giovedì 2 febbraio 2017

La tutela dell’accesso.

La tutela dell’accesso.

Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla L. 241/1990, che prevede l'esame e l'estrazione di copia come modalità congiunte dell'esercizio del diritto, senza richiamare deroghe od eccezioni di sorta.
Il diritto di accedere agli atti amministrativi non può, pertanto, consistere nella mera presa visione con esclusione dell’estrazione di copia del documento.
Lo scorporo della facoltà di esame del documento da quella di estrazione non è idoneo a tutelare nessuno dei confliggenti interessi in gioco: non quello - alla riservatezza - dei terzi, giacché il richiedente ha, comunque, conoscenza del documento; non quello - alla difesa - del richiedente che, in mancanza della copia del documento, non può finalizzarne l'accesso ad un uso giuridico. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7296.
L'art. 25, comma 2, L. 241 del 1990, il quale prevede che la richiesta di accesso debba essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente, va interpretato dalla giurisprudenza, per evidenti ragioni di economia procedimentale e processuale, in un senso ampio, potendosi ritenere ammissibile che la richiesta di copia degli atti presupposti e preparatori, adottati da altre amministrazioni, sia rivolta all'amministrazione che gestisce la fase finale di un procedimento complesso o che comunque adotta l'atto finale.
 Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e agli eventuali contro interessati, ex art. 116 , D.L.vo  2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il giudice può ordinare l’integrazione del contraddittorio ove lo ritenga necessario, ai sensi dell’articolo 49, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il richiedente l'accesso ai documenti amministrativi può impugnare, a tutela delle proprie situazioni giuridiche, sia il silenzio-rifiuto sia le determinazioni negative dell'amministrazione, ancorché queste siano intervenute dopo la formazione del silenzio - rifiuto e dopo la scadenza del termine per impugnarlo.
La giurisprudenza afferma che è onere di chi eccepisce la tardività del ricorso fornire la prova della data in cui l'atto impugnato è stato conosciuto dal ricorrente. Cons. St., sez. VI, 17 marzo 2000, n. 1414, in Giur. It., 2000, 1512.
La giurisprudenza ha precisato che, nel caso in cui l'interessato si sia rivolto al difensore civico, il termine per il ricorso giurisdizionale decorre dalla data di ricevimento della determinazione adottata dal difensore civico sulla sua istanza, secondo il disposto del comma 4 del citato art. 25, L. 241/1990, fermo restando che l'onere di allegare e provare la data di ricezione della suddetta decisione adottata dal difensore civico incombe sul ricorrente cui sia eccepita la tardività nella presentazione del ricorso. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 26 ottobre 2004, n. 15415.
Il termine fissato per proporre ricorso contro il diniego di accesso ai documenti ha natura perentoria.
Qualora tale scadenza sia decorsa, l'azione giurisdizionale a tutela della stessa posizione deve intendersi preclusa.
Una interpretazione giurisprudenziale ritiene che la mancata presentazione del ricorso nei termini prescritti precluda la tutela giurisdizionale in relazione a quella specifica istanza, ma non escluda la possibilità di riproporre una ulteriore richiesta - attesa la natura di diritto soggettivo della situazione legittimante - anche per il medesimo oggetto, che consente di agire legittimamente nei termini contro il silenzio dell’amministrazione. T.A.R. Piemonte, sez. II, 11 ottobre 2004, n. 2232.
La tesi è da condividere poiché il silenzio serbato dalla amministrazione sulla prima istanza di accesso non concretizza alcun provvedimento fittizio, idoneo ad esplicare effetti sostanziali - da rimuoversi a mezzo di tempestiva impugnazione nel termine di legge – e, quindi, non si determinano effetti estintivi del potere-dovere della amministrazione di pronunciarsi sulla domanda di accesso ove permanga l'interesse del privato all'esercizio di detto potere.
Se il diniego è espresso dopo la presentazione del ricorso nelle more del giudizio è necessario impugnarlo con motivi aggiunti da notificare alla amministrazione resistente. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 25 ottobre 2003, n. 35.
Il giudice decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità.

