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L’oggetto
del ricorso contro il silenzio.
Il
ricorso giurisdizionale contro il silenzio nel ricorso amministrativo, decorso
lo spatium deliberandi di
novanta giorni ex art. 6, d.p.r. 1199/1971, va presentato
contro l’inadempimento dell’amministrazione, ex art. 31, d.lgs. 104/2010 .
Dall'inerzia
nel decidere scaturiscono effetti solo processuali.
La
dottrina precisa che non si può considerare in simili casi aperta la via
all’impugnativa di un atto amministrativo, ma semplicemente la possibilità di
richiedere direttamente al giudice la risoluzione della controversia che si era
chiesta all’autorità amministrativa (Sandulli A. M., Manuale di diritto
amministrativo, 1989, 1238).
Non
vi è, infatti, alcun provvedimento da impugnare, ma il trascorrere del tempo
abilita l'interessato a riprodurre l'impugnativa in sede giurisdizionale o a
mezzo di ricorso straordinario al Capo dello Stato:
Il
comportamento omissivo dell'organo adito in via gerarchica, pertanto, poiché
inidoneo a tipizzare una decisione di reiezione dell'impugnativa, non è
suscettibile di censura per autonomi vizi di legittimità, con la conseguenza
che le situazioni soggettive dell'interessato ritenute lese vanno
esclusivamente tutelate avverso l'unico ed originario provvedimento che aveva
dato luogo al ricorso gerarchico (T.A.R.
Lazio sez. II, 18.12.1996, n. 2182, in T.A.R., 1997,I, 36).
Il
ricorrente può anche non impugnare nei termini decadenziali il silenzio,
attendendo una decisione tardiva, ma egli si trova esposto all’eventualità di
una non decisione:
Il
decorso del termine di 90 giorni per la formazione del silenzio rigetto,
previsto dall'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, non ha effetti sostanziali
bensì effetti processuali, in quanto abilita il ricorrente gerarchico a
scegliere tra l'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il
provvedimento di base nei termini di decadenza e la successiva impugnativa
dell'eventuale decisione gerarchica, ove lesiva (Cons. St., sez. VI, 4.8.1993,
n. 564).
il
termine per la impugnativa giurisdizionale comincia a decorrere dalla data di
scadenza dello spatium deliberandi.
Trascorsi
i 90 giorni scatta l’ulteriore termine di 60 giorni per il ricorso
giurisdizionale.
Al
decorso del termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso
gerarchico senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione è collegato
non già un obbligo di impugnazione, ma piuttosto l'attribuzione di una facoltà
di impugnativa, nel senso che il ricorrente ha la facoltà di ricorrere
immediatamente in sede giurisdizionale avverso il provvedimento originario
ovvero di attendere (come verificatosi nella specie) la pronuncia tardiva sul
ricorso gerarchico con connessa eventuale riconsiderazione dei profili di
merito della questione (T.A.R. Lazio, sez. III, 9.9.2004, n. 15190).
Tale
scadenza non viene riaperta dall’eventuale rigetto tardivo del ricorso
gerarchico: tale decisione, infatti, è considerata inutiliter data, in
quanto conferma il silenzio rigetto.
2
La consumazione
del potere di provvedere. La decisione tardiva.
L’autorità
amministrativa ha il dovere giuridico di pronunciarsi sul ricorso presentato e
il privato ha il diritto, tutelato dalla legge, che il proprio ricorso sia
deciso.
La funzione del ricorso
amministrativo si intende esaurita se, dopo novanta giorni dalla data di
presentazione dell’istanza, l’organo preposto non si sia pronunciato;
l’interessato può allora proporre ricorso giurisdizionale direttamente contro
il provvedimento originario (Galli R. , Corso op. cit., 1996, 500).
La
dottrina tradizionale configura il silenzio rifiuto come provvedimento tacito
negativo soggetto ai rimedi giurisdizionali; essa attribuisce al silenzio di un
organo della amministrazione il valore di una dichiarazione, sia pure tacita,
di volontà che non ha alcuna rispondenza con la realtà.
