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Il
ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione, il ricorso improprio.
E' possibile
ricorrere all’autorità amministrativa contro gli atti non definitivi, ossia
quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi, fatta salva la
possibilità di richiedere all’amministrazione di esercitare il suo potere di
autotutela. TRAVI, Formulario annotato della giustizia amministrativa,
2008, 1.
Dai ricorsi
amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla decisione, si
distinguono le mere denunce, volte a sollecitare un riesame della decisione
medesima.
Il ricorso
amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non
definitivo ossia un atto per il quale l'ordinamento ammette l'esperimento dei
ricorsi amministrativi.
Fino alla
scadenza del termine di presentazione l'atto di norma non ha efficacia,
successivamente l'amministrazione può pronunciarsi sulla sospensiva.
I ricorsi
amministrativi si distinguono in ricorsi gerarchici, che si presentano
all'autorità gerarchicamente superiore come, ad esempio, il ricorso contro i
provvedimenti dei dirigenti proposto al ministro, ex art. 3, L. 30
giugno 1972 n. 748, e i ricorsi in opposizione, che si presentano alla stessa
autorità che ha emanato l'atto.
Ad esempio,
contro il provvedimento disciplinare della censura e' ammesso il ricorso al
capo ufficio che l'ha emanato.
Vi è poi il
ricorso gerarchico improprio là dove non esiste un vero e proprio rapporto di
gerarchia fra l'autorità che ha emanato l'atto e quella preposta alla decisione
del ricorso, come ad esempio il procedimento di ricorso alla Commissione
disciplinare a carico di Ufficiali e Agenti di Polizia giudiziaria, di cui agli
artt. 16 e 18, D.L.vo n. 271 del 28 luglio 1989.
2
La
decisione sul ricorso gerarchico.
La presentazione
del ricorso amministrativo comporta la possibilità delle seguenti decisioni da
parte dell’autorità amministrativa, ai sensi dell'art. 5 del DPR 1199/1971.
Si ha decisione
di improcedibilità per carenza dei requisiti processuali se il ricorso è
irregolare e non è regolarizzato.
Si ha decisione
di inammissibilità quando il ricorso è carente dei requisiti sostanziali, ad
esempio qualora il provvedimento non sia impugnabile in via amministrativa come
quando l'atto sia già definitivo e quindi soggetto ai gravami giurisdizionali
ovvero quando vi sia carenza di interesse del ricorrente.
Nel caso in cui
il ricorso sia procedibile ed ammissibile si ha la decisione sul merito del
ricorso che può essere di rigetto, di annullamento o di riforma.
La decisione di
rigetto ha l'effetto di confermare l'atto impugnato con possibilità di
proseguire negli altri gravami amministrativi, qualora il provvedimento sia
ancora non definitivo, ovvero con i gravami giurisdizionali successivamente
alla definitività del provvedimento.
La decisione di
accoglimento può essere presa per motivi
di incompetenza dell’autorità emanante ed in tal caso l'atto è annullato e
l'affare è rimesso all'organo competente; se l'accoglimento è fondato su motivi
di legittimità si procede ad annullare l'atto impugnato; se l'accoglimento è fondato
su motivi di merito l'atto può essere annullato e riformato.
Nelle decisioni
di accoglimento del ricorso può essere disposto il rinvio all'autorità che lo
ha emanato per i relativi adempimenti.
La decisione ha
natura di provvedimento amministrativo e come tale deve possederne i requisiti;
inoltre è atto recettizio e come tale deve, per produrre gli effetti suoi
propri, essere notificata all'organo che ha emanato l'atto, al ricorrente e
agli altri soggetti coinvolti da chi ne ha interesse.
2.1
Il
silenzio sul ricorso gerarchico.
L'amministrazione
decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso
per comunicare la propria decisione.
Il silenzio
equivale ad una decisione negativa.
Il ricorso si
intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 6, DPR 1199/1971.
Il silenzio
parificato a decisione negativa consente di passare alla fase successiva del
gravame che consiste o nel ricorso all'autorità giurisdizionale competente o
nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
E' quindi
necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei termini
per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile il
provvedimento amministrativo che in ogni caso è immediatamente eseguibile salvo
sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del silenzio
rifiuto).
La
giurisprudenza amministrativa ha attribuito all’inerzia in materia di silenzio
serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi
dell'art.6, DPR 1199/1971, un contenuto meramente processuale.
Al silenzio non
corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il ruolo di
abilitare l'interessato ricorrente in via gerarchica all’immediata proposizione
del ricorso nella sede giurisdizionale.
La volontà di
assicurare la più ampia tutela al privato nei confronti dell’inerzia della
pubblica amministrazione ha imposto il superamento della precedente costruzione
di impugnazione del silenzio che ha determinato un incremento degli oneri anche
formali posti a carico del cittadino che intendeva tutelarsi anche
giudiziariamente nei confronti dell'amministrazione.
Ne consegue che,
formatosi il silenzio, l'autorità investita dell'istanza non perde la potestà
di decidere, fatte salve le responsabilità per il ritardo.
Il privato ha la
possibilità di ricorrere nei termini di decadenza contro il silenzio o,
successivamente, contro l'eventuale decisione.
Il
decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6, D.P.R. 24 novembre
1971, n. 1199 - entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso
dall'Autorità amministrativa adita - non ha effetti sostanziali, ma processuali
giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra:
1) l'immediata
proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei
termini di decadenza, una volta che si sia formato il silenzio rigetto;
2) la
proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione
amministrativa esplicita, con la duplice conseguenza che, anche se si è formato
il silenzio rigetto, l'amministrazione non è, solo per tale fatto, privata
della potestà di decidere espressamente il ricorso gerarchico e,
simmetricamente, il privato non è spogliato della legittimazione ad opporsi
avverso il provvedimento esplicito di rigetto dello stesso. T.A.R. Puglia Bari,
sez. I, 19 maggio 2003, n. 1948, in Foro amm. TAR, 2003, 1755.
Qualora il
soggetto interessato abbia lasciato
decorrere i termini di impugnazione non è esposto al rischio della perdurante
inerzia dell'autorità decidente , ma può ricorrere utilizzando i rimedi normali
del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l'amministrazione a provvedere,
ai sensi dell'art.25 D.P.R. 3/1957.
Il silenzio
concretizza un mero atto di inadempimento cui è correlato l'obbligo per
l'amministrazione di pronunciarsi.
L'effetto
precipuo di tale impostazione è che l'obbligo a provvedere non può farsi valere
solo nel breve arco decadenziale dei sessanta giorni, ma finché dura per il
privato l'interesse alla decisione.
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