L’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.
In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati. La giurisprudenza  consente agli interessati l'accesso alla documentazione in pendenza di un ricorso accordando all'interessato la possibilità di proporre motivi aggiunti, e, con gli stessi, anche di introdurre l'impugnazione di atti e provvedimenti ulteriori rispetto a quelli originariamente impugnati con il ricorso principale. T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 17 ottobre 2008, n. 1811
Il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore, ex art 23, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.  .
L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato, ex art. 116 , D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.

L’art. 87, D.L.vo 104/2010, precisa che devono essere trattate in camera di consiglio le controversie in materia di silenzio . A. QUARANTA e V. LOPILATO, Il processo amministrativo, 2011, 655.

La decisione è appellabile al Consiglio di Stato che decide con le medesime modalità e gli stessi termini.
Le disposizioni non precisa espressamente se il termine di impugnazione debba intendersi ridotto a trenta  giorni come per l’introduzione del giudizio di primo grado.




48. La Commissione per l'accesso. Il ricorso in tema di accesso ai documenti amministrativi.

La Commissione per l'accesso istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, oltre ad esprimere pareri per il coordinamento dell'attività organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso, decide anche i ricorsi presentati all'interessato avverso il diniego - espresso o tacito - dell'accesso ovvero avverso il provvedimento di differimento dell'accesso ed il ricorso del controinteressato avverso le determinazioni che consentono l'accesso.
Il ricorso è alternativo a quello che può essere presentato al difensore civico se istituito nel comune o nella provincia di residenza.
La commissione decide inoltre per i ricorsi presentati nei confronti di enti statali.
Il ricorso è trasmesso mediante raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. Il ricorso può essere trasmesso anche a mezzo fax o per via telematica, nel rispetto della normativa vigente.
Il ricorso deve essere notificato agli eventuali controinteressati a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno.
La mancata notifica ai controinteressati non comporta l’inammissibilità del ricorso poiché la Commissione, qualora ravvisi l'esistenza di controinteressati non già individuati nel corso del procedimento, notifica loro il ricorso.
La giurisprudenza ha rilevato che l'eventuale conflitto fra l'interesse all'accesso ai documenti e quello alla privacy di altri soggetti coinvolti va risolto caso per caso, con una ponderazione comparativa da effettuarsi in concreto dall'amministrazione ed eventualmente, in sede di controllo, dal g.a. T.A.R. Sardegna, sez. II, 14 ottobre 2005, n. 2037.
Il ricorso è presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta d'accesso che si ha qualora, trascorsi trenta giorni dall’istanza, l’amministrazione non abbia dato risposta.
I controinteressati possono presentare alla Commissione le loro controdeduzioni nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione.
Il ricorso deve contenere:
a) le generalità del ricorrente;
b) la sommaria esposizione dell'interesse al ricorso. La giurisprudenza ha escluso l’accoglimento di un'istanza di accesso agli atti qualora essa metta in essere un'attività valutativa ed elaborativa dei dati in possesso dell'amministrazione. Tale istanza rivela un fine di generale controllo sull'attività amministrativa che non risponde alla finalità per la quale lo specifico strumento in parola può essere azionato che è solo la tutela di un ben specifico interesse. Cons. St., sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4216, in Foro amm. CDS, 2005, f. 7/8,2191;
c) la sommaria esposizione dei fatti;
d) l'indicazione dell'indirizzo al quale dovranno pervenire, anche a mezzo fax o per via telematica, le decisioni della Commissione.
Al ricorso devono essere allegati:
a) il provvedimento impugnato, salvo il caso di impugnazione di silenzio rigetto;
b) le ricevute dell'avvenuta spedizione, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, di copia del ricorso ai controinteressati, ove individuati già in sede di presentazione della richiesta di accesso.
La Commissione si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso. Scaduto tale termine il ricorso si intende respinto.
Nel caso in cui sia richiesto il parere del Garante per la protezione dei dati personali il termine é prorogato di venti giorni.
La Commissione:
a) dichiara irricevibile il ricorso proposto tardivamente;
b) dichiara inammissibile il ricorso proposto da soggetto non legittimato o comunque privo dell'interesse previsto dall'articolo 22, comma 1, lettera b), della L. 241/1990;
c) dichiara inammissibile il ricorso privo dei requisiti di cui al comma 3 o degli eventuali allegati obbligatori;
d) esamina e decide il ricorso in ogni altro caso.
Nel caso in cui l'interessato si sia rivolto alla Commissione per l’accesso il termine per il ricorso giurisdizionale decorre dalla data di ricevimento della determinazione adottata dalla Commissione stessa sulla sua istanza, secondo il disposto del comma 4 dell’art. 25, L. 241/1990.


