martedì 7 febbraio 2017

IL RICORSO GERARCHICO.




1               Il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione, il ricorso improprio.


E' possibile ricorrere all’autorità amministrativa contro gli atti non definitivi, ossia quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi, fatta salva la possibilità di richiedere all’amministrazione di esercitare il suo potere di autotutela. TRAVI, Formulario annotato della giustizia amministrativa, 2008, 1.
Dai ricorsi amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla decisione, si distinguono le mere denunce, volte a sollecitare un riesame della decisione medesima.
Il ricorso amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non definitivo ossia un atto per il quale l'ordinamento ammette l'esperimento dei ricorsi amministrativi.
Fino alla scadenza del termine di presentazione l'atto di norma non ha efficacia, successivamente l'amministrazione può pronunciarsi sulla sospensiva.
I ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi gerarchici, che si presentano all'autorità gerarchicamente superiore come, ad esempio, il ricorso contro i provvedimenti dei dirigenti proposto al ministro, ex art. 3, L. 30 giugno 1972 n. 748, e i ricorsi in opposizione, che si presentano alla stessa autorità che ha emanato l'atto.
Ad esempio, contro il provvedimento disciplinare della censura e' ammesso il ricorso al capo ufficio che l'ha emanato.
Vi è poi il ricorso gerarchico improprio là dove non esiste un vero e proprio rapporto di gerarchia fra l'autorità che ha emanato l'atto e quella preposta alla decisione del ricorso, come ad esempio il procedimento di ricorso alla Commissione disciplinare a carico di Ufficiali e Agenti di Polizia giudiziaria, di cui agli artt. 16 e 18, D.L.vo n. 271 del 28 luglio 1989.


2               La decisione sul ricorso gerarchico.


La presentazione del ricorso amministrativo comporta la possibilità delle seguenti decisioni da parte dell’autorità amministrativa, ai sensi dell'art. 5 del DPR 1199/1971.
Si ha decisione di improcedibilità per carenza dei requisiti processuali se il ricorso è irregolare e non è regolarizzato.
Si ha decisione di inammissibilità quando il ricorso è carente dei requisiti sostanziali, ad esempio qualora il provvedimento non sia impugnabile in via amministrativa come quando l'atto sia già definitivo e quindi soggetto ai gravami giurisdizionali ovvero quando vi sia carenza di interesse del ricorrente.
Nel caso in cui il ricorso sia procedibile ed ammissibile si ha la decisione sul merito del ricorso che può essere di rigetto, di annullamento o di riforma.
La decisione di rigetto ha l'effetto di confermare l'atto impugnato con possibilità di proseguire negli altri gravami amministrativi, qualora il provvedimento sia ancora non definitivo, ovvero con i gravami giurisdizionali successivamente alla definitività del provvedimento.
La decisione di accoglimento può essere presa  per motivi di incompetenza dell’autorità emanante ed in tal caso l'atto è annullato e l'affare è rimesso all'organo competente; se l'accoglimento è fondato su motivi di legittimità si procede ad annullare l'atto impugnato; se l'accoglimento è fondato su motivi di merito l'atto può essere annullato e riformato.
Nelle decisioni di accoglimento del ricorso può essere disposto il rinvio all'autorità che lo ha emanato per i relativi adempimenti.
La decisione ha natura di provvedimento amministrativo e come tale deve possederne i requisiti; inoltre è atto recettizio e come tale deve, per produrre gli effetti suoi propri, essere notificata all'organo che ha emanato l'atto, al ricorrente e agli altri soggetti coinvolti da chi ne ha interesse.

2.1              Il silenzio sul ricorso gerarchico.


L'amministrazione decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso per comunicare la propria decisione.
Il silenzio equivale ad una decisione negativa.
Il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 6, DPR 1199/1971.
Il silenzio parificato a decisione negativa consente di passare alla fase successiva del gravame che consiste o nel ricorso all'autorità giurisdizionale competente o nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
E' quindi necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei termini per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile il provvedimento amministrativo che in ogni caso è immediatamente eseguibile salvo sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del silenzio rifiuto).
La giurisprudenza amministrativa ha attribuito all’inerzia in materia di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi dell'art.6, DPR 1199/1971, un contenuto meramente processuale.
Al silenzio non corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il ruolo di abilitare l'interessato ricorrente in via gerarchica all’immediata proposizione del ricorso nella sede giurisdizionale.
La volontà di assicurare la più ampia tutela al privato nei confronti dell’inerzia della pubblica amministrazione ha imposto il superamento della precedente costruzione di impugnazione del silenzio che ha determinato un incremento degli oneri anche formali posti a carico del cittadino che intendeva tutelarsi anche giudiziariamente nei confronti dell'amministrazione.
Ne consegue che, formatosi il silenzio, l'autorità investita dell'istanza non perde la potestà di decidere, fatte salve le responsabilità per il ritardo.
Il privato ha la possibilità di ricorrere nei termini di decadenza contro il silenzio o, successivamente, contro l'eventuale decisione.
Il decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 - entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso dall'Autorità amministrativa adita - non ha effetti sostanziali, ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra:
1) l'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei termini di decadenza, una volta che si sia formato il silenzio rigetto;
2) la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa esplicita, con la duplice conseguenza che, anche se si è formato il silenzio rigetto, l'amministrazione non è, solo per tale fatto, privata della potestà di decidere espressamente il ricorso gerarchico e, simmetricamente, il privato non è spogliato della legittimazione ad opporsi avverso il provvedimento esplicito di rigetto dello stesso. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19 maggio 2003, n. 1948, in Foro amm. TAR, 2003, 1755.
Qualora il soggetto interessato  abbia lasciato decorrere i termini di impugnazione non è esposto al rischio della perdurante inerzia dell'autorità decidente , ma può ricorrere utilizzando i rimedi normali del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l'amministrazione a provvedere, ai sensi dell'art.25 D.P.R. 3/1957.
Il silenzio concretizza un mero atto di inadempimento cui è correlato l'obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi.

L'effetto precipuo di tale impostazione è che l'obbligo a provvedere non può farsi valere solo nel breve arco decadenziale dei sessanta giorni, ma finché dura per il privato l'interesse alla decisione.

Nessun commento:

Posta un commento