1.1
PARTE PRIMA LA
PIANIFICAZIONE
CAPITOLO I Le
fonti.
SOMMARIO: 1. Le fonti normative dei vincoli di piano.
Dalla legge urbanistica ai tt.uu. in materia di edilizia e di espropriazioni.
2. Le fonti normative dei vincoli ex lege alla
proprietà privata. Caratteristiche.
3. La disciplina del procedimento amministrativo. Il
legittimato all’accesso al procedimento.
4. La comunicazione dell’avvio del procedimento.
5. L’illegittimità del provvedimento finale.
6. L’accesso al procedimento pianificatorio.
1. Le
fonti normative dei vincoli di piano. Dalla legge urbanistica ai tt.uu. in
materia di edilizia e di espropriazioni.
LEGISLAZIONE: l.
urb. 1150/1942, artt. 5, 7 - l. 167/1962, art. 9 - l. 5.8.1975, n. 412, art. 10
- d.p.r. n. 218/1978, art. 51 - d.lg. 18.8.2000, n. 267. art. 20 - d.p.r.
8.6.2001, n. 327, art. 9.
Il vincolo è un
obbligo che ci costringe a realizzare un determinato comportamento.
Il concetto
legato alla proprietà fondiaria realizza una costrizione e una limitazione
all’esplicarsi del diritto del proprietario.
Ad esso,
infatti, è riconosciuto dall’ordinamento un diritto di disporre in maniera
esclusiva del proprio bene.
La legislazione
ha regolato l’utilizzo della proprietà, ponendo al proprietario degli schemi
preordinati di utilizzo del suo diritto, che deve essere esplicato in
conformità alle leggi di pianificazione urbanistica e delle altre leggi
speciali che ne regolano le modalità di realizzazione.
La dottrina
evidenzia il progressivo svuotamento delle funzioni originariamente attribuite
alla proprietà.
E’ divenuto quasi un luogo comune ricordare come il
contenuto e la posizione istituzionale della proprietà immobiliare siano
alquanto mutate a partire da un mitico tempo in cui il proprietario poteva
dirsi despota, più realizzato, mentre appaiono molto concrete le liste di
restrizioni che la disciplina urbanistica ambientale, ovvero di carattere
sociale, rovesciano sul capo del singolo proprietario teorico
(Gambaro 1995, 242).
La legge
urbanistica 1150/1942 definisce i vincoli che la pianificazione territoriale
può imporre alla proprietà privata.
La legislazione
individua tre tipi di vincolo.
Essi sono
imposti dalla programmazione sovraterritoriale, da quella generale e da quella
attuativa, artt. 5 ss., l. urb. 1150/1942.
Sotto il profilo
delle competenze sono coinvolte tre diverse autorità: quella regionale e
provinciale che hanno la funzione di approvare i piani territoriali di
coordinamento e quella comunale che ha la funzione di approvare i piani
generali e quelli attuativi.
La
subordinazione del potere pianificatorio a diverse autorità determina l’effetto
di non rendere direttamente applicabili i vincoli relativi alla pianificazione
territoriale sovracomunale ai soggetti direttamente interessati.
Sono, infatti, i
comuni che devono adeguare la loro programmazione agli indirizzi del piano
territoriale.
L’autorità
comunale, di fatto, diviene arbitra dei destini del suo territorio.
Il comune ha,
infatti, il potere di dotarsi di piano, ha il potere di adeguarlo ai dettami
della pianificazione territoriale, ha, infine, il potere di reprimere
l’abusivismo edilizio senza che la regione sia garante dell’attuazione del
processo pianificatorio conformemente agli indirizzi da essa imposti.
Le regioni non
hanno fatto grande utilizzo degli strumenti di pianificazione, poiché le
risorse e la pianificazione delle grandi opere infrastrutturali competono ad
altri soggetti.
Con
l’introduzione del potere programmatorio alle province sicuramente vi è stato
un maggiore coinvolgimento degli enti locali nella pianificazione sovracomunale
con una maggiore rispondenza dei livelli pianificatori, art. 20, d.lg.
18.8.2000, n. 267.
Le grandi opere
infrastrutturali sono in ogni caso realizzate attraverso programmi speciali
legati a finanziamenti statali che necessariamente derogano alle scansioni
procedurali della pianificazione urbanistica comunale.
Il potere
pianificatorio sovracomunale incide comunque sulle posizioni giuridiche dei
destinatari in maniera sostanzialmente diversa da quello comunale.
Il piano
sovraordinato si dirige verso l’ente subordinato imponendogli di recepire il
piano.