49. Il difensore civico.

Il difensore civico è stato istituito dal legislatore regionale con la funzione di intervenire, a richiesta del singolo cittadino o di associazioni, presso l'amministrazione regionale e presso gli altri enti locali della regione o delegati di funzioni regionali per assicurare che il procedimento amministrativo si svolga regolarmente e secondo i tempi previsti.
Egli esercita, più che una funzione di tutela, una funzione di stimolo alle eventuali inerzie della pubblica amministrazione nella fase preparatoria del procedimento.
Teoricamente potrebbe anche stimolare l'esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione sull'annullamento di atti viziati.
Sostanzialmente non si tratta di una vera tutela perché l'amministrazione può tranquillamente non dare evasione alle richieste del difensore civico il quale può tutt'al più segnalare il fatto nella sua relazione annuale al consiglio regionale.
Le funzioni del difensore civico non sono state raccordate con la L. 241/1990 per cui la sua funzione appare essere confinata in un mero apporto collaborativo al giusto procedimento, destinato a diventare sempre più teorico, che può servire solo ove il ricorrente ritenga di esperire una mera denuncia della situazione capitatagli.
A tal punto in caso di omissione appare ben più efficace la tutela penale.
L’art. 127, D.L.vo 267/2000 attribuisce al difensore civico comunale e provinciale, dalla data di rispettiva istituzione, il controllo eventuale di legittimità, sollecitato dalle minoranze, sugli atti della giunta previsti dallo stesso articolo.
Al difensore civico comunale e provinciale, dove nominati, è affidato per legge il controllo eventuale, su richiesta delle minoranze, in materia di appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario e di assunzione del personale, piante organiche e relative variazioni.
La dottrina ha sollevato obiezioni, soprattutto per quanto riguarda l’effetto e l’efficacia del controllo, poiché è lo stesso ente locale, comune o provincia, controllato che nomina il difensore civico e cioè che sceglie in qualche modo il proprio controllore. T. MIELE, Meno controlli sugli atti delle regioni, in Guida Dir., Dossier, 1997, n.5, 147.
Il controllo eventuale, su sollecitazione delle minoranze, finisce essenzialmente per essere inutile perché se la maggioranza non decide di aderire alle richieste della minoranza, a quest’ultima non resta, almeno in sede amministrativa, altro strumento di tutela. Infatti il difensore civico, se ritiene che la deliberazione sia illegittima, ne dà comunicazione all’ente, entro quindici giorni dalla richiesta, e lo invita ad eliminare i vizi riscontrati; in tal caso, se l’ente non ritiene di modificare la delibera, essa acquista efficacia se è confermata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti del consiglio.

