di esame del documento da quella di estrazione non è idoneo a
tutelare nessuno dei confliggenti interessi in gioco: non quello - alla
riservatezza - dei terzi, giacché il richiedente ha, comunque, conoscenza del
documento; non quello - alla difesa - del richiedente che, in mancanza della
copia del documento, non può finalizzarne l'accesso ad un uso giuridico. Cons.
Stato, sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7296.
L'art. 25, comma
2, L. 241 del 1990, il quale prevede che la richiesta di accesso debba essere
rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene
stabilmente, va interpretato dalla giurisprudenza, per evidenti ragioni di
economia procedimentale e processuale, in un senso ampio, potendosi ritenere
ammissibile che la richiesta di copia degli atti presupposti e preparatori,
adottati da altre amministrazioni, sia rivolta all'amministrazione che gestisce
la fase finale di un procedimento complesso o che comunque adotta l'atto
finale.
Contro le determinazioni e contro il silenzio
sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto
entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla
formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e agli
eventuali contro interessati, ex art.
116 ,
D.L.vo 2 luglio
2010, n.104, cod. proc. amm.
Il giudice può
ordinare l’integrazione del contraddittorio ove lo ritenga necessario, ai sensi
dell’articolo 49, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il richiedente
l'accesso ai documenti amministrativi può impugnare, a tutela delle proprie
situazioni giuridiche, sia il silenzio-rifiuto sia le determinazioni negative
dell'amministrazione, ancorché queste siano intervenute dopo la formazione del
silenzio - rifiuto e dopo la scadenza del termine per impugnarlo.
La
giurisprudenza afferma che è onere di chi eccepisce la tardività del ricorso fornire
la prova della data in cui l'atto impugnato è stato conosciuto dal ricorrente.
Cons. St., sez. VI, 17 marzo 2000, n. 1414, in Giur. It., 2000, 1512.
La
giurisprudenza ha precisato che, nel caso in cui l'interessato si sia rivolto
al difensore civico, il termine per il ricorso giurisdizionale decorre dalla
data di ricevimento della determinazione adottata dal difensore civico sulla
sua istanza, secondo il disposto del comma 4 del citato art. 25, L. 241/1990,
fermo restando che l'onere di allegare e provare la data di ricezione della
suddetta decisione adottata dal difensore civico incombe sul ricorrente cui sia
eccepita la tardività nella presentazione del ricorso. T.A.R. Campania
Napoli, sez. V, 26 ottobre 2004, n. 15415.
Il termine
fissato per proporre ricorso contro il diniego di accesso ai documenti ha
natura perentoria.
Qualora tale
scadenza sia decorsa, l'azione giurisdizionale a tutela della stessa posizione
deve intendersi preclusa.
Una
interpretazione giurisprudenziale ritiene che la mancata presentazione del
ricorso nei termini prescritti precluda la tutela giurisdizionale in relazione
a quella specifica istanza, ma non escluda la possibilità di riproporre una
ulteriore richiesta - attesa la natura di diritto soggettivo della situazione
legittimante - anche per il medesimo oggetto, che consente di agire
legittimamente nei termini contro il silenzio dell’amministrazione. T.A.R.
Piemonte, sez. II, 11 ottobre 2004, n. 2232.
La tesi è da
condividere poiché il silenzio serbato dalla amministrazione sulla prima
istanza di accesso non concretizza alcun provvedimento fittizio, idoneo ad
esplicare effetti sostanziali - da rimuoversi a mezzo di tempestiva
impugnazione nel termine di legge – e, quindi, non si determinano effetti
estintivi del potere-dovere della amministrazione di pronunciarsi sulla domanda
di accesso ove permanga l'interesse del privato all'esercizio di detto potere.
Se il diniego è
espresso dopo la presentazione del ricorso nelle more del giudizio è necessario
impugnarlo con motivi aggiunti da notificare alla amministrazione resistente. T.A.R.
Friuli Venezia Giulia, 25 ottobre 2003, n. 35.
Il giudice
decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina
l’esibizione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma,
a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità.
L’istanza è
decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la
sentenza che definisce il giudizio.
In pendenza
di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso può essere
proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è
assegnato il ricorso principale, previa notificazione all’amministrazione e
agli eventuali controinteressati. La giurisprudenza consente
agli interessati l'accesso alla documentazione in pendenza di un
ricorso accordando all'interessato la possibilità di proporre motivi aggiunti,
e, con gli stessi, anche di introdurre l'impugnazione di atti e provvedimenti
ulteriori rispetto a quelli originariamente impugnati con il ricorso principale. T.A.R. Liguria Genova, sez. II,
17 ottobre 2008, n. 1811
Il ricorrente
può stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore, ex art
23, D.L.vo 2
luglio 2010, n.104, cod. proc. amm. .
