1
L’azione ad
exhibendum.
Il
diritto all’accesso ai documenti amministrativi, riconosciuto a chiunque vi
abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, si
esercita mediante esame ed estrazione di copie dei documenti stessi, ex art. 22, l. 7.8.1990, n. 241,.
La giurisprudenza ha ritenuto legittima la domanda
di accesso finalizzata ad acquisire
documenti necessari per curare e per difendere i propri interessi giuridici,
fermo che il diritto alla trasparenza dell'azione amministrativa non è
condizionabile da valutazioni relative alla fondatezza della pretesa alla cui tutela
l'acquisizione della documentazione è strumentale e/o all'eventuale
inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta
conosciuti gli atti, potrebbe proporre, avuto conto che - per costante
giurisprudenza - il diritto di accesso costituisce situazione attiva meritevole di autonoma
protezione. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 7.6.2010, n. 12743).
Le modalità di esercizio del diritto di
accesso sono determinate dalla legge.
La norma prevede che il diritto di accesso si
esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi,
nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è
gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di
riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i
diritti di ricerca e di visura.
La richiesta di accesso ai documenti deve
essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il
documento o che lo detiene stabilmente.
Il rifiuto, il differimento e la limitazione
dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'articolo 24 e
debbono essere motivati, ex art. 25, l. 7.8.1990, n. 241, mod. art. 17, 1°
co., lett. a), l. 15/2005.
Il diritto all’accesso non può essere
utilizzato per costringere l'amministrazione a formare atti nuovi rispetto ai
documenti amministrativi già esistenti ovvero a compiere un'attività di
elaborazione di dati e documenti.
Il diritto all’accesso può essere impiegato
esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già
formati e fisicamente esistenti presso gli archivi dell'amministrazione. Nella
fattispecie, la certificazione - richiesta all'Inps al fine di attestare
attività lavorative prestate, in relazione ad un giudizio per il pagamento di
prestazioni previdenziali - non era già materialmente esistente, ma avrebbe
dovuto essere formata dall'amministrazione a seguito dell'elaborazione di dati
o atti (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 21.9.2004, n. 712).
L'ufficio destinatario della domanda di
accesso non ha alcun onere di comunicare al richiedente, con forme rituali di
notifica, l'avvenuta estrazione degli atti.
L'esercizio del diritto di accesso è autonomo da ogni
altra azione giurisdizionale avente ad oggetto lo stesso procedimento (Cerulli
Irelli V., Corso di diritto amministrativo , 1997, 471).
Non vi è, quindi, alcuna preclusione nei
confronti di tale provvedimento per il fatto di avere sperimentato altri rimedi
giurisdizionali.
Il ricorso per l’accesso può essere esperito
in via complementare ad una azione giurisdizionale, esso presenta una finalità
che supera l’aspetto del contenzioso, essendo rivolto ad assicurare la
trasparenza dell’azione amministrativa ponendo il ricorrente nella condizione
di esaminare i documenti che sono per lui rilevanti.
Contro
le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti
amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della
determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante
notificazione all’amministrazione e agli eventuali contro interessati, ex art. 116 , d.
lgs. 2.7.2010, n.104 (Corrado
A. Tempi dimezzati per il deposito del ricorso: l’accesso apre il capitolo
dei riti speciali, in Guida Dir., n. 23, 15).
Al giudizio
in materia di accesso ai documenti amministrativi si applica l’art. 87, lett. c), d.lgs. 104/2010.
La norma precisa che si trattano in
camera di consiglio i giudizi in materia di accesso ai documenti
amministrativi;
Salva
l’ipotesi del giudizio cautelare, tutti i termini processuali sono dimezzati
rispetto a quelli del processo ordinario, esclusi quelli per la notificazione
del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.
L’art. 116, d.lgs. 104/2010,
riduce il termine di proposizione del ricorso affermando che
questo deve essere presentato entro trenta giorni dalla formazione del silenzio.
Così ad esempio il deposito del ricorso è di quindici giorni dall’ultima
notificazione, ex art. 45, d.lgs. 104/2010.
La camera di
consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo
giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti
intimate.
Nella camera
di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.
La
trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della
decisione.
La
giurisprudenza ha affermato che
l'apprezzamento circa l'esistenza dei presupposti sostanziali per
addivenire ad un decisione in camera di consiglio resa con
motivazione in forma semplificata costituisce valutazione di merito del giudice
di primo grado insindacabile in appello, fermo restando che ogni errore di
giudizio contenuto nella decisione può essere devoluto al giudice di appello
mediante il relativo atto di gravame. (Cons. St., sez. IV, 13.1.2010, n. 34).
Il giudice
decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina
l’esibizione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma,
a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità, ex
art. 116, 4° co.
, d.lgs. 2010, n.104/2010.
La natura dell’azione è di mero accertamento .
Per la giurisprudenza il giudizio in
materia di accesso ai documenti anche se si atteggia quale azione
impugnatoria - in quanto il ricorso deve essere proposto nel termine perentorio
di 30 giorni avverso l'atto di diniego o il silenzio diniego formatosi sulla
relativa istanza - è sostanzialmente rivolto ad accertare la sussistenza
o meno del titolo all'accesso nella specifica situazione alla luce
dei parametri normativi, e ciò, indipendentemente dalla maggiore o minore
correttezza, ovvero completezza delle ragioni addotte
dall'Amministrazione. Per giustificare il diniego, l'Amministrazione può
dedurre in giudizio le ragioni che precludono all'interessato di
avere copia o di visionare i relativi documenti; pertanto, la decisione da
assumere, che deve comunque accertare la sussistenza o meno del titolo
all'esibizione, si deve formare tenendo conto anche di tali deduzioni. (T.A.R.
Lazio Roma, sez. III, 6.5.2010, n. 9939).