50. L’intervento del difensore civico sul silenzio.

Le funzioni del difensore civico sono state raccordate alla tutela giurisdizionale sul silenzio dall’art. 25, L. 241/1990, così come mod. dall’art. 17, comma 1, lett. a), L. 15/2005.
L’azione del difensore civico è posta, in sostituzione, ma non in alternativa al ricorso al T.A.R., in caso di rifiuto espresso o tacito o nel caso di differimento dell’accesso alla documentazione amministrativa.
La facoltà di reclamo al difensore civico non è, infatti, alternativa al ricorso giurisdizionale bensì è considerata uno strumento di contenimento del contenzioso in materia che può trovare composizione con l’intervento del difensore.
Il ricorso giurisdizionale può essere sempre proposto.
In tal caso i relativi termini di presentazione decorrono dalla data di comunicazione delle determinazioni del difensore.
La giurisprudenza ha affermato che, nel caso in cui l'interessato si sia rivolto al difensore civico, il termine per il ricorso giurisdizionale decorre dalla data di ricevimento della determinazione adottata dal difensore civico sulla sua istanza, secondo il disposto del comma 4 dell’art. 25, L. 241/1990, fermo restando che l'onere di allegare e provare la data di ricezione della suddetta decisione adottata dal difensore civico incombe sul ricorrente cui sia eccepita la tardività nella presentazione del ricorso. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 26 ottobre 2004, n. 15415.
Il difensore civico si pronuncia entro trenta giorni dall’istanza. Il silenzio del difensore equivale a diniego.
Se il difensore ritiene illegittimo il diniego o il differimento del diritto di accesso comunica le sue conclusioni all’autorità interpellata e al richiedente.
L’autorità adita deve emettere un provvedimento che confermi il suo diniego altrimenti, in caso contrario, l’accesso è consentito.
L’accesso può consistere in un atto di esibizione dei documenti.
Al fine di ottenere detto risultato l’autorità adita, oltre che un provvedimento confermativo del diniego, deve emettere un provvedimento espresso in cui siano indicate le modalità di accesso onde consentire l’esercizio del riconosciuto diritto all’accesso del richiedente.
Detto atto può consistere in una semplice comunicazione che determini le modalità per l’esercizio del diritto di accesso, ex art. 25, comma 4, L. 7 agosto 1990, n. 241, mod. art. 17, comma 1, lett. a), L. 15/2005).
Qualora, dopo le determinazioni del difensore civico, persista la mancata ottemperanza all’ordine dell’autorità amministrativa si configura per il responsabile del procedimento la contravvenzione di cui all’art. 650, c.p., che punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206 l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità.
La giurisprudenza ha precisato che anche gli atti del difensore civico sono soggetti al diritto di accesso da parte dei soggetti interessati.
Le domande devono esser rivolte direttamente al difensore civico e non al comune.


51. La tutela penale.

L'esercizio dell'azione penale non è di per sé rimedio avverso un provvedimento o comportamento omissivo della amministrazione.
Qualora però il giudice penale riconosca l'esistenza del reato e pronunci la sentenza di condanna questa può comportare direttamente come pena accessoria l'interdizione dai pubblici uffici, ai sensi dell'art. 28, c.p., ovvero può obbligare l'amministrazione a provvedere in via amministrativa, con l'applicazione di sanzioni amministrative.
Si pensi ad un pubblico dipendente condannato per abuso d'ufficio o alla condanna per un reato urbanistico.
Quindi l'esercizio dell'azione penale può indurre la pubblica amministrazione ad esercitare i suoi poteri in maniera conforme alla legge anche se l'ambito di applicazione delle due normative resta autonomo ed indipendente.
Resta comunque il fatto che l'amministratore si trova a rispondere anche sotto il profilo penale per un atto amministrativo e che i confini fra le due azioni di tutela a volte non esistono perciò sono entrambe ammissibili.


52. Il rifiuto di atti d’ufficio.

La fattispecie penale, prevista dall’art. 328, comma 1, c.p., mod. art. 16, L. 86/1990, contempla due distinte ipotesi che concretizzano il reato di omissione, la prima ravvisa il reato nel mancato compimento di atti che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene o sanità devono essere compiuti dal soggetto investito del potere immediatamente, poiché rispondono ad esigenze di carattere preminente.
In questa prima ipotesi il reato si realizza immediatamente nelle fattispecie espressamente contemplate dalla norma. E’ prevista la pena della reclusione da sei mesi a due anni.
La giurisprudenza rileva che la fattispecie è caratterizzata da un doppio meccanismo limitativo in funzione di due limiti tassativi espressi, nel difetto dei quali il rifiuto, sebbene continui ad essere qualificabile come illecito ai fini amministrativi e/o civilistici, diviene penalmente irrilevante: 1) deve trattarsi di atti qualificati ossia di comportamenti che ineriscono materie tassative, quelle della giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità: 2) l’atto deve essere indilazionabile: solo gli atti non ritardabili, indifferibili sono tali, se concernenti le anzidette materie tassative, da far scattare la tutela penale rafforzata dell'art. 328, comma 1, c.p. Trib. Bari, 1 giugno 2004.
La giurisprudenza ha utilizzato un criterio restrittivo nell’identificare le materie che devono ottenere un immediato adempimento e che quindi non necessitano di diffida.