Le disposizioni
del piano sovraordinato incidono solo indirettamente sulle posizioni dei terzi.
Il comune deve
opporre alle richieste contrarie alle disposizioni di piano sovracomunale
presentate dai proprietari - che sono comunque terzi rispetto alle disposizioni
dello stesso piano - l’applicazione delle misure di salvaguardia disposte dalla
normativa regionale.
La
pianificazione comunale generale, invece, vincola direttamente le aree
imponendo ai destinatari prima le misure di salvaguardia e poi i vincoli di
piano.
La normativa dei
vincoli di piano, redatti in primo momento a tempo indeterminato, è stata
successivamente verificata alla luce dei principi costituzionali che tutelano
la proprietà privata, Vedi Cap. III.
Il vincolo di
piano generale ha la durata quinquennale come riafferma l’art. 9, d.p.r.
8.6.2001, n. 327.
Se
l’amministrazione non procede all’attuazione di quella porzione di piano
soggetta al vincolo, le ipotesi che si possono verificare sono le seguenti.
L’amministrazione
non attua il piano e deve reiterare i vincoli stessi pagando il relativo
indennizzo oppure può giungere ad una pianificazione attuativa.
La
pianificazione attuativa, di fatto, proroga i vincoli di piano.
Il legislatore,
infatti, attribuisce all’amministrazione un ulteriore termine per giungere ad
attuare il piano secondo una pianificazione di dettaglio che presenta forme
diverse di intervento, Vedi Cap. V.
Il piano
particolareggiato che è lo strumento principale di attuazione ha una durata
decennale.
Altre forme
attuative, come, ad esempio, il comparto edificatorio, impongono ai proprietari
l’esecuzione unitaria degli interventi che riguardano una determinata zona.
Vincoli particolari
sono posti dai piani di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente che limitano l’attività edificatoria in attesa della individuazione
delle aree di recupero comunale.
La stessa
lottizzazione del territorio, che è piano esecutivo di iniziativa privata
comporta la obbligatorietà per i lottizzanti ed i loro aventi causa ad eseguire
gli interventi previsti dal piano.
L’amministrazione
per contro è tenuta a valutare la convenzione di lottizzazione nel provvedere
successivamente alla modifica della pianificazione urbanistica comunale.
L’imposizione
dei vincoli di piano attraverso una pianificazione attuativa a gestione
pubblica comporta effetti diversi essendo prodromica all’espropriazione delle
arre soggette al vincolo, Vedi Cap. VI.
Il piano di zona
è lo strumento esecutivo che dà un particolare vincolo alle aree da esse
comprese che sono destinate solo all’esecuzione di interventi di edilizia
residenziale pubblica, imponendo l’obbligatorietà dell’intervento ablatorio
nella sua attuazione, ex art. 9, l. 167/1962.
Altri interventi
a contenuto speciale sono il provvedimento di individuazione delle aree
necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia scolastica, l. 5.8.1975,
n. 412, art. 10, e il piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo
industriale, d.p.r. n. 218/1978, art. 51.
Le posizioni
giuridiche dei privati si espandono legittimamente solo dopo che viene a
scadere il termine dato dal legislatore all’amministrazione comunale per
tradurre in interventi sul territorio la pianificazione attuativa.
2. Le
fonti normative dei vincoli ex lege alla proprietà privata. Caratteristiche.
LEGISLAZIONE: cost.
art. 23 - ex t.u. 25.7.1904, n. 523, art. 96, lett. f) - r.d. 27.7.1934, n.
1265, art. 338 - r.d. 30.3.1942, n. 327, artt. 28, 55, 715 - l. 1150/1942, art.
40 - l. 4.2.1963, n. 58, art. 1 - l. 475/1968, art. 1 - d.p.r. 11.7.1980, n.
753, art. 49 - d.p.r. 24.5.1988, n. 236, art. 6 - d.p.c.m. 23.4.1992 - d.p.r.
16.12.1992, n. 495, artt. 26, 28 - d.lg. 29.10.1999, n. 490, artt. 49, 146 - l.
22.11.2000, n. 353, art. 10 - l. 21.2.2001, n. 36 - d.lg. 22.1.2004, n. 41,
artt. 45, 142.
Il principio
costituzionale sancito dall'art. 23 afferma che nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Da questo
principio deriva l’impossibilità di comprimere l’esercizio del diritto di
proprietà al di fuori di disposizioni di legge che, direttamente o attraverso
l’esercizio dell’azione amministrativa, consentono la compressione dei diritti
dei proprietari.