L’amministrazione
può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato, ex art. 116 , D.L.vo 2
luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
L’art. 87, D.L.vo
104/2010, precisa che devono essere trattate in camera di consiglio le
controversie in materia di silenzio . A. QUARANTA e V. LOPILATO, Il processo amministrativo, 2011, 655.
La decisione è
appellabile al Consiglio di Stato che decide con le medesime modalità e gli
stessi termini.
Le disposizioni non precisa
espressamente se il termine di impugnazione debba intendersi ridotto a
trenta giorni come per l’introduzione
del giudizio di primo grado.
48. La Commissione per l'accesso.
Il ricorso in tema di accesso ai documenti amministrativi.
La Commissione
per l'accesso istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, oltre
ad esprimere pareri per il coordinamento dell'attività organizzativa delle amministrazioni
in materia di accesso, decide anche i ricorsi presentati all'interessato
avverso il diniego - espresso o tacito - dell'accesso ovvero avverso il
provvedimento di differimento dell'accesso ed il ricorso del controinteressato
avverso le determinazioni che consentono l'accesso.
Il ricorso è
alternativo a quello che può essere presentato al difensore civico se istituito
nel comune o nella provincia di residenza.
La commissione
decide inoltre per i ricorsi presentati nei confronti di enti statali.
Il ricorso è
trasmesso mediante raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi. Il ricorso può essere trasmesso anche a mezzo fax o per via
telematica, nel rispetto della normativa vigente.
Il ricorso deve
essere notificato agli eventuali controinteressati a mezzo di raccomandata con
ricevuta di ritorno.
La mancata
notifica ai controinteressati non comporta l’inammissibilità del ricorso poiché
la Commissione, qualora ravvisi l'esistenza di controinteressati non già
individuati nel corso del procedimento, notifica loro il ricorso.
La
giurisprudenza ha rilevato che l'eventuale conflitto fra l'interesse
all'accesso ai documenti e quello alla privacy di altri soggetti
coinvolti va risolto caso per caso, con una ponderazione comparativa da
effettuarsi in concreto dall'amministrazione ed eventualmente, in sede di
controllo, dal g.a. T.A.R. Sardegna,
sez. II, 14 ottobre 2005, n. 2037.
Il ricorso è
presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del
provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta
d'accesso che si ha qualora, trascorsi trenta giorni dall’istanza,
l’amministrazione non abbia dato risposta.
I
controinteressati possono presentare alla Commissione le loro controdeduzioni
nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione.
Il ricorso deve
contenere:
a) le generalità
del ricorrente;
b) la sommaria
esposizione dell'interesse al ricorso. La giurisprudenza ha escluso
l’accoglimento di un'istanza di accesso agli atti qualora essa metta in essere
un'attività valutativa ed elaborativa dei dati in possesso
dell'amministrazione. Tale istanza rivela un fine di generale controllo
sull'attività amministrativa che non risponde alla finalità per la quale lo
specifico strumento in parola può essere azionato che è solo la tutela di un
ben specifico interesse. Cons. St., sez.
IV, 9 agosto 2005, n. 4216, in Foro amm. CDS, 2005, f. 7/8,2191;
c) la sommaria
esposizione dei fatti;
d) l'indicazione
dell'indirizzo al quale dovranno pervenire, anche a mezzo fax o per via
telematica, le decisioni della Commissione.
Al ricorso
devono essere allegati:
a) il provvedimento
impugnato, salvo il caso di impugnazione di silenzio rigetto;
b) le ricevute
dell'avvenuta spedizione, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, di
copia del ricorso ai controinteressati, ove individuati già in sede di
presentazione della richiesta di accesso.
La Commissione
si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso. Scaduto tale
termine il ricorso si intende respinto.
Nel caso in cui
sia richiesto il parere del Garante per la protezione dei dati personali il
termine é prorogato di venti giorni.
La Commissione:
a) dichiara
irricevibile il ricorso proposto tardivamente;
b) dichiara
inammissibile il ricorso proposto da soggetto non legittimato o comunque privo
dell'interesse previsto dall'articolo 22, comma 1, lettera b), della L.
241/1990;
c) dichiara
inammissibile il ricorso privo dei requisiti di cui al comma 3 o degli
eventuali allegati obbligatori;
d) esamina e
decide il ricorso in ogni altro caso.
Nel caso in cui
l'interessato si sia rivolto alla Commissione per l’accesso il termine per il
ricorso giurisdizionale decorre dalla data di ricevimento della determinazione
adottata dalla Commissione stessa sulla sua istanza, secondo il disposto del
comma 4 dell’art. 25, L. 241/1990.
49. Il
difensore civico.
Il difensore
civico è stato istituito dal legislatore regionale con la funzione di
intervenire, a richiesta del singolo cittadino o di associazioni, presso
l'amministrazione regionale e presso gli altri enti locali della regione o
delegati di funzioni regionali per assicurare che il procedimento
amministrativo si svolga regolarmente e secondo i tempi previsti.
Egli esercita,
più che una funzione di tutela, una funzione di stimolo alle eventuali inerzie
della pubblica amministrazione nella fase preparatoria del procedimento.
Teoricamente
potrebbe anche stimolare l'esercizio del potere di autotutela della pubblica
amministrazione sull'annullamento di atti viziati.
Sostanzialmente
non si tratta di una vera tutela perché l'amministrazione può tranquillamente
non dare evasione alle richieste del difensore civico il quale può tutt'al più
segnalare il fatto nella sua relazione annuale al consiglio regionale.
Le funzioni del
difensore civico non sono state raccordate con la L. 241/1990 per cui la sua
funzione appare essere confinata in un mero apporto collaborativo al giusto
procedimento, destinato a diventare sempre più teorico, che può servire solo
ove il ricorrente ritenga di esperire una mera denuncia della situazione
capitatagli.
A tal punto in
caso di omissione appare ben più efficace la tutela penale.
L’art. 127,
D.L.vo 267/2000 attribuisce al difensore civico comunale e provinciale, dalla
data di rispettiva istituzione, il controllo eventuale di legittimità,
sollecitato dalle minoranze, sugli atti della giunta previsti dallo stesso
articolo.
Al difensore
civico comunale e provinciale, dove nominati, è affidato per legge il controllo
eventuale, su richiesta delle minoranze, in materia di appalti e affidamento di
servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario e
di assunzione del personale, piante organiche e relative variazioni.
La dottrina ha
sollevato obiezioni, soprattutto per quanto riguarda l’effetto e l’efficacia
del controllo, poiché è lo stesso ente locale, comune o provincia, controllato
che nomina il difensore civico e cioè che sceglie in qualche modo il proprio
controllore. T. MIELE, Meno controlli sugli atti delle regioni, in Guida
Dir., Dossier, 1997, n.5, 147.
Il controllo
eventuale, su sollecitazione delle minoranze, finisce essenzialmente per essere
inutile perché se la maggioranza non decide di aderire alle richieste della
minoranza, a quest’ultima non resta, almeno in sede amministrativa, altro
strumento di tutela. Infatti il difensore civico, se ritiene che la deliberazione
sia illegittima, ne dà comunicazione all’ente, entro quindici giorni dalla
richiesta, e lo invita ad eliminare i vizi riscontrati; in tal caso, se l’ente
non ritiene di modificare la delibera, essa acquista efficacia se è confermata
con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti del consiglio.
50. L’intervento del
difensore civico sul silenzio.
Le funzioni del
difensore civico sono state raccordate alla tutela giurisdizionale sul silenzio
dall’art. 25, L. 241/1990, così come mod. dall’art. 17, comma 1, lett. a), L.
15/2005.
L’azione del
difensore civico è posta, in sostituzione, ma non in alternativa al ricorso al
T.A.R., in caso di rifiuto espresso o tacito o nel caso di differimento
dell’accesso alla documentazione amministrativa.
La facoltà di
reclamo al difensore civico non è, infatti, alternativa al ricorso
giurisdizionale bensì è considerata uno strumento di contenimento del
contenzioso in materia che può trovare composizione con l’intervento del
difensore.
Il ricorso
giurisdizionale può essere sempre proposto.
In tal caso i
relativi termini di presentazione decorrono dalla data di comunicazione delle
determinazioni del difensore.
La
giurisprudenza ha affermato che, nel caso in cui l'interessato si sia rivolto
al difensore civico, il termine per il ricorso giurisdizionale decorre dalla
data di ricevimento della determinazione adottata dal difensore civico sulla
sua istanza, secondo il disposto del comma 4 dell’art. 25, L. 241/1990, fermo
restando che l'onere di allegare e provare la data di ricezione della suddetta
decisione adottata dal difensore civico incombe sul ricorrente cui sia eccepita
la tardività nella presentazione del ricorso. T.A.R. Campania
Napoli, sez. V, 26 ottobre 2004, n. 15415.