Le
conseguenze sono evidenti soprattutto in tema di consumazione del potere di
provvedere dell’amministrazione e di aggravamento della posizione del privato
che, oltre ad essere danneggiato dal silenzio, si vede oberato di forme gravose
di tutela anche sui provvedimenti successivi dell’ente (Galateria L. e Stipo M.,
Manuale di diritto amministrativo, 1993, 258).
Il
fatto che la dottrina e la giurisprudenza concordino nel far derivare
dall'inerzia a decidere effetti solo processuali comporta una conseguenza
fondamentale in termini di potere decisionale ed in termini di tutela.
L’amministrazione
può, infatti, intervenire con una decisione tardiva.
La giurisprudenza
conferma che l'inutile decorso del termine di novanta giorni, assegnato
dall'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, all'amministrazione per la decisione
sul ricorso gerarchico, non ha effetto sostanziale cioè non concretizza un
provvedimento di rigetto ma ha effetti processuali .La scadenza del termine
legislativamente prescritto non estingue il potere dell'amministrazione di
decidere il ricorso amministrativo. Il soggetto interessato ha tuttavia la
facoltà di proporre ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rigetto, ovvero
di attendere la decisione tardiva dell'amministrazione. (T.A.R. Sardegna
Cagliari, sez. I 6.4.2010, n. 663).
2.1 La decisione tardiva di accoglimento
La
decisione di accoglimento del ricorso gerarchico, tardivamente emessa dopo la
formazione del silenzio-rigetto, è un provvedimento amministrativo efficace
ancorché illegittimo, e deve essere impugnata dagli eventuali controinteressati
che intendono rimuovere gli effetti dell'accoglimento; pertanto, ove non sia
impugnato, esso è idoneo ad incidere sui rapporti giuridici preesistenti, come
se fosse valido.
Trascorso
il termine per l'impugnativa giurisdizionale del provvedimento gravato di ricorso
gerarchico, respinto con silenzio-rigetto, è inammissibile il ricorso
giurisdizionale proposto avverso la decisione tardiva esplicita di rigetto
ancorché emessa per pronunciarsi sulle censure di merito formulate dal
ricorrente né può essere concessa all'interessato la rimessione in termini per
errore scusabile.
La
disciplina dell'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, si applica ad ogni tipo di
ricorso amministrativo, fatta eccezione per le norme speciali relative agli
atti dei ministri, di enti pubblici ed organi collegiali.
Nella
fattispecie la nuova normativa posta dal è stata dichiarata applicabile ai
ricorsi dinanzi alla commissione costituita presso i provveditorati agli studi
in materia di incarichi di insegnamento.
Nel
caso in cui l'autorità adita con ricorso gerarchico emani una decisione
esplicita di accoglimento dopo la scadenza del termine, questa decisione
equivale ad una revoca di quella tacita di rigetto, con l'effetto che, quando
non vi siano controinteressati che intendano far valere l'illegittimità
dell'anzidetta decisione, e l'accoglimento sia pieno, può essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere sul ricorso giurisdizionale
eventualmente proposto contro il silenzio-rigetto, ai sensi dell'art. 23,
ultimo comma, l. 6.12.1971, n. 1034. Mentre, ove vi siano controinteressati, questi
possono esperire, nell'ordinario termine di decadenza, il rimedio
giurisdizionale contro la nuova decisione, in quanto emanata dopo la
consumazione del potere di reiezione avvenuta in forma tacita e, se la
decisione non sia impugnata, questa diventa inoppugnabile.
La
decisione tardiva dell’autorità può essere positiva stabilendo l’accoglimento
dell’istanza con l’emissione del provvedimento richiesto.
Tale
decisione, quale atto di ritiro del silenzio rigetto intervenuto nel corso del
procedimento, fa cessare la materia del contendere. La giurisprudenza ha
confermato che l'eventuale decisione di accoglimento emessa dall'autorità
investita dal ricorso gerarchico - oltre il termine fissato dall'art. 6, d.p.r.