Il giudizio è immediatamente rivolto
all'accertamento della sussistenza o meno del diritto dell'istante all'accesso
medesimo: è, dunque, un giudizio sul rapporto, come è reso, del resto, palese
dall'art. 25, 4° co., l. 7.8.1990, n. 241, il quale, all'esito del ricorso,
prevede che il giudice, sussistendone i presupposti, ordini l'esibizione dei documenti
richiesti, con ciò postulando che tale ordine debba procedere dalla
valutazione, in concreto, dell'esistenza del diritto, alla luce del parametro
normativo, indipendentemente dalla ricorrenza di impedimenti oggettivi che
possano frapporsi alla effettiva ostensione
(T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 7.12.2004,
n. 2912).
L’istanza per l'accesso non comporta alcuna
preclusione alla presentazione di una nuova domanda su cui l’amministrazione ha
l’obbligo di rispondere anche dopo che sia stata proposta l’azione ad
exhibendum.
La giurisprudenza ha precisato che il diritto
di accesso ai documenti amministrativi ha il dichiarato fine generale di
pubblico interesse di configurare una nuova e più democratica concezione dei
rapporti tra amministrazioni e amministrati, il soggetto che non ha proposto
tempestivamente ricorso contro il diniego opposto dall'amministrazione ad una
sua richiesta, ai sensi dell'art. 25, l. 7.8.1990, n. 241, ben può presentare
una nuova domanda (Cons. St., sez. V, 9.12.2004, n. 7900).
2
L’esclusione del ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica
La dottrina e la giurisprudenza concordano
che si deve ricorrere alla giustizia amministrativa sulle controversie in tema
di accesso agli atti amministrativi, ex art.
116, d. lgs. 104/2010.
Il diritto all’accesso si configura come un
interesse legittimo, per il quale sussiste una giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
La giurisprudenza ha rilevato che il termine diritto va considerato atecnico,
essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento
amministrativo è impugnabile, come nel caso del diritto di accesso, entro un
termine perentorio, pure se incidente su posizioni che nel linguaggio comune
sono più spesso definite come di diritto (Cons. St., A. P., 24.6.1999, n. 16).
La giurisdizione amministrativa va affermata
anche nel caso in cui il relativo giudizio sia promosso nei riguardi di un ente
che, per perseguire le proprie finalità istituzionali, svolga in tutto o in
parte un'attività iure privatorum.
L'istituto dell'accesso - che è negato nei
soli casi espressamente stabiliti dalla legge e può esser escluso solo nei
confronti di chi, senza alcun interesse, intende ingerirsi nella sfera delle
libere valutazioni della p.a. in ordine alla convenienza delle scelte da
adottare - serve a una più diffusa conoscenza dei processi decisionali e
intende favorire la partecipazione e il controllo sui comportamenti dei
soggetti che agiscono per conto della p.a.
La legge dispone la giurisdizione
amministrativa a garanzia delle posizioni del diritto all’accesso che investono
la tutela di interessi legittimi.
Nella specie, un'azienda speciale, costituita
da un comune ai sensi dell'art. 23, l. 8.6.1990, n. 142, ha indetto una
procedura pubblica di selezione per l'assunzione di alcuni addetti tra i
soggetti più capaci e meritevoli, con ciò ponendo in essere un procedimento di
natura comparativa con criteri precostituiti, i cui atti sono quindi
accessibili come quelli di un concorso a pubblici impieghi, attesa la
compresenza dell'aspetto soggettivo e di quello oggettivo della gestione di un
servizio pubblico (Cons. St., sez. V,
1.10.1999, n. 1248).
La giurisdizione amministrativa comporta
necessariamente le forme previste dal giudizio amministrativo per la rituale
introduzione della causa nello stesso. E’ stata ritenuta necessaria la notifica
del ricorso a mezzo ufficiale giudiziario.
La giurisprudenza ha ritenuto che l'invio di
raccomandata con ricevuta di ritorno alla p.a. resistente è insufficiente alla
corretta evocazione del contraddittorio processuale.
La norma che fonda l'azione espressamente
prevede che, contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di
accesso, è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale
amministrativo regionale, ove l'espresso richiamo al detto termine implica il
rinvio alla disciplina generale di introduzione della causa nel giudizio
amministrativo, circostanza che impone la notifica, e non la mera
comunicazione, all'amministrazione resistente ed all'eventuale contro
interessato (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 7.12.2004, n. 18507).
La giurisprudenza ha escluso la giurisdizione
sull’accesso di giudici speciali, come, ad esempio, la Corte dei conti. La
giurisdizione in materia di accesso alla documentazione amministrativa spetta
in via esclusiva al giudice della legittimità, per questo va escluso il potere
della Corte dei conti di esaminare doglianze relative al rifiuto, da parte
dell'ente previdenziale, di fornire all'interessato il prospetto di
liquidazione della pensione (Corte Conti
reg. Toscana, sez. giurisd., 9.7.1997, n. 478).
La dottrina ammette il ricorso amministrativo
contro il silenzio o il diniego sull’accesso al procedimento amministrativo
(Sempreviva M.T., L’accesso ai documenti amministrativi, in Caringella
F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1994)
Non sussiste in astratto alcun motivo di
ordine giuridico per escludere che in materia di accesso sia ammissibile un
ricorso di tipo amministrativo, comunque configurato o denominato (riesame,
ricorso gerarchico proprio, ricorso gerarchico improprio. (Cons. St., sez. VI, 27.5.2003, n.
2938).
E’ stata invece esclusa la possibilità di
utilizzare in tema di accesso il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, vista la specialità del rimedio giurisdizionale offerto dall’art.
25, l. 241/1990 che offre una tutela urgente, soggetta a termini abbreviati e
derogatoria dei principi generali (Cons. St., sez. II, 18.6.1997, n. 521).
3
L’intervento del difensore civico sul
silenzio nell’accesso agli atti.
Il difensore civico è stato istituito con la funzione di
intervenire, a richiesta del singolo cittadino o di associazioni, presso
l'amministrazione regionale e presso gli altri enti locali della regione o
presso quelli delegati di funzioni regionali, per assicurare che il
procedimento amministrativo si svolga regolarmente e secondo i tempi previsti, ex art. 11, d.lg. 267/2000. (De Leonardis F., Il
difensore civico nella giurisprudenza del giudice costituzionale e del giudice
amministrativo, in Foro amm. CDS, 2009, 12, 2971).
Egli esercita una funzione di tutela nei
confronti della eventuale inerzia della pubblica amministrazione nella fase
preparatoria del procedimento.
Teoricamente egli potrebbe anche stimolare
l'esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione
sull'annullamento di atti viziati.
Il difensore civico comunale è stato
soppresso dall’art. 1, 186° co. , l. 191/2009
finanziaria 2010.
La norma precisa e funzioni del difensore civico comunale possono essere
attribuite, mediante apposita convenzione, al difensore civico della provincia nel cui
territorio rientra il relativo comune. In tale caso il difensore civico provinciale assume la
denominazione di "difensore civico territoriale" ed è competente a garantire l'imparzialità
e il buon andamento della pubblica amministrazione, segnalando, anche di
propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze e i ritardi
dell'amministrazione nei confronti dei cittadini;
Le funzioni del difensore civico sono state
raccordate alla tutela giurisdizionale dall’art. 25, l. 241/1990 così come mod.
dall’art. 17, 1° co., lett. a), l. 15/2005.
L’azione del difensore civico è posta, in
sostituzione, ma non in alternativa al ricorso al T.A.R., in caso di rifiuto
espresso o tacito o nel caso di differimento dell’accesso alla documentazione
amministrativa.
La facoltà di reclamo al difensore civico non
è, infatti, alternativa al ricorso giurisdizionale bensì è considerata uno
strumento di contenimento del contenzioso in materia che può trovare
composizione con l’intervento del difensore.
Il ricorso giurisdizionale può essere sempre
proposto.
In tal caso i relativi termini di
presentazione decorrono dalla data di comunicazione delle determinazioni del difensore.
L'impugnativa contro il rifiuto di accesso, sia esso espresso o tacito, deve
essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di 30 giorni
dall'atto di diniego o dalla formazione del silenzio, secondo quanto previsto
dall'art. 25, 5° co., l. n. 241 del 1990; tuttavia, nel caso in cui
l'interessato si sia rivolto al difensore civico, il termine per il ricorso
giurisdizionale decorre dalla data di ricevimento della determinazione adottata
dal difensore civico sulla sua istanza, fermo restando che l'onere di allegare
e provare la data di ricezione della suddetta decisione adottata dal difensore
civico incombe sul ricorrente cui sia eccepita la tardività nella presentazione
del ricorso (T.A.R. Campania Napoli, sez. V,
26.10.2004, n. 15415).
Il difensore civico si pronuncia entro trenta
giorni dall’istanza. Il silenzio del difensore equivale a diniego.
Se il difensore ritiene illegittimo il
diniego o il differimento del diritto di accesso comunica le sue conclusioni
all’autorità interpellata e al richiedente.
L’autorità adita deve emettere un
provvedimento che confermi il suo diniego o, in caso contrario, l’accesso è
consentito.
L’accesso può consistere in un atto di
esibizione dei documenti.
Al fine di ottenere detto risultato
l’autorità adita, oltre che un provvedimento confermativo del diniego, deve
emettere un provvedimento espresso in cui siano indicate le modalità di accesso
onde consentire l’esercizio del riconosciuto diritto all’accesso del
richiedente.
Detto atto può consistere in una semplice
comunicazione che determini le modalità per l’esercizio del diritto di accesso.
La norma precisa che il difensore civico o la
Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla
presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso
si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso
ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente
e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento
confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione
del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il
richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il
termine per proporre il ricorso, ex
art. 116, d.lgs. 104/2010, decorre dalla data di ricevimento, da parte del
richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla
Commissione stessa, ex art. 25, 4° co., l. 7.8.1990, n. 241, mod.
art. 17, 1° co., lett. a), l. 15/2005.
Qualora, dopo le determinazioni del difensore
civico, persista la mancata ottemperanza all’ordine dell’autorità
amministrativa si configura per il responsabile del procedimento la
contravvenzione di cui all’art. 650, c.p., che punisce con l’arresto fino a tre
mesi o con l’ammenda fino a euro 206 l’inosservanza dei provvedimenti
dell’autorità.
La giurisprudenza ha precisato che anche gli
atti del difensore civico sono soggetti al diritto di accesso da parte dei
soggetti interessati.
Le domande devono esser rivolte direttamente
al difensore civico e non al comune.
Se sono trasmesse al sindaco dette istanze
devono essere, ex art. 4, 2° co.,
d.p.r. 27.6.1992, n. 352, rinviate direttamente al difensore civico per il
principio che testualmente dispone che la richiesta formale presentata ad
amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di
accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente.
Di tale trasmissione è data comunicazione
all'interessato.
Ogni domanda posta al sindaco per aver
accesso agli atti del difensore civico deve comunque essere respinta.
La natura dell'istituto del difensore civico
è di autorità indipendente; esso è figura soggettiva pubblica ultra dal
Comune da cui trae origine, e conseguentemente ne è distinto sotto i profili
dell'attività, delle procedure, delle strutture, dei mezzi.
Il diritto di accesso agli atti del difensore
civico deve essere esercitato non nei confronti del Comune ma del difensore
civico stesso, ai sensi della l. 241 del 1990 (T.A.R. Veneto, sez. I, 25.6.1998, n.
1178).
4
L’accesso ad
atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. La
Commissione per l’accesso.
La Commissione per l’accesso istituita presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ex
art. 27, l. 241/1990, decide in ordine alla richiesta di visione di atti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato; essa ha una competenza
alternativa al ricorso giurisdizionale negli stessi termini di intervento del
difensore civico.
Se la richiesta di accesso riguarda dati
personali la Commissione deve procedere solo dopo avere sentito il Garante per
la protezione dei dati personali.
Il Garante deve rendere il parere entro dieci
giorni dalla richiesta.
Decorso detto termine il parere si intende
reso e la Commissione deve pronunciarsi.
Vale la regola che se il provvedimento
richiesto non è reso l’accesso si intende consentito.
Qualora si verifichi l’ipotesi opposta ossia
che la necessità di accesso agli atti amministrativi si manifesti nel corso di
un procedimento di tutela amministrativa o giurisdizionale previsto dagli art.
141 e segg., d.lgs. 196/2003, il garante deve richiedere il parere alla
Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.
Il parere è obbligatorio, ma non vincolante.
La richiesta del parere sospende i termini
per la pronuncia del Garante per non oltre quindici giorni.
La dottrina rileva la possibilità di un
conflitto di giurisdizioni poiché i ricorsi contro le decisioni del Garante
devoluti alla giurisdizione ordinaria vengono, di fatto, attratti, in tema di
accesso, nella giurisdizione del giudice amministrativo.
In tal modo, seppure indirettamente,
finirebbe per essere devoluta al giudice amministrativo la cognizione anche
delle determinazioni del Garante, con una sostanziale deroga al disposto
dell’art. 152, 1° co., d.lgs. 196/2003, e soprattutto potrebbe
derivare un disorientamento degli operatori a seguito di possibili
pronunciamenti di distinti soggetti pubblici in contraddizione tra di loro (Atelli
M., Rilascio copia dell’atto graduato dalla privacy, in Guida Dir.,2005, n. 10, 2005, 94).
La salvaguardia del principio del
contraddittorio comporta una eccessiva complicazione del procedimento di
accesso che è teso invece a rendere più trasparenti i rapporti tra privato ed
amministrazione.
5
I soggetti legittimati.
L’accesso ai documenti amministrativi è
consentito soltanto ai titolari di un interesse attuale, concreto e personale
per la tutela delle posizioni giuridicamente rilevanti, ex art. 22, l. 7.8.1990, n. 241.
Deve escludersi l’accesso come azione
popolare azionabile indiscriminatamente da cittadini singoli e associati.
La norma non ha introdotto una forma di azione popolare (diretta
a consentire una sorta di verifica diffusa dell'attività amministrativa), ma
deve correlarsi ad un interesse qualificato, che giustifichi la cognizione di
determinati documenti, onde l'accesso agli atti della p.a. è consentito soltanto a coloro cui
gli atti stessi, direttamente o indirettamente, si rivolgano e che se ne
possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva la
quale, anche se non assurta alla consistenza dell'interesse legittimo o del
diritto soggettivo, deve comunque essere giuridicamente tutelata, non essendo
consentito identificarla con il generico ed indistinto interesse di ogni
cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa, ex art. 97, cost. (T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 9.2.2010,
n. 52 ).
La dottrina ritiene comunque che il diritto di accesso
sia da considerarsi autonomo e non strumentale alla tutela di posizioni
giuridiche del richiedente.
Essa rileva che qualora si ritenesse il
diritto di accesso strumentale alla tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti, esso risulterebbe esperibile esclusivamente nel caso in cui la
situazione che è a fondamento della richiesta di accesso fosse concretamente
suscettibile di tutela.
Da ciò ne deriverebbe l’inutilità della
richiesta, con conseguente diniego, in quanto formulata in relazione a
questioni divenute definitive ed inoppugnabili (Cassese S. (a cura di), Diritto
amministrativo generale, 2000, 1039).
L’autonomia del diritto di accesso non
impedisce di considerare che esso sia rapportato ad un interesse concreto ed
attuale del richiedente per essere azionabile.
Il diritto di accesso consiste nel diritto ad
essere informati degli atti e dei procedimenti che possono incidere sulla sfera
giuridica del soggetto, al fine di consentirgli le dovute difese.
La giurisprudenza ha definito non tutelabili
le posizioni espresse da cittadini, qualora questi tendano a sostituirsi alle
stesse amministrazioni nella scelta dei criteri cui uniformare la loro attività
amministrativa.
È stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso il
silenzio-rigetto della Pubblica amministrazione su un'istanza di accesso agli atti
nel caso in cui quest'ultima abbia un oggetto generico e indeterminato; sia
finalizzata ad un controllo
generalizzato sull'operato dei destinatari dell'istanza; per taluni profili non
riguardi documenti esistenti, ma postuli una attività di elaborazione di dati;
miri ad un controllo
di tipo investigativo - preventivo. (T.A.R. Molise Campobasso, sez. I,
13.5.2010, n. 210 ).
È , invece, ammissibile l'accesso ai documenti attinenti ad una
procedura concorsuale ove miri a verificare come sono stati valutati i titoli
dei candidati che precedono l'istante in graduatoria, essendo rinvenibile nella
fattispecie un interesse concreto ed attuale che non ha certo lo scopo di un controllo
generalizzato, bensì solo quello di verificare la legittimità della graduatoria
in relazione ai soggetti che precedono la ricorrente. (T.A.R. Lazio Roma, sez.
III, 11.6.2010, n. 17301)
Del pari le associazioni dei consumatori non
hanno un diritto autonomo di controllo dell’attività amministrativa su
provvedimenti specifici attraverso la richiesta dei documenti amministrativi,
se questo non è supportato da un interesse effettivo.
La
giurisprudenza ha affermato che legge a
tutela dei consumatori non attribuisce alle associazioni dei consumatori un potere di
vigilanza a tutto campo da esercitare a mezzo del diritto all'acquisizione
conoscitiva di atti e documenti che consentano le necessarie verifiche al fine
di stabilire se l'esercizio del servizio pubblico possa ritenersi svolto
secondo le prescritte regole di efficienza; sicché un potere di controllo,
generale e preliminare, è estraneo alla norma sull'accesso, che non conferisce ai
singoli funzioni di vigilanza, ma solo la pretesa individuale a conoscere dei
documenti collegati a situazioni giuridiche soggettive.
Le
associazioni a tutela dei consumatori non sono titolari di una situazione
soggettiva che valga a conferire un potere di vigilanza sull'ente che offre il
pubblico servizio, ma solo della legittimazione ad agire perché vengano inibiti
comportamenti od atti che siano effettivamente lesivi. (T.A.R. Campania
Salerno, sez. I, 11.12.2009, n. 7602)
Il diritto di accesso non può essere
trasformato in un diritto al controllo dell’azione amministrativa che non sia
supportato da un interesse puntuale ai provvedimenti di cui si chiede di essere
informati.
5.1
Il diritto del consigliere comunale.
La posizione giuridica del consigliere
comunale è stata considerata dalla giurisprudenza differenziata da quella degli
altri ricorrenti.
L’azione è concessa a detto soggetto al fine
di rendere pieno ed effettivo l'esercizio della funzione pubblica di sua
pertinenza quale componente del consiglio comunale, consistente nel controllo
sulla amministrazione dell'ente stesso.
La giurisprudenza ha affermato che il diritto di accesso del
consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze attribuite al
consiglio comunale, ma, essendo riferito all'espletamento del mandato, investe
l'esercizio del munus in tutte le sue
potenziali implicazioni per consentire la valutazione della correttezza ed
efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale.
A differenza dei soggetti privati, il consigliere non è
tenuto a motivare la richiesta né l'ente ha titolo per sindacare il rapporto
tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, altrimenti gli organi
dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito del controllo sul
proprio operato. (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 25.6.2010, n. 9584).
Il consigliere comunale non è legittimato a
richiedere l'accesso indiscriminato a qualsiasi documento detenuto
dall'amministrazione presso la quale esercita il proprio mandato.
Egli non può richiedere documenti risalenti
ad un'epoca molto lontana rispetto al periodo di espletamento del medesimo.
L'accesso da lui azionato non può convertirsi
nell'esercizio di una funzione ispettiva sulla trascorsa attività
dell'amministrazione stessa, non connessa al vigente mandato (T.A.R. Lombardia
Milano, sez. I, 12.11.2004, n. 5804).
Si è posto il problema se il consigliere
comunale possa accedere alla visione del progetto in una fase antecedente alla
adozione del piano regolatore.
La giurisprudenza ha escluso tale possibilità
affermando che il consigliere comunale non è titolare del diritto di accesso o
di visione degli elaborati progettuali relativi ad una variante al piano
regolatore generale quando detti elaborati non siano stati ancora recepiti
dalla giunta, rimanendo così al livello di mero studio preliminare. (T.A.R.
Umbria, 21.12.1994, n. 899, in T.A.R., 1995, I, 692).
La giurisprudenza però ammette il diritto del
consigliere comunale alla visione ed all'accesso alla documentazione relativa
alla fase preparatoria della revisione del piano regolatore generale.( T.A.R.
Liguria, sez. I, 3.12.1994, n. 448).
6
L’oggetto del ricorso.
Oggetto del ricorso è l’esibizione dei
documenti richiesti che devono essere esattamente individuati dal richiedente.
L’azione innanzi al giudice amministrativo è tesa ad accertare il diritto di ottenere
l’esibizione degli atti richiesti oltre che la condanna dell’amministrazione
alle spese processuali.
La giurisprudenza
ha dichiarato inammissibile il ricorso
avverso il silenzio-rigetto della Pubblica amministrazione su un'istanza di accesso
agli atti nel caso in cui quest'ultima abbia un oggetto generico e
indeterminato; sia finalizzata ad un controllo generalizzato sull'operato dei
destinatari dell'istanza; per taluni profili non riguardi documenti esistenti,
ma postuli una attività di elaborazione di dati; miri ad un controllo di tipo
investigativo - preventivo. (T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 13.5.2010, n.
210).
Il ricorso deve
essere diretto all’acquisizione di documenti amministrativi detenuti
dall'Amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, e non atti
processuali di parte, la cui visione soggiace alle norme che disciplinano la
trasposizione del ricorso amministrativo in sede giurisdizionale. È legittimo il
diniego di accesso e di estrazione di copia del ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica, opposto dall'Amministrazione al controinteressato
che ne aveva chiesto ed ottenuto la trasposizione in sede giurisdizionale e che
aveva motivato la sua istanza con la necessità di integrare le argomentazioni
già svolte con intervento ad opponendum (T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 10.3.2010,
n. 166 ).
Il ricorso per l’accesso, anche se esperito in via
complementare ad un'azione giurisdizionale, è rivolto ad assicurare la trasparenza dell'attività
amministrativa, sempre a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.
L'interesse alla conoscenza dei documenti
amministrativi costituisce "un bene della vita" autonomo e distinto
rispetto alla situazione legittimante all'impugnazione ovvero ad altra
iniziativa giudiziale.
Tale interesse gode di un autonomo sistema di
protezione giurisdizionale, per il quale sussiste la giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
La pendenza di un altro giudizio, avente ad
oggetto principale la situazione legittimante, lungi dall'essere un fattore
preclusivo, è piuttosto indice sintomatico della correttezza dell'interesse ad
agire (T.A.R. Lazio, sez. II, 8.3.2004, n.
2206).
La tutela, infatti, non appare coordinata con
l’attivazione di poteri alternativi - o gerarchicamente superiori
all’amministrazione emanante o facenti parte dell’ordinamento giudiziario - che
possano risolvere il problema ultimo che è quello di fare adottare il
provvedimento.
Grava sull'interessato il dovere di
indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta di accesso
ovvero gli elementi che ne consentano l'individuazione, con la conseguenza che,
in mancanza di tale indicazione, non è configurabile alcun obbligo
dell'amministrazione
di provvedere
sulla richiesta, ai sensi degli art. 3, comma 2, e 4, d.p.r. 27.6. 1992, n.
352.
E’stato ritenuto legittimo il diniego di accesso
a tutti gli atti amministrativi inerenti il procedimento, motivato sulla
considerazione della mancata specificazione degli atti nei cui confronti si
intendeva esercitare l'accesso. (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 20.3.2006,
n. 1994).
Un salto qualitativo è quello di consentire
un più stretto collegamento tra la fase preparatoria del procedimento e quella
del sindacato giurisdizionale sul provvedimento.
7
L’azione ad exhibendum in pendenza del
processo amministrativo.
Un collegamento tra rimedio giurisdizionale e
fase dell’accesso è sancita dall’art. 116, 2° co., d. lgs. 104/2010, che
consente di porre il ricorso in pendenza di impugnativa.
La norma
prevede che in
pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di
cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria
della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione
all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con
ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che
definisce il giudizio.
Il legislatore ha superato il precedente
orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esperibilità dell’actio ad
exhibendum doveva ritenersi esclusa in pendenza di giudizio, in quanto si
riteneva che il diritto di accesso non potesse riguardare l’acquisizione del
materiale probatorio necessario nel processo amministrativo sottratto alla
disponibilità della parte (Sempreviva M.T. L’accesso ai documenti amministrativi, in Caringella F. (a cura di) Corso
di diritto amministrativo, 2004, 1966).
La decisione presuppone un duplice
accertamento: da un lato, la sussistenza delle condizioni legittimanti
l'accesso ai sensi delle generali previsioni di cui alla l. n. 241 del 1990,
dall'altro, l'astratta pertinenza dei documenti all'oggetto del giudizio
pendente.
La formulazione letterale qualifica
espressamente come istruttoria l'ordinanza tesa a dare risposta all'istanza
sulla quale si innesta, in seno ad un processo già pendente, il ricorso ex art. 116, 2° co., d. lgs. 104/2010.
Il legislatore intende il processo già
pendente non già quale mero contenitore al cui interno inserire, per pure
ragioni di economia processuale, un diverso ed autonomo subprocedimento, bensì,
al contrario, come vertenza principale rispetto alla quale va effettuata la
suddetta valutazione di pertinenza della documentazione non ottenuta in prima
battuta dall'amministrazione (Cons. St., sez. VI, 10.10.2002, n.
5450).
La giurisprudenza si è adeguata al nuovo
principio per cui ne consegue che il diritto di accesso ai documenti
amministrativi prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo, ogniqualvolta
l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di dimostrati interessi
giuridici del richiedente, fatti valere in giudizio.
La giurisprudenza ha precisato che qualora
l’istanza di accesso sia del tutto strumentale all’azione giurisdizionale
esperita dinanzi al T.A.R., la impugnativa per l'accesso deve essere proposta nell'ambito
del predetto giudizio e non già con altro autonomo ricorso.
La disposizione afferma che la impugnativa
delle determinazioni sull'accesso ove si tratti di documenti relativi ad un
ricorso pendente può essere proposta nell'ambito del giudizio già intrapreso
per essere decisa con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio.
La facoltà di accedere alla documentazione in sede di istruttoria sul ricorso già pendente non preclude all'interessato di esperire la specifica actio ad exibendum; ma la scelta tra l'una e l'altra via processuale non può essere rimessa al mero arbitrio del soggetto, dovendo invece sussistere - in relazione alle diverse finalità cui sono preordinati i due procedimenti - i presupposti propri di ciascuno di essi.
La facoltà di accedere alla documentazione in sede di istruttoria sul ricorso già pendente non preclude all'interessato di esperire la specifica actio ad exibendum; ma la scelta tra l'una e l'altra via processuale non può essere rimessa al mero arbitrio del soggetto, dovendo invece sussistere - in relazione alle diverse finalità cui sono preordinati i due procedimenti - i presupposti propri di ciascuno di essi.
Allorquando il soggetto intenda acquisire la
documentazione che a lui occorre per comprovare la illegittimità di un
provvedimento della Amministrazione - già oggetto di un giudizio pendente - la
impugnativa del diniego di accesso (opposto dalla Amministrazione) deve trovare
la sua sede naturale nell'ambito dello stesso giudizio, mentre l'azione, ex art.25, l. 241, si porrebbe in
conflitto con le esigenze di concentrazione e di economia processuale e
concreterebbe inoltre un abuso dello strumento giuridico
La norma semplifica anche le modalità di
patrocinio consentendo alla parte e all’amministrazione di stare in giudizio personalmente.
La norma prevede che l'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un
proprio dipendente a ciò autorizzato,
ex art. 116, 2° co., d. lgs. 104/2010.
La notifica del ricorso nei confronti di una
amministrazione statale deve essere in ogni caso effettuata presso l’Avvocatura
dello Stato.
La giurisprudenza ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei
confronti di un'amministrazione statale, che non sia stato ad essa notificato
presso l'Avvocatura dello Stato, salvi gli effetti di sanatoria derivanti
dall'eventuale costituzione in giudizio dell'amministrazione stessa.
L'introduzione della possibilità per le
amministrazioni statali di stare in giudizio per mezzo di un proprio dipendente
nelle controversie in materia di accesso, operata dall'art. 4, l. n. 205/2000,
non ha abrogato le disposizioni sulla notificazione degli atti alle
amministrazioni statali.
La rinuncia al patrocinio tecnico ha natura
facoltativa e dunque, come frutto di una scelta discrezionale, formulabile solo
successivamente all'introduzione del giudizio da parte del ricorrente; questa è
pienamente compatibile col regime ordinario delle notifiche (Cons. St., sez. IV, 23.1.2003, n. 257).
8
I terzi controinteressati.
La legge codifica la presenza nel processo di
uno o più soggetti che possono essere lesi dalla richiesta di accesso.
La dottrina definisce controinteressato nel
giudizio amministrativo quel soggetto titolare di un interesse che lo ponga in
veste di contraddittore necessario del ricorrente e che, pertanto, deve essere
informato della presentazione del ricorso.
Il ricorso deve essere notificato a chi
comunque ritragga un vantaggio personale, diretto ed attuale dal provvedimento,
il cui annullamento viene ex adverso invocato (Perfetti L. R., Corso
di diritto amministrativo, 2006, 512).
La norma definisce espressamente quelli che
devono considerarsi i terzi controinteressati individuandoli in coloro che
possono essere lesi, attraverso l’esercizio all’accesso del ricorrente, nel
loro diritto alla privacy.
Si intendono per controinteressati, tutti i soggetti,
individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento
richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza, ex art.
22, l. 7.8.1990, n. 241, mod. art. 15, l. 15/2005.
Nella disciplina dell’accesso il ricorrente
deve tenere in debita considerazione la situazione dei terzi interessati al
provvedimento per valutare la loro posizione di controinteressati, al fine
della notifica del ricorso.
La
giurisprudenza ha precisato che l’apprezzamento circa la sussistenza di profili
di tutela del diritto alla riservatezza della sfera personale e il connesso
giudizio di bilanciamento con l'esercizio del diritto di accesso non
possono essere condotti senza che venga assicurato il contraddittorio con il soggetto al
quale si riferiscono i dati richiesti. (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 3.11.2009,
n. 10730 ).
Il ricorso avverso
il diniego, esplicito o tacito, dell'accesso deve essere notificato ai soggetti
cui si riferiscono gli atti oggetto di accesso. Nel caso di notifica a soli due
controinteressati, a fronte di un numero elevato di essi, va integrato il contraddittorio,
anche mediante la notifica del ricorso per pubblici proclami (T.A.R. Lazio
Roma, sez. III, 12.11.2009, n. 11094 ).
La giurisprudenza non è unanime nel definire le
conseguenze della mancata notifica al terzo controinteressato.
Secondo un indirizzo essa determina
l’inammissibilità del ricorso con conseguente eventuale annullamento della
decisione presa dal giudice amministrativo. Nel giudizio sull'accesso ai
documenti amministrativi che coinvolgano aspetti di riservatezza di un altro
soggetto, sono considerati controinteressati in senso tecnico coloro cui si
riferiscono i documenti richiesti.
Pertanto, il ricorso proposto ai sensi
dell'art. 25, l. n. 241 del 1990 deve essere notificato a tutti i
controinteressati e la mancata integrazione del contraddittorio in primo grado
costituisce vizio di procedura, che determina l'annullamento della sentenza con
rinvio al primo giudice (Cons. St., sez.
VI, 18.11.2000, n. 6012).
La dottrina si schiera per l’inammissibilità
del ricorso soprattutto dopo che l’art. 15, l. 15/2005, espressamente codifica
la presenza di detti soggetti nell’azione ad exhibendum (Mezzocampo S., Il
diritto di accesso. Entrata in vigore solo dopo il regolamento, in Guida Dir., n. 10, 2005, 86).
Altro orientamento giurisprudenziale, pur
considerando i terzi contraddittori necessari, non ritiene che la mancata
notificazione del ricorso determini la dichiarazione della sua inammissibilità.
Infatti, dovendosi il diritto di accesso
configurare alla stregua di un autonomo diritto soggettivo all'informazione, si
seguono nelle relative controversie le regole proprie delle questioni sui
diritti soggettivi, anche sotto il profilo processuale.
Si deve applicare l'art. 102, c.p.c., ed il
giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio, configurandosi
un'ipotesi di litisconsorzio necessario, atteso che il rapporto giuridico
controverso è comune a più parti e necessita di una pronuncia inscindibile. Si afferma che il giudizio introdotto con il
ricorso previsto a tutela del diritto di accesso ai documenti amministrativi, ex art. 25, l. 241 del 1990, ha natura
impugnatoria di un provvedimento autoritativo di diniego (o dell'inerzia)
dell'amministrazione, per cui tale giudizio è sottoposto alla generale
disciplina del processo amministrativo; ne consegue che il ricorso deve essere
notificato a pena di inammissibilità tanto all'organo che ha emanato l'atto
impugnato quanto ai controinteressati, i quali debbono considerarsi i soggetti
determinati cui si riferiscano i documenti richiesti, nel termine perentorio di
trenta giorni fissato dalla legge.
E', infatti, comunque ravvisabile una
posizione di interesse legittimo, tutelata dall'art. 103 cost., quando un
provvedimento amministrativo è impugnabile come di regola entro un termine
perentorio; e ciò anche se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune,
sono più spesso definite come di diritto. Nella fattispecie il Consiglio di
Stato non ha peraltro dichiarato inammissibile il gravame non notificato al
controinteressato, ma ha concesso d'ufficio al ricorrente il beneficio della
rimessione in termini, per errore scusabile, ai fini dell'effettuazione di
detta notificazione, annullando con rinvio la sentenza di primo grado
(Cons. Stato, A. P., 24.6.1999, n. 16).
L’art.
116, 1° co., d.lgs. 104/2010, afferma che si deve applicare
l'art. 49 della stessa legge che ordina l’integrazione del
contradditorio qualora il ricorso sia notificato solo ad uno dei
controinteressati.
Resta
il fatto che, in carenza di notifica ad almeno uno dei controinteressati, il
ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
9
Il silenzio rifiuto alla domanda di accesso.
La mancata risposta dell’amministrazione si
concretizza in un silenzio diniego una volta che siano trascorsi inutilmente
trenta giorni dal momento della richiesta.
In caso di diniego espresso o tacito la richiesta
può essere riesaminata dal difensore civico o alternativamente esso può essere
impugnato al T.A.R. (Forlenza O., Difensore
civico, tutela alternativa al giudice,
in Guida Dir., 2005,
96).
Contro
le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti
amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della
determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante
notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati., ex art.
116, 1° co., d.lgs. 104/2010
La giurisprudenza ha precisato che il termine
dei trenta giorni decorre dal momento in
cui si è concretizzato l’inadempimento ossia trenta giorni dopo la
presentazione dell’istanza.
Ai sensi dell'art. 25, 4° co., l. 7.8.1990,
n. 241, il silenzio serbato per trenta giorni dall'amministrazione destinataria
di motivata istanza di accesso ai documenti è normativamente equiparato al
rifiuto di accesso; pertanto, ai sensi del successivo art. 25, 5° co., l.
7.8.1990, n. 241, il termine entro cui è dato ricorrere al giudice
amministrativo è di trenta giorni anche nei casi in cui siano decorsi
inutilmente i trenta giorni dalla richiesta, intendendosi questa come rifiutata
(T.A.R. Molise, 8.10.1997, n. 205).
Non è necessaria da parte del ricorrente la proposizione
di una specifica diffida.
Per la giurisprudenza la fattispecie
del silenzio rifiuto si forma in seguito al comportamento inerte
dell'amministrazione per il termine di 30 giorni dalla richiesta di accesso
alla documentazione amministrativa, senza che all'uopo sia necessario un
apposito atto di diffida; pertanto, deve essere considerato inammissibile il
ricorso presentato oltre il termine decadenziale di trenta giorni, decorrente
dal momento in cui deve considerarsi formato il silenzio rifiuto. (T.A.R.
Abruzzo L'Aquila, 27.3.2002, n. 139).
La giurisprudenza ha precisato che, nel caso
in cui l'interessato si sia rivolto al difensore civico, il termine per il
ricorso giurisdizionale decorre dalla data di ricevimento della determinazione
adottata dal difensore civico sulla sua istanza, secondo il disposto del comma
4 del citato art. 25, fermo restando che l'onere di allegare e provare la data
di ricezione della suddetta decisione adottata dal difensore civico incombe sul
ricorrente cui sia eccepita la tardività nella presentazione del ricorso (T.A.R. Campania Napoli, sez. V,
26.10.2004, n. 15415).
Al procedimento giurisdizionale di accesso
alla documentazione amministrativa è applicabile la sospensione feriale dei
termini processuali.
La sospensione feriale dei termini
processuali - prevista dalla l. 7.10.1969, n. 742, art. 5 - è applicabile al
procedimento giurisdizionale di accesso alla documentazione amministrativa
disciplinato dall'art. 25, l. 7.8. 1990, n. 241, non essendo ad esso
applicabile in via analogica la disposizione eccezionale circa la non
sospendibilità dei termini del procedimento cautelare per la sospensione degli
effetti del provvedimento impugnato (Cons. St., sez. V, 27.9.2004, n. 6326).
9.1
Il
termine per proporre ricorso.
Il termine, fissato dall'art. 25, l.
7.8.1990, n. 241, mod. art. 116, d. lgs. 104/2010, per proporre ricorso contro
il diniego di accesso ai documenti ha natura perentoria.
Qualora tale scadenza sia decorsa, l'azione
giurisdizionale a tutela della stessa posizione deve intendersi preclusa.
Una interpretazione giurisprudenziale ritiene
che la mancata presentazione del ricorso nei termini prescritti precluda la
tutela giurisdizionale in relazione a quella specifica istanza, ma non escluda
la possibilità di riproporre una ulteriore richiesta - attesa la natura di
diritto soggettivo della situazione legittimante - anche per il medesimo
oggetto, che consente di azionare legittimamente nei termini il silenzio
dell’amministrazione.
Il decorso del termine di trenta giorni per
la proposizione del ricorso non impedisce la presentazione di un'ulteriore
istanza d'accesso, che comporta l'obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi
nuovamente; inoltre, un eventuale secondo rigetto determina la riapertura del
termine per la proposizione del ricorso, in quanto la facoltà di accesso ha
natura non di interesse legittimo ma di diritto soggettivo e la sua tutela non
può essere subordinata ad un termine di decadenza (T.A.R. Piemonte, sez. II,
11.10.2004, n. 2232).
La tesi è da condividere poiché il silenzio
serbato dalla amministrazione sulla prima istanza di accesso non concretizza
alcun provvedimento fittizio, idoneo ad esplicare effetti sostanziali - da
rimuoversi a mezzo di tempestiva impugnazione nel termine di legge - quindi,
non si determinano effetti estintivi del potere-dovere della amministrazione di
pronunciarsi sulla domanda di accesso, ove permanga l'interesse del privato
all'esercizio di detto potere.
L’interesse all’accesso può essere fatto
valere attraverso la reiterazione della domanda di accesso e, nel caso di
inadempienza, attraverso l'attivazione della tutela giurisdizionale per
ottenere l'eliminazione degli effetti del silenzio inadempimento (T.A.R. Lazio,
sez. II, 30.10.1997, n. 1720, T.A.R., 1997, 3888).
L’orientamento non è, però, univoco e un
ulteriore indirizzo non ammette la nuova proposizione dell’istanza di accesso,
ma la tesi non si coniuga con l’obbligo dell’amministrazione a provvedere.
Secondo altra giurisprudenza con la
ripresentazione dell'istanza di accesso l'azione processuale risulterebbe
proponibile, ad arbitrio dell'interessato, senza alcun limite temporale (Cons.
St., sez. V, 12.12.1997, n. 1537).
Tale interpretazione non è da condividere,
poiché preclude la possibilità di intervenire sul procedimento che, nello
spirito del legislatore, deve ritenersi esperibile fino alla fase obbligatoria
della adozione del relativo provvedimento.
Il diritto al provvedimento giustifica la
proposizione di istanze di accesso che non concretizzano un esercizio
arbitrario del potere di intervento, ma che, al contrario - in relazione al
principio dell’economicità e della celerità dell’azione amministrativa - sono
un necessario stimolo all’esercizio del potere amministrativo.
E’ interesse pubblico, infatti, che si
concluda il procedimento che può giungere a determinazioni anche in difformità
dalla richiesta dell’interessato.
Il T.A.R. decide entro trenta giorni dalla
scadenza del termine per il deposito, in camera di consiglio, sentiti i
difensori che ne abbiano fatto richiesta.
La giurisprudenza ha precisato che le deroghe
introdotte dall'art. 25, l. n. 241 del 1990, in materia di termini processuali
sono da considerarsi di carattere eccezionale. Per il deposito del ricorso -
anche incidentale - trova applicazione il termine ordinario di trenta giorni
dall'ultima notifica; di conseguenza è inammissibile porre in decisione il
ricorso prima dello spirare di detto termine (Cons. St., sez. VI, 16.12.1998,
n. 1683, GI, 1999, 849).
Sotto il profilo sostanziale è stato
dichiarato improcedibile il ricorso avverso il silenzio-rifiuto, quando
l'amministrazione abbia emesso, sia pure in ritardo rispetto al termine
assegnatole dalla legge, un provvedimento espresso sull'istanza di accesso (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 9.9.2004,
n. 3881).
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