La proprietà di
questi beni, pur rimanendo nominativamente rapportata alla disponibilità del
privato, può essere limitata per la forte presenza d’interessi pubblici che li
caratterizzano (Centofanti 2003, 116).
Caratteristica
comune di questi vincoli e che essi comprimono il diritto di proprietà di quei
beni che si trovano nella situazione prevista dalla legge, non consentendo al
proprietario l’esercizio di quelle attività che normalmente egli può porre in
essere.
Egli, infatti,
non può edificare in via assoluta o deve tenere determinate distanze ovvero
ristrutturare o modificare il bene o realizzare determinate cautele.
La ratio
delle limitazioni è spesso la vicinanza delle proprietà private a beni
appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato o degli enti
pubblici.
La ragione di queste limitazioni alla proprietà privata
consiste sempre in un rapporto tra bene privato e bene demaniale che svolge,
per sua natura, una funzione di pubblica utilità, o bene privato che svolge
parimenti una pubblica funzione
(Mengoli 2003, 528).
Tali vincoli
devono trovare fondamento in una disposizione di legge che direttamente o
attraverso l’instaurazione di un procedimento amministrativo consente le
limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà.
La legislazione
speciale regola questi limiti posti alla proprietà privata.
I vincoli
ambientali sono sicuramente la tipologia più rilevante.
Essi sono stati
introdotti con la l. l497/1939 e ribaditi dall’art. 146, d.lg. 29.10.1999, n.
490, mod. art. 142, d.lg. 22.1.2004, n. 41.
Tali vincoli
comportano il divieto assoluto di edificabilità, che persiste fino
all’approvazione formale del piano paesistico regionale.
A rafforzamento
di tali vincoli si pone quello che allo scopo di combattere il fenomeno degli
incendi dolosi finalizzati a trovare aree idonee all’attività edificatoria a
fini speculativi; la norma sancisce il divieto di edificazione nei suoli
interessati da incendi per almeno dieci anni dal verificarsi del fatto, ex art.
10, l. 22.11.2000, n. 353.
1.2
I
vincoli di rispetto delle distanze nel patrimonio artistico fissano speciali
distanze per le costruzioni da beni aventi particolare interesse storico od
artistico, ma attribuiscono, in ogni modo, al Ministero per i beni e le
attività culturali il potere di stabilire le distanze tese a proteggere
l’immobile da interventi ritenuti dannosi, ex art. 49, d.lg. 29.10.1999, n. 490
art. 49, mod. art. 45, d.lg. 22.1.2004, n. 41.
A tale categoria
di vincoli si possono comprendere anche quelli imposti dall’art. 338, r.d.
27.7.1934, n. 1265, per la realizzazione di cimiteri.
La categoria principale dei vincoli riguarda quelli
che impongono, generalmente per ragioni di sicurezza, di tenere una certa
distanza nell’eseguire delle costruzioni, qualora le stesse confinino con
determinate opere.
I vincoli
aeronautici impediscono la realizzazione di costruzioni in prossimità di
impianti aeronautici, ex art. 715, r.d. 30.3.1942, n. 327, mod. art. 1, l.
4.2.1963, n. 58.
I vincoli
stradali, disposti dal d.p.r. 16.12.1992, n. 495, artt. 26, 28, non consentono
la realizzazione di opere in vicinanza delle strade variando i limiti di
rispetto in rapporto alla classificazione delle strade.
I vincoli
ferroviari tutelano le distanze dalle ferrovie onde garantire la sicurezza dei
trasporti via treno, ex d.p.r. 11.7.1980, n. 753, art. 49.
I vincoli di
rispetto delle distanze dalle acque pubbliche garantiscono la tutela delle
acque, escludendo che interventi edificatori o di compromissione del terreno
circostante ne riducano la efficienza, ex t.u. 25.7.1904, n. 523, art. 96,
lett. f).
I vincoli di
rispetto delle distanze dalle acque per consumo umano, garantiscono
l’igiene e tutelano la salute degli utenti impedendo interventi che ne
compromettano la sicurezza, ex d.p.r. 24.5.1988, n. 236, art. 6.
I vincoli di rispetto delle distanze dal demanio
marittimo vietano - senza autorizzazione dell’autorità competente -
l’esecuzione di nuove opere entro una determinata zona di rispetto, ex r.d.
30.3.1942, n. 327, artt. 28, 55.
Altri vincoli
sono disposti per garantire l’esercizio di attività economiche che potrebbero
essere compromesse dal sovraffollamento delle stesse ove esse sono già
presenti.
