1. La
riforma del commercio nel D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114. L’autorizzazione
commerciale.
La riforma del commercio, introdotta dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114,
art.6, ha affidato –
alle regioni la definizione degli
indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali , comma 1.
In particolare, tale disposizione
prevede che le Regioni devono fissare i criteri di programmazione urbanistica
riferiti al settore commerciale, comma 2, in specie individuando le aree da
destinare agli insediamenti commerciali, comma 2, lett. a), i vincoli di natura
urbanistica, lett. b), nonché altri aspetti di carattere edilizio ed
urbanistico.
La riforma del commercio, introdotta dal D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114,
introduce tre tipi di attività al fini del rilascio del provvedimento
autorizzatorio: i nuovi negozi di vicinato, le medie strutture, le grandi
strutture.
Per l’apertura di nuovi negozi di vicinato l’art. 7, del D.L.vo 31 marzo
1998, n. 114 prevede la procedura del silenzio assenso.
L’esercente è tenuto a una semplice comunicazione al comune competente
per territorio.
Trascorsi 30 giorni egli può procedere. I negozi di vicinato possono
avere una superficie massima di 250 mq., nei comuni con più di diecimila
abitanti, e di 150 mq. in quelli con meno di diecimila.
Le medie strutture, ai sensi dell’art. 8 del D.L.vo 31 marzo 1998, n.
114, sono soggette ad autorizzazione del comune competente che, verificati i
requisiti e sentite le organizzazioni di consumatori e commercianti, può
comunicare per iscritto, entro 90 giorni, l’eventuale diniego oppure affidarsi
al principio del silenzio-assenso.
Nei comuni con più di diecimila residenti la media distribuzione non può
superare i 2500 mq., mentre, nelle città più piccole il tetto è stabilito in
1500 mq.
L’autorizzazione per nuove aperture di grandi strutture, ai sensi dell’art.
9 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 114, è affidata al comune, che convoca, entro 60
giorni dalla domanda, una conferenza di servizi.
E’ comunque decisivo il parere espresso dal rappresentante della regione.
Qualora non venisse comunicato il diniego entro i 120 giorni dalla data di
convocazione della conferenza, le domande devono ritenersi accolte.
La relativa autorizzazione
all'apertura è rilasciata dal Comune competente per territorio, anche in
relazione agli obiettivi di cui all'art. 6, comma 1.
Il Comune, sulla base delle
disposizioni regionali e degli obiettivi indicati all'art. 6, comma 3, sentite
le organizzazioni di tutela dei consumatori e le organizzazioni imprenditoriali
del commercio, adotta i criteri per il rilascio delle autorizzazioni.
In attuazione del D.L.vo 114/1998,
la Regione Campania, con L. R. 7 gennaio 2000, n. 1, ha dettato le direttive
regionali in materia di distribuzione commerciale, tra l'altro prevedendo che i
Comuni devono provvedere a dotarsi dello
specifico strumento di intervento per l'apparato distributivo, concernente le localizzazioni delle medie e grandi
strutture di vendita, nel rispetto delle destinazioni d'uso delle aree e degli
immobili stabilite dallo stesso strumento, che costituisce piano di strumento
integrato del P.R.G., tant'è che è sottosposto al visto di conformità regionale,
art. 13, L.R. Campania n. 1/2000.
È previsto , inoltre, che le aree
entro le quali le grandi strutture di vendita possono essere realizzate ,
devono essere dichiarate espressamente compatibili con tale collocazione, con
predisposizione di infrastrutture e dimensionamenti idonei.
Ai sensi del successivo art. 14,
rubricato criteri di programmazione urbanistica, la Legge Regionale dispone che
le strutture di media e grande distribuzione possono essere realizzate solo su
aree ricadenti in zone urbanistiche dichiarate espressamente compatibili con
tale collocazione: tali aree dovranno avere adeguate infrastrutture,
dimensionate in proporzione all'esercizio commerciale che si vuole localizzare.
La localizzazione dovrà essere compatibile con l'assetto della viabilità e con
i flussi di traffico; pertanto dovranno essere adeguatamente analizzati la rete
infrastrutturale esistente e di progetto.
Lo svolgimento di un'attività
commerciale in un immobile destinato ad opificio industriale ne impone
necessariamente un previo mutamento di destinazione d'uso. L’amministrazione
deve verificare se in concreto lo stesso sia stato posto in essere
conformemente al regime abilitativo che lo disciplina.
La L.R. Campania 28 novembre 2001,
n. 19 , all'art. 2, rubricato interventi edilizi subordinati a denuncia di
inizio di attività, regolamenta la fattispecie del mutamento di destinazione
d'uso.
Essa assoggetta a denunzia di inizio
di attività il mutamento di destinazione d'uso con opere che non comportino
interventi di trasformazione dell'aspetto esteriore e di volumi e superfici,
qualora la nuova destinazione d'uso sia compatibile con le categorie consentite
dalla strumentazione urbanistica, art. 2, comma 1, lett. f).
È soggetto al previo rilascio di
permesso di costruire il mutamento di destinazione d'uso, con opere che
incidano sulla sagoma dell'edificio o che determinano un aumento
planovolumetrico, che risulti compatibile con le categorie edilizie previste
per le singole zone omogenee nonché quello realizzato con opere che incidano
sulla sagoma, sui volumi e sulle superfici, con passaggio di categoria edilizia
purché tale passaggio sia consentito dalla norma regionale.
È, invece, libero il mutamento di
destinazione d'uso senza opere nell'ambito di categorie compatibili alle
singole zone territoriali omogenee.
La disciplina regionale consente che
il mutamento di destinazione d'uso meramente funzionale, senza opere edilizie,
possa essere effettuato liberamente senza necessità di titolo abilitativo
edilizio purché esso avvenga tra categorie consentite dalla destinazione
urbanistica impressa all'area sul quale il manufatto insiste.
Nel caso di specie la giurisprudenza
ha rilevato che è consentito il passaggio della destinazione d'uso di un
immobile con destinazione ad opificio industriale a quella commerciale purché
lo stesso avvenga senza opere edilizie.
E ciò è proprio quanto la società
ricorrente sostiene di avere fatto, invocando la previsione di liberalizzazione
contenuta nella citata disposizione regionale.
E’ evidente la volontà del
legislatore di assegnare allo strumento con il quale si individuano le aree da
destinare ad insediamenti commerciali, una funzione esaustiva di ogni esigenza,
sia di carattere commerciale, sia di carattere urbanistico.
La motivazione di rigetto portata
dai provvedimenti impugnati, limitandosi ad evidenziare una non conforme
destinazione d'uso dell'immobile all'attività richiesta per effetto dei
permessi di costruire che ne avevano consentito l'edificazione, risulta
insufficiente e, quindi, illegittima.
Una originaria destinazione d'uso
non conforme non è idonea di per sé a fondare una determinazione negativa,
considerato che la nuova disciplina urbanistica dell'area liberalizza, così
affidandolo alla mera voluntas del
privato, il passaggio alla destinazione commerciale quando ad esso non si
accompagnino opere edilizie.
Al contrario, l'amministrazione
avrebbe dovuto esternare ulteriori e diverse ragioni ostative e non limitarsi
al mero riscontro della originaria non conforme destinazione d'uso
dell'immobile.
Poiché tali ragioni non risultano
espresse negli atti impugnati, il diniego per come esternato si rivela
illegittimo. T.A.R. Campania Salerno, sez. II 3 dicembre 2010 n.
13082.
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