53. L’omissione di atti d’ufficio.

La seconda ipotesi di reato, prevista dall’art. 328, comma 2, c.p., per concretizzarsi necessita di una preventiva diffida scritta cui non sia stata data risposta, né in termini provvedimentali né per notiziare degli sviluppi procedimentali, entro il termine di trenta giorni decorrente dalla ricezione della richiesta.
E’ prevista la pena della reclusione fino a un anno o la multa fino a 1032 euro.
Per la dottrina la norma configura, pertanto, un delitto di messa in mora. F. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, 1997, 262.
La giurisprudenza precisa che, affinché sorga per il pubblico funzionario l'obbligo di provvedere nel senso richiesto dal privato, e dunque risulti indebito il comportamento omissivo o ritardato del pubblico funzionario, è necessario che l'atto domandato sia un atto dovuto, cioè vincolato, con esclusione sia della possibilità di scelta se provvedere o meno alla sua emissione sia dei tempi e dei modi della sua emanazione. Trib. Trani, 28 ottobre 2004.
Nessuna violazione penale può configurarsi nel caso in cui l'atto che si assume omesso o ritardato rientri nell'ambito della discrezionalità amministrativa. Infatti, finché si muovono nell'ambito della discrezionalità amministrativa, gli amministratori effettuano scelte delle quali rispondono in sede politica e amministrativa, ma che sono esenti da sindacato penale. Trib. Trapani, 28 maggio 2003, GM, 2004, 760.
L’entrata in vigore della modifica apportata dalla L. 86/1990 ha ridotto le fattispecie punibili.
Anche i fatti compiuti precedentemente, pur essendo punibili in base alla legge del tempus commissi delicti, divengono non punibili, in forza dell’art. 2, c.p., in base al novum ius. Cass. pen., sez. VI, 11 marzo 1992, Giur. Pen., 1992, II, 593.
L’omissione sanzionata dall’art. 328, comma 2, richiede la diffida ad adempiere ritualmente notificata, trattandosi di pubbliche amministrazioni, a mezzo di ufficiale giudiziario.
Il cattivo coordinamento colla L. 241/1990 presuppone un procedimento di diffida del tutto autonomo con decorrenze diverse.
La possibilità di indicare le motivazioni del ritardo può costituire un comodo alibi per sottrarsi al dovere d’ufficio e per non incorrere in responsabilità, anche se i motivi sono soggetti alla valutazione del giudice penale.
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La giurisprudenza ritiene che integri il reato di omissione d'atti di ufficio la mancata comunicazione, da parte della p.a., entro trenta giorni dalla richiesta dell'interessato, a norma dell'art. 5 l. n. 241 del 1990, dell'unità organizzativa competente e del nominativo del responsabile del procedimento. La Corte ha precisato che siffatta intervenuta nomina del responsabile non esime il superiore gerarchico dall'obbligo di comunicazione di cui sopra. Cass. Pen., sez. VI, 23 aprile 2009, n. 32837.
La dottrina precisa che la disciplina extrapenale, in ispecie amministrativa, opera su due piani distinti: da un lato per quanto attiene al dovere di provvedere del funzionario, stabilendo la condotta che nello specifico questi debba tenere. A tale livello la norma amministrativa integra il precetto penale, riempiendo i contorni del fatto tipico. È proprio il caso dell'art. 5, comma ult., l. n. 241 del 1990, che stabilisce il dovere del responsabile dell'unità organizzativa di comunicare, fra l'altro, il nominativo del responsabile del procedimento a chi, interpellante, ne abbia interesse.
L'integrazione dell'illecito penale necessita però di un quid pluris: che il dovere di cui sopra sia disatteso con conseguente pregiudizio per l'amministrazione e per il privato. Questo risultato negativo potrà valutarsi, a ben guardare, solo tenendo conto ancora una volta della disciplina extrapenale, che qui però opererà in un piano diverso e squisitamente interpretativo . Il giudice deve valutare se l'atto omesso si sarebbe dovuto tenere per la pubblica amministrazione e verso il privato. Questo e solo questo è l'atto doveroso penalmente rilevante.
L'interprete deve definire la doverosità dell'atto agli effetti della legge penale, ed è proprio sulla scorta di queste considerazioni che la dottrina ritiene che la mancata comunicazione del mero nominativo del responsabile del procedimento è pienamente collocabile nell'alveo dell'indifferente penale. L. PALLOTTA,
La necessaria rilevanza della disciplina extrapenale nell'omissione di atti d'ufficio: per una lettura costituzionalmente orientata del delitto. Nota a Cass., pen., sez. VI, 23 aprile 2009, n. 32837, in Cass. pen., 2010, 12, 4206.






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