Il difensore
civico si pronuncia entro trenta giorni dall’istanza. Il silenzio del difensore
equivale a diniego.
Se il difensore
ritiene illegittimo il diniego o il differimento del diritto di accesso comunica
le sue conclusioni all’autorità interpellata e al richiedente.
L’autorità adita
deve emettere un provvedimento che confermi il suo diniego altrimenti, in caso
contrario, l’accesso è consentito.
L’accesso può
consistere in un atto di esibizione dei documenti.
Al fine di
ottenere detto risultato l’autorità adita, oltre che un provvedimento
confermativo del diniego, deve emettere un provvedimento espresso in cui siano
indicate le modalità di accesso onde consentire l’esercizio del riconosciuto
diritto all’accesso del richiedente.
Detto atto può
consistere in una semplice comunicazione che determini le modalità per
l’esercizio del diritto di accesso, ex art. 25, comma 4, L. 7 agosto 1990, n.
241, mod. art. 17, comma 1, lett. a), L. 15/2005).
Qualora, dopo le
determinazioni del difensore civico, persista la mancata ottemperanza
all’ordine dell’autorità amministrativa si configura per il responsabile del
procedimento la contravvenzione di cui all’art. 650, c.p., che punisce con
l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206 l’inosservanza dei
provvedimenti dell’autorità.
La
giurisprudenza ha precisato che anche gli atti del difensore civico sono
soggetti al diritto di accesso da parte dei soggetti interessati.
Le domande
devono esser rivolte direttamente al difensore civico e non al comune.
51. La tutela
penale.
L'esercizio
dell'azione penale non è di per sé rimedio avverso un provvedimento o
comportamento omissivo della amministrazione.
Qualora però il
giudice penale riconosca l'esistenza del reato e pronunci la sentenza di
condanna questa può comportare direttamente come pena accessoria l'interdizione
dai pubblici uffici, ai sensi dell'art. 28, c.p., ovvero può obbligare
l'amministrazione a provvedere in via amministrativa, con l'applicazione di
sanzioni amministrative.
Si pensi ad un
pubblico dipendente condannato per abuso d'ufficio o alla condanna per un reato
urbanistico.
Quindi
l'esercizio dell'azione penale può indurre la pubblica amministrazione ad
esercitare i suoi poteri in maniera conforme alla legge anche se l'ambito di
applicazione delle due normative resta autonomo ed indipendente.
Resta comunque
il fatto che l'amministratore si trova a rispondere anche sotto il profilo
penale per un atto amministrativo e che i confini fra le due azioni di tutela a
volte non esistono perciò sono entrambe ammissibili.
52. Il rifiuto di
atti d’ufficio.
La fattispecie
penale, prevista dall’art. 328, comma 1, c.p., mod. art. 16, L. 86/1990,
contempla due distinte ipotesi che concretizzano il reato di omissione, la
prima ravvisa il reato nel mancato compimento di atti che per ragioni di
giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene o sanità
devono essere compiuti dal soggetto investito del potere immediatamente, poiché
rispondono ad esigenze di carattere preminente.
In questa prima
ipotesi il reato si realizza immediatamente nelle fattispecie espressamente
contemplate dalla norma. E’ prevista la pena della reclusione da sei mesi a due
anni.
La
giurisprudenza rileva che la fattispecie è caratterizzata da un doppio
meccanismo limitativo in funzione di due limiti tassativi espressi, nel difetto
dei quali il rifiuto, sebbene continui ad essere qualificabile come illecito ai
fini amministrativi e/o civilistici, diviene penalmente irrilevante: 1) deve
trattarsi di atti qualificati ossia di comportamenti che ineriscono materie
tassative, quelle della giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene
e sanità: 2) l’atto deve essere indilazionabile: solo gli atti non ritardabili,
indifferibili sono tali, se concernenti le anzidette materie tassative, da far
scattare la tutela penale rafforzata dell'art. 328, comma 1, c.p. Trib. Bari, 1
giugno 2004.
La
giurisprudenza ha utilizzato un criterio restrittivo nell’identificare le
materie che devono ottenere un immediato adempimento e che quindi non
necessitano di diffida.
53. L’omissione di
atti d’ufficio.
La seconda
ipotesi di reato, prevista dall’art. 328, comma 2, c.p., per concretizzarsi
necessita di una preventiva diffida scritta cui non sia stata data risposta, né
in termini provvedimentali né per notiziare degli sviluppi procedimentali,
entro il termine di trenta giorni decorrente dalla ricezione della richiesta.
E’ prevista la
pena della reclusione fino a un anno o la multa fino a 1032 euro.
Per la dottrina
la norma configura, pertanto, un delitto di messa in mora. F. FIANDACA E.
MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, 1997, 262.
La
giurisprudenza precisa che, affinché sorga per il pubblico funzionario
l'obbligo di provvedere nel senso richiesto dal privato, e dunque risulti
indebito il comportamento omissivo o ritardato del pubblico funzionario, è
necessario che l'atto domandato sia un atto dovuto, cioè vincolato, con
esclusione sia della possibilità di scelta se provvedere o meno alla sua
emissione sia dei tempi e dei modi della sua emanazione. Trib. Trani, 28
ottobre 2004.
Nessuna
violazione penale può configurarsi nel caso in cui l'atto che si assume omesso
o ritardato rientri nell'ambito della discrezionalità amministrativa. Infatti,
finché si muovono nell'ambito della discrezionalità amministrativa, gli
amministratori effettuano scelte delle quali rispondono in sede politica e
amministrativa, ma che sono esenti da sindacato penale. Trib. Trapani, 28
maggio 2003, GM, 2004, 760.
L’entrata in
vigore della modifica apportata dalla L. 86/1990 ha ridotto le fattispecie
punibili.
Anche i fatti
compiuti precedentemente, pur essendo punibili in base alla legge del tempus
commissi delicti, divengono non punibili, in forza dell’art. 2, c.p., in
base al novum ius. Cass. pen., sez. VI, 11 marzo 1992, Giur. Pen.,
1992, II, 593.
L’omissione
sanzionata dall’art. 328, comma 2, richiede la diffida ad adempiere ritualmente
notificata, trattandosi di pubbliche amministrazioni, a mezzo di ufficiale giudiziario.
Il cattivo
coordinamento colla L. 241/1990 presuppone un procedimento di diffida del tutto
autonomo con decorrenze diverse.
La possibilità
di indicare le motivazioni del ritardo può costituire un comodo alibi per
sottrarsi al dovere d’ufficio e per non incorrere in responsabilità, anche se i
motivi sono soggetti alla valutazione del giudice penale.
89
La giurisprudenza
ritiene che integri il reato di omissione d'atti di ufficio la mancata
comunicazione, da parte della p.a., entro trenta giorni dalla richiesta
dell'interessato, a norma dell'art. 5 l. n. 241 del 1990, dell'unità
organizzativa competente e del nominativo del responsabile del procedimento. La
Corte ha precisato che siffatta intervenuta nomina del responsabile non esime
il superiore gerarchico dall'obbligo di comunicazione di cui sopra. Cass. Pen., sez. VI, 23 aprile
2009, n. 32837.
La dottrina precisa
che la disciplina extrapenale, in ispecie amministrativa, opera su due piani
distinti: da un lato per quanto attiene al dovere di provvedere del funzionario,
stabilendo la condotta che nello specifico questi debba tenere. A tale livello
la norma amministrativa integra il precetto penale, riempiendo i contorni del
fatto tipico. È proprio il caso dell'art. 5, comma ult., l. n. 241 del 1990,
che stabilisce il dovere del responsabile dell'unità organizzativa di
comunicare, fra l'altro, il nominativo del responsabile del procedimento a chi,
interpellante, ne abbia interesse.
L'integrazione
dell'illecito penale necessita però di un quid pluris: che il dovere di
cui sopra sia disatteso con conseguente pregiudizio per l'amministrazione e per
il privato. Questo risultato negativo potrà valutarsi, a ben guardare, solo
tenendo conto ancora una volta della disciplina extrapenale, che qui però
opererà in un piano diverso e squisitamente interpretativo . Il giudice deve
valutare se l'atto omesso si sarebbe dovuto tenere per la pubblica
amministrazione e verso il privato. Questo e solo questo è l'atto doveroso
penalmente rilevante.
L'interprete deve
definire la doverosità dell'atto agli effetti della legge penale, ed è proprio
sulla scorta di queste considerazioni che la dottrina ritiene che la mancata
comunicazione del mero nominativo del responsabile del procedimento è
pienamente collocabile nell'alveo dell'indifferente penale. L. PALLOTTA,
La necessaria
rilevanza della disciplina extrapenale nell'omissione di atti d'ufficio: per
una lettura costituzionalmente orientata del delitto. Nota a Cass.,
pen., sez. VI, 23 aprile 2009, n. 32837, in Cass. pen., 2010, 12, 4206.
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