venerdì 10 febbraio 2017

La riforma del commercio. L’autorizzazione commerciale.

1.      La riforma del commercio nel D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114. L’autorizzazione commerciale.


La riforma del commercio, introdotta dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, art.6, ha affidato –
alle regioni la definizione degli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali , comma 1.
In particolare, tale disposizione prevede che le Regioni devono fissare i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale, comma 2, in specie individuando le aree da destinare agli insediamenti commerciali, comma 2, lett. a), i vincoli di natura urbanistica, lett. b), nonché altri aspetti di carattere edilizio ed urbanistico.
La riforma del commercio, introdotta dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, introduce tre tipi di attività al fini del rilascio del provvedimento autorizzatorio: i nuovi negozi di vicinato, le medie strutture, le grandi strutture.
Per l’apertura di nuovi negozi di vicinato l’art. 7, del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114 prevede la procedura del silenzio assenso.
L’esercente è tenuto a una semplice comunicazione al comune competente per territorio.
Trascorsi 30 giorni egli può procedere. I negozi di vicinato possono avere una superficie massima di 250 mq., nei comuni con più di diecimila abitanti, e di 150 mq. in quelli con meno di diecimila.
Le medie strutture, ai sensi dell’art. 8 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, sono soggette ad autorizzazione del comune competente che, verificati i requisiti e sentite le organizzazioni di consumatori e commercianti, può comunicare per iscritto, entro 90 giorni, l’eventuale diniego oppure affidarsi al principio del silenzio-assenso.
Nei comuni con più di diecimila residenti la media distribuzione non può superare i 2500 mq., mentre, nelle città più piccole il tetto è stabilito in 1500 mq.
L’autorizzazione per nuove aperture di grandi strutture, ai sensi dell’art. 9 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, è affidata al comune, che convoca, entro 60 giorni dalla domanda, una conferenza di servizi.
E’ comunque decisivo il parere espresso dal rappresentante della regione. Qualora non venisse comunicato il diniego entro i 120 giorni dalla data di convocazione della conferenza, le domande devono ritenersi accolte.
La relativa autorizzazione all'apertura è rilasciata dal Comune competente per territorio, anche in relazione agli obiettivi di cui all'art. 6, comma 1.
Il Comune, sulla base delle disposizioni regionali e degli obiettivi indicati all'art. 6, comma 3, sentite le organizzazioni di tutela dei consumatori e le organizzazioni imprenditoriali del commercio, adotta i criteri per il rilascio delle autorizzazioni.
In attuazione del D.L.vo 114/1998, la Regione Campania, con L. R. 7 gennaio 2000, n. 1, ha dettato le direttive regionali in materia di distribuzione commerciale, tra l'altro prevedendo che i Comuni  devono provvedere a dotarsi dello specifico strumento di intervento per l'apparato distributivo, concernente  le localizzazioni delle medie e grandi strutture di vendita, nel rispetto delle destinazioni d'uso delle aree e degli immobili stabilite dallo stesso strumento, che costituisce piano di strumento integrato del P.R.G., tant'è che è sottosposto al visto di conformità regionale, art. 13, L.R. Campania n. 1/2000.
È previsto , inoltre, che le aree entro le quali le grandi strutture di vendita possono essere realizzate , devono essere dichiarate espressamente compatibili con tale collocazione, con predisposizione di infrastrutture e dimensionamenti idonei.
Ai sensi del successivo art. 14, rubricato criteri di programmazione urbanistica, la Legge Regionale dispone che le strutture di media e grande distribuzione possono essere realizzate solo su aree ricadenti in zone urbanistiche dichiarate espressamente compatibili con tale collocazione: tali aree dovranno avere adeguate infrastrutture, dimensionate in proporzione all'esercizio commerciale che si vuole localizzare. La localizzazione dovrà essere compatibile con l'assetto della viabilità e con i flussi di traffico; pertanto dovranno essere adeguatamente analizzati la rete infrastrutturale esistente e di progetto.
Lo svolgimento di un'attività commerciale in un immobile destinato ad opificio industriale ne impone necessariamente un previo mutamento di destinazione d'uso. L’amministrazione deve verificare se in concreto lo stesso sia stato posto in essere conformemente al regime abilitativo che lo disciplina.
La L.R. Campania 28 novembre 2001, n. 19 , all'art. 2, rubricato interventi edilizi subordinati a denuncia di inizio di attività, regolamenta la fattispecie del mutamento di destinazione d'uso.
Essa assoggetta a denunzia di inizio di attività il mutamento di destinazione d'uso con opere che non comportino interventi di trasformazione dell'aspetto esteriore e di volumi e superfici, qualora la nuova destinazione d'uso sia compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica, art. 2, comma 1, lett. f).
È soggetto al previo rilascio di permesso di costruire il mutamento di destinazione d'uso, con opere che incidano sulla sagoma dell'edificio o che determinano un aumento planovolumetrico, che risulti compatibile con le categorie edilizie previste per le singole zone omogenee nonché quello realizzato con opere che incidano sulla sagoma, sui volumi e sulle superfici, con passaggio di categoria edilizia purché tale passaggio sia consentito dalla norma regionale.
È, invece, libero il mutamento di destinazione d'uso senza opere nell'ambito di categorie compatibili alle singole zone territoriali omogenee.
La disciplina regionale consente che il mutamento di destinazione d'uso meramente funzionale, senza opere edilizie, possa essere effettuato liberamente senza necessità di titolo abilitativo edilizio purché esso avvenga tra categorie consentite dalla destinazione urbanistica impressa all'area sul quale il manufatto insiste.
Nel caso di specie la giurisprudenza ha rilevato che è consentito il passaggio della destinazione d'uso di un immobile con destinazione ad opificio industriale a quella commerciale purché lo stesso avvenga senza opere edilizie.
E ciò è proprio quanto la società ricorrente sostiene di avere fatto, invocando la previsione di liberalizzazione contenuta nella citata disposizione regionale.
E’ evidente la volontà del legislatore di assegnare allo strumento con il quale si individuano le aree da destinare ad insediamenti commerciali, una funzione esaustiva di ogni esigenza, sia di carattere commerciale, sia di carattere urbanistico.
La motivazione di rigetto portata dai provvedimenti impugnati, limitandosi ad evidenziare una non conforme destinazione d'uso dell'immobile all'attività richiesta per effetto dei permessi di costruire che ne avevano consentito l'edificazione, risulta insufficiente e, quindi, illegittima.
Una originaria destinazione d'uso non conforme non è idonea di per sé a fondare una determinazione negativa, considerato che la nuova disciplina urbanistica dell'area liberalizza, così affidandolo alla mera voluntas del privato, il passaggio alla destinazione commerciale quando ad esso non si accompagnino opere edilizie.
Al contrario, l'amministrazione avrebbe dovuto esternare ulteriori e diverse ragioni ostative e non limitarsi al mero riscontro della originaria non conforme destinazione d'uso dell'immobile.
Poiché tali ragioni non risultano espresse negli atti impugnati, il diniego per come esternato si rivela illegittimo. T.A.R. Campania Salerno, sez. II 3 dicembre 2010 n. 13082.



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