lunedì 6 febbraio 2017

L'equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo


La L. 89/2001 - la così detta Legge Pinto - disciplina la previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del c.p.c.
Tale normativa ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della magistratura interna.
Il cittadino che ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa riparazione, art. 2, L. 24 marzo 2001, n. 89.
In caso di un eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine ragionevole, con l’entrata in vigore della L. 89/2001 gli interessati possono richiedere l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto riguarda i processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che la norma individua nella Corte d’appello, art. 3, L. 24 marzo 2001, n. 89.
La Corte deve formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione.
Fino all’emanazione di questa legge, invece, lo Stato italiano, per l’impegno assunto con la Convenzione della tutela dei diritti dell’uomo, presentava le proprie istanze inerenti la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione stessa presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto mancava nell’ordinamento italiano un diritto di azione in funzione di accertare in sede giurisdizionale la tutela alla ragionevole durata del procedimento.
A differenza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, definita nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, comporta obblighi fra Stati e, in caso di denuncia di violazioni della stessa Convenzione, mette in funzione un meccanismo di controllo della condotta dello Stato implicato.
Se all’interno del singolo Stato non esisteva una normativa riguardante rimedi interni, come accadeva per l’Italia prima della Legge Pinto, si poteva ricorrere in via sussidiaria alla Corte europea.
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L'art. 2, L. 89/2001, detta legge Pinto, nel prevedere l'obbligo dello Stato di corrispondere un’equa riparazione in favore di chi ha subito un danno per effetto di una violazione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo contiene una relatio perfecta all'art. 6 della citata convenzione.
Ne consegue che, per accertare se vi sia stata o meno violazione della suddetta convenzione, il giudice italiano deve applicare i principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Cass. civ., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1339, in Dir. e Giust., 2004, f. 7, 12.
La giurisprudenza ha ritenuto che il danno, da qualificarsi come esistenziale, derivante da una irragionevole durata di una procedura fallimentare va valutato con criterio equitativo, tenuto conto della diminuita qualità della vita conseguente al permanere oltre il termine ragionevole dello status di fallito. Corte App., L'Aquila, 28 ottobre 2003.


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