Così è
regolamentato il numero delle autorizzazioni per le farmacie in rapporto al
numero degli abitanti del comune, ex art. 1, l. n. 475 del 1968.
Altri vincoli
sono posti per garantire la sicurezza degli abitati rispetto ad impianti od
attività che possono causare danni alla salute degli abitanti.
In tal caso gli
elementi forniti dalla scienza contribuiscono in maniera sempre più frequente a
stabilire nuove tutele fra le attività svolte e gli insediamenti residenziali.
La l. 21.2.2001,
n. 36 - attuata con il d.p.c.m 8.7.2002, GU, 29.8.2003 n. 199, e il
d.p.c.m 8.7.2002, GU, 29.8.2003 n. 200 - definisce i limiti di
esposizione, i valori di attenzione, gli obiettivi di qualità e i parametri per
la previsione di fasce di rispetto per gi elettrodotti a tutela della salute,
ponendo un limite alla concessione dell’autorizzazione ad opere realizzate
nelle loro vicinanze.
Tali vincoli
imposti direttamente dalla legge differiscono da quelli che trovano fonte nelle
norme urbanistiche, ai sensi dell’art. 40, l. 1150/1942.
Il privato
soggetto al vincolo ha un interesse legittimo alla legalità dell’azione
amministrativa essendo la sua posizione giuridica soggettiva compressa dalle
norme che la regolano.
E’ la norma
stessa che determina la situazione di limitazione dell’espandersi del diritto
soggettivo, che permane finché si protrae la fattispecie configurata.
La generalità
della disposizione fa sì che i beni ad essa soggetti siano compresi in una
unica categoria che trova uniforme disciplina; ciò giustifica il regime di
appartenenza e il mancato pagamento di un indennizzo per la compressione.
Per tale
ragione, di regola, non si prevede il pagamento di una indennità per queste
limitazioni.
Le limitazioni in oggetto si riferiscono come
previsione generale, a tutti gli immobili e non comportano alcun sacrificio
particolare delle proprietà private, le quali, potenzialmente, vi sono tutte
soggette: non possono essere qualificare, pertanto, come vincoli di
inedificabilità preordinati all’edificazione, soggetti a decadenza quinquennale
non comportano l’obbligo dell’indennizzo
(Assini e Mantini 1997, 523).
Le limitazioni
alla proprietà privata portate da provvedimenti legislativi di carattere
generale, in realtà, non determinano alcun sacrificio particolare per i beni
soggetti.
Non vi è un atto
della pubblica amministrazione che diminuisca ex novo la facoltà
connessa al diritto di proprietà, ma una disciplina generale preventiva dello
stesso tipo di quella disposta dal codice civile (Mengoli 2003, 528).
3. La
disciplina del procedimento amministrativo. Il legittimato all’accesso
al procedimento.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, artt. 2, 9, 22.
I principi cui
deve necessariamente ispirarsi il procedimento sono stati via via definiti
dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
E’ mancata,
infatti, in Italia, fino all’adozione della l. 241/1990, una legge generale sul
procedimento amministrativo (Galli, 1996, 360).
La l. 7.8.1990,
n. 241 rivoluziona il procedimento amministrativo, istituendo la possibilità di
accedere allo stesso fin dalla fase preparatoria, che, in precedenza, era
riservata esclusivamente alla amministrazione (Centofanti 2002 (3), 13).
Tale legge,
inoltre, conferma i principi generali che disciplinano dei procedimenti
amministrativi già introdotti dalla giurisprudenza: l’obbligo di comunicare la
data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la fissazione di un termine
per provvedere ed, infine, l’obbligo di nominare il responsabile del
procedimento (Franco 1995, 60).
La l. 7.8.1990,
n. 241 sul procedimento amministrativo introduce l’obbligo per la pubblica
amministrazione della conclusione dell’atto, mediante l’adozione di un
provvedimento espresso, come sancisce l’art. 2, e l’obbligo della motivazione
(Cerulli Irelli 1997, 477).
In carenza di
termini già previsti per legge o in carenza di scadenze fissate da regolamenti
adottati dall’amministrazione, le pubbliche amministrazioni devono precisare il
termine entro cui i singoli procedimenti devono concludersi.
Nel caso di
carenza di dizione espressa nelle fonti normative o regolamentari il termine è
di 30 giorni.
Legittimato
all'esercizio del diritto d'accesso è chiunque abbia un interesse, l. 7.8.1990,
n. 241, art. 9.
La
legittimazione comprende sicuramente una categoria di soggetti superiori a
coloro cui l’amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento, vedi par. 3, ma sicuramente non comprende la generalