1
La tutela cautelare.
La dottrina riconosce in via di principio la
possibilità della tutela cautelare nell’ambito del ricorso per l’accesso agli
atti amministrativi.
Tale impostazione nella pratica trova scarso
consenso poiché la procedura ex art. 25, l. 241/1990, è scandita da
termini ridotti.
Essi difficilmente consentono la creazione di
presupposti per una tutela cautelare che, presupponendo il pericolo del danno
grave ed irreparabile, si configura di difficile attuazione.
Si tratta, infatti, di imporre il diritto di
accesso con una misura acceleratoria da valutarsi caso per caso dal giudice
amministrativo.
Per la dottrina la comparazione degli
interessi, alla luce della irreparabilità del pregiudizio subito da chi ha
interesse contrario all'accesso e della tendenziale possibilità di successiva
soddisfazione della pretesa all’ostensione, dovrebbe limitare a casi marginali,
caratterizzati da profili particolarmente eclatanti di giudizio, l’accoglimento
dell’istanza cautelare avverso un diniego di accesso (Sempreviva M.T., L’accesso ai documenti
amministrativi,
in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004,
1955).
La giurisprudenza nega l’ammissibilità di
domande cautelari nel rito ex art. 25, l. 241/1990, ritenendo inammissibile
il ricorso cautelare urgente a protezione del diritto di accesso ai documenti
amministrativi la cui tutela è rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (Trib. Brindisi, 22.12.2000).
2
La sentenza di condanna.
La violazione del diritto all’accesso
comporta la condanna dell’amministrazione all’esibizione dei documenti. Secondo
la giurisprudenza l'azione per il giudizio di cui all'art. 25, 5° co. della l.
241/1990 è costruita non come demolitoria di atti amministrativi, bensì come
accertamento del diritto fatto valere dal privato e come condanna
dell'amministrazione. L'azione proposta in sede di giudizio amministrativo a
tutela del diritto di accesso ai documenti è intesa non già alla demolizione di
atti amministrativi, bensì all'accertamento del diritto fatto valere e alla
condanna dell'Amministrazione ad esibire i documenti richiesti; pertanto,
qualora i terzi sul cui diritto alla riservatezza la domanda incide sono
contraddittori necessari, la mancata notifica agli stessi del ricorso determina
non già l'inammissibilità del gravame (proprio per la qualificazione
dell'accesso come autonomo diritto soggettivo), bensì la sola necessità di
integrazione del contraddittorio (T.A.R. Lazio, sez. II, 13.10.1999, n.
1904).
La condanna dell’amministrazione
all’esibizione dei documenti è vista dalla dottrina come eccezione al principio
generale che vieta di imporre un facere alle pubbliche amministrazioni (Parisio V., I silenzi della pubblica
amministrazione 1996, 119).
Non si concorda con tale impostazione, ma,
conformemente alla giurisprudenza, si ritiene che il diritto di accesso si
configuri come giudizio di accertamento sulla sussistenza, in capo al
richiedente, del diritto all'informazione (Cons. St., sez. IV, 11.6.1997, n.
643).
L’amministrazione, inoltre, deve essere
condannata al pagamento delle spese del relativo giudizio.
La
giurisprudenza ha precisato che, in base al principio della soccombenza
virtuale, deve essere condannata alle spese di giudizio l'amministrazione che,
soltanto successivamente alla notifica e al deposito del ricorso avverso il
silenzio serbato sull'istanza di accesso, ex
art. 25, l. 7 agosto 1990 n. 241, abbia comunicato l'accoglimento dell'istanza
determinando l'estinzione del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse.
(T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 24.5.2007, n. 388 ).
3
Il risarcimento del danno.
L’art. 30, d.lgs.
104/2004, afferma che può essere
chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto di natura patrimoniale
derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal
mancato esercizio di quella obbligatoria.
La dottrina non ritiene ammissibile la
domanda di risarcimento nel caso di negato accesso al procedimento
amministrativo se tale domanda è posta col rito accelerato anziché con quello
ordinario. (Caringella F.,
Corso di diritto processuale
amministrativo,
2005, 919).
Per
la giurisprudenza il rito delineato nella disposizione citata, infatti,
consente soltanto la tutela giurisdizionale del diritto di accesso alla
documentazione amministrativa, non ammettendo la introduzione di domande
diverse da quelle dirette all'accesso stesso. In ogni caso, va osservato che,
al limite, connessa e consequenziale alla richiesta di accesso potrebbe
ritenersi soltanto la domanda per risarcimento dei danni derivanti dalla
mancata (o tempestiva) ostensione, mentre esulerebbe in ogni caso la domanda di
risarcimento dei danni derivanti quale conseguenza degli effetti (non già del
negato o ritardato accesso, ma) degli atti dei quali si chiede l'accesso,
ritenuti illeciti e/o illegittimi, in quanto violativi del diritto alla
riservatezza e alla segretezza professionale.( Cons. Stato, sez. IV 10.8.2004
n. 5514).
4
L’appello al Consiglio di Stato.
La decisione del giudice amministrativo è
appellabile entro trenta giorni dalla notifica al Consiglio di Stato da parte
di tutte le sole parti necessarie anche non costituite.
Il Consiglio può confermare la decisione
impugnata ovvero annullarla senza rinvio o annullarla rinviando la controversia
al T.A.R, ex art. 105, d. lgs. 104/2010.
Il giudice d'appello, rilevata
l'incompletezza del contraddittorio in primo grado, configurandosi una ipotesi
di litisconsorzio necessario, deve annullare la decisione con rinvio degli atti
al primo giudice ex art. 354, c.p.c. (Cons. St., sez. IV, 11.6.1997, n. 643).
Sono previsti tempi strettissimi per
l’appello che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica formale
della sentenza. Si applicano infatti, i termini previsti per il giudizio di
primo grado, ex art. 116, 5° co.,
d.lgs., 104/2010.
La giurisprudenza ha precisato che i termini
per la proposizione dell'appello contro le sentenze rese dal T.A.R. in materia
di diritto di accesso sono stabiliti in trenta giorni, decorrenti dalla
notifica, dall'art. 25, 5° co., l. 7.8.1990, n. 241.
E’ irricevibile l'appello notificato il
sessantesimo giorno dalla notifica all'amministrazione della sentenza di prime
cure (Cons. St., sez. IV, 10.2.2000, n.
709).
La mancata notifica della sentenza non
comporta la riduzione del termine annuale di decadenza a partire dalla
produzione dell’atto di appello (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. consult.,
3.6.1999, n. 247, in Cons. St., 1999, I, 1033).
Subisce riduzione il termini per il deposito
dell’atto di appello applicandosi il rito camerale, ex art. 87, d.lgs. 104/2010.
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