Englaro. Risarcimento del danno
ingiusto
Un risarcimento di 133mila euro a
favore di Beppino Englaro, il padre di Eluana, la giovane morta nel 2009 dopo
17 anni trascorsi in stato vegetativo in seguito a un incidente stradale. E’ la
cifra che la Regione Lombardia dovrà pagare in seguito a una sentenza del
Consiglio di Stato; il verdetto quanto era già stato stabilito dal Tar della
Lombardia. La decisione scaturisce dal rifiuto della lombardia in una struttura
dove Eluana avrebbe dovuto essere accompagnata alla morte o la sospensione
dell’alimentazione e dell’idratazione forzate che la tenevano in vita.
E a differenza del suo
predecessore Roberto Formigoni, ora il governatore lombardo Roberto Maroni,
annuncia un cambio di rotta. «Daremo corso alla sentenza» ha detto Maroni a
margine di un appuntamento istituzionale. La regione rinuncia così a un appello
in Cassazione e accetta di risarcire la famiglia Englaro. La battaglia legale
Nel 2009, dove una interminabile
battaglia giudiziaria, Beppino Englaro aveva ottenuto il sì da parte della
magistratura a spegnere le macchine che tenevano in vita sua figlia che era
ricoverata in una casa di cura di Lecco. A quel punto però, sia la casa di cura
(un istituto religioso) sia la Regione si erano opposti all’applicazione della
sentenza. I familiari di Eluana erano stati così costretti a trasferire la
ragazza alla casa di cura «La quiete» di Udine; qui Eluana era morta il 9
febbraio del 2009. Beppino Englaro riuscì a dimostrare davanti ai giudici che
sua figlia, quando ancora era in vita e sana, aveva manifestato il desiderio,
in caso di un incidente o una malattia, di non essere tenuta in vita
artificialmente. Ma la Regione Lombardia si era opposta all’applicazione della
volontà della famiglia Englaro.
«Non poteva ragionevolmente porsi
in dubbio l’obbligo della Regione di adottare tramite proprie strutture le
misure corrispondenti al consenso informato espresso dalla persona» hanno
scritto i giudici amministrativi di secondo grado. E ancora: «Non potevano
sussistere seri dubbi circa la portata dell’obbligo della Regione di provvedere
a fornire la necessaria prestazione sanitaria, nel rispetto dell’accertato
diritto della persone assistita all’autodeterminazione terapeutica, presso una
delle strutture sanitarie regionali». La Lombardia «pertanto, era tenuta a
continuare a fornirle la propria prestazione sanitaria, in modo diverso
rispetto al passato, dando doverosa attuazione alla volontà espressa dalla
stessa persona assistita, nell’esercizio del proprio diritto fondamentale
all’autodeterminazione terapeutica». corriere.it/cronache/17_giugno_21/
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