24.11.1971, n. 1199 - e successivamente alla proposizione del ricorso
giurisdizionale contro il silenzio-rigetto, determina la cessazione della
materia del contendere ai sensi dell'art. 23, 7° co., l. 6.12.1971, n. 1034,
soltanto se non vi siano controinteressati, giacché questi, se esistenti, sarebbero
legittimati ad impugnare una decisione gerarchica ormai non più consentita;
tuttavia, in forza del generale potere di autotutela, l'autorità competente può
in ogni momento disporre, nel concorso dei presupposti di legge, l'annullamento
d'ufficio del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale (Cons. St., A.
P., 24.11.1989, n. 16, in Cons. St., 1989, 1305).
Contro
tale decisione tardiva gli eventuali controinteressati che ne siano danneggiati
possono proporre ricorso giurisdizionale per motivi sostanziali e non solo
denunciare il ritardo della delibera.
La
decisione gerarchica tardiva di accoglimento, che abbia un contenuto totalmente
satisfattivo dell'interesse del ricorrente, determina la cessazione della
materia del contendere relativamente al ricorso giurisdizionale da lui proposto
avverso il silenzio-rigetto, in assenza di controinteressati, o legittima
questi ultimi, se presenti, alla sua impugnazione in sede giurisdizionale e
straordinaria nei comuni termini di decadenza (T.A.R. Campania Napoli, sez.
III, 15.12.2004, n. 19144).
2.2 La decisione tardiva di rigetto.
Nel
caso in cui l'autorità adita con ricorso gerarchico emani una decisione
esplicita di rigetto dopo il decorso del termine, il provvedimento decisorio
non può che considerarsi meramente confermativo di quello di rigetto tacito,
con l'effetto che, ove l'interessato non abbia tempestivamente esperito il
rimedio giurisdizionale contro quest'ultimo, la sopravvenuta pronuncia
esplicita non vale a riaprire il termine per la via giurisdizionale, salvo che
dalla motivazione della pronuncia de qua non emerga la lesione di altre
situazioni soggettive che possano legittimare un'autonoma impugnativa.
L'art.
24 cost., assicura ai cittadini la sola tutela giurisdizionale di legittimità,
mentre quella attinente ai profili di merito è attuabile unicamente nei limiti
ritenuti dal legislatore ordinario; pertanto, è irrilevante che la scadenza del
termine anzidetto precluda all'amministrazione sopraordinata di pronunciare sul
merito del ricorso gerarchico. (Cons. St., A. P., 7.2.1978, n. 4).
L’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato propone, quindi, attraverso una interpretazione
difficilmente condivisibile della legislazione ordinaria, la sostanziale
eliminazione della tutela contro i vizi di merito poiché non assistita da
garanzia costituzionale; ma essa omette di considerare che l’enunciato è in
contrasto con i principi fissati dal d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, art. 5.
Per la dottrina questa tesi non può accogliersi senza qualche
perplessità, ove si consideri che il sistema dei ricorsi amministrativi assolve
appunto alla funzione di consentire un riesame degli atti delle autorità
inferiori appunto per la tutela del cittadino, e tale tutela non può essere
vanificata per effetto della inadempienza dell’organo gerarchico, il quale,
omettendo la decisione dei ricorsi, pone in essere comunque un comportamento
illegittimo (Brignola F., Silenzio
della pubblica amministrazione (diritto amministrativo), in Enc. Giur
1992, 12).
La
dottrina è sostanzialmente favorevole alle posizioni espresse dal supremo
consesso della giustizia amministrativa (Caianello V., I ricorsi amministrativi, in
NovissDIA, VI, 1986, 754).
Contro
la decisione tardiva dell’autorità si possono esperire i normali rimedi
amministrativi o giurisdizionali:
Per
la giurisprudenza al possibile esercizio della potestà di decidere
espressamente in ordine al ricorso gerarchico - oltre il termine di novanta
giorni - ed alla legittimità del provvedimento con tale ricorso impugnato deve
pur corrispondere la facoltà dell'interessato di gravare il rigetto espresso
con il rimedio del ricorso giurisdizionale ovvero di quello straordinario,
abbia costui o meno impugnato il silenzio-rigetto (Cons. Giust. Amm. Sicilia,
2.11.1992, n. 325).
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