La
L. 89/2001 - la così detta Legge Pinto - disciplina la previsione di equa
riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e
modifica dell’art. 375 del c.p.c.
Tale
normativa ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della
magistratura interna.
Il
cittadino che ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa
della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine
ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa
riparazione, art. 2, L. 24 marzo 2001, n. 89.
In
caso di un eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine
ragionevole, con l’entrata in vigore della L. 89/2001 gli interessati possono
richiedere l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale
e non patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto
riguarda i processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che
la norma individua nella Corte d’appello, art. 3, L. 24 marzo 2001, n. 89.
La
Corte deve formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con
decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione.
Fino
all’emanazione di questa legge, invece, lo Stato italiano, per l’impegno
assunto con la Convenzione della tutela dei diritti dell’uomo, presentava le
proprie istanze inerenti la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione
stessa presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto mancava
nell’ordinamento italiano un diritto di azione in funzione di accertare in sede
giurisdizionale la tutela alla ragionevole durata del procedimento.
A
differenza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, definita nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, comporta
obblighi fra Stati e, in caso di denuncia di violazioni della stessa
Convenzione, mette in funzione un meccanismo di controllo della condotta dello
Stato implicato.
Se
all’interno del singolo Stato non esisteva una normativa riguardante rimedi
interni, come accadeva per l’Italia prima della Legge Pinto, si poteva
ricorrere in via sussidiaria alla Corte europea.
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L'art.
2, L. 89/2001, detta legge Pinto, nel prevedere l'obbligo dello Stato di
corrispondere un’equa riparazione in favore di chi ha subito un danno per
effetto di una violazione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo contiene una relatio perfecta all'art. 6 della citata
convenzione.
Ne
consegue che, per accertare se vi sia stata o meno violazione della suddetta
convenzione, il giudice italiano deve applicare i principi elaborati dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo. Cass. civ., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n.
1339, in Dir. e Giust., 2004, f. 7, 12.
La
giurisprudenza ha ritenuto che il danno, da qualificarsi come esistenziale,
derivante da una irragionevole durata di una procedura fallimentare va valutato
con criterio equitativo, tenuto conto della diminuita qualità della vita
conseguente al permanere oltre il termine ragionevole dello status di
fallito. Corte App., L'Aquila, 28 ottobre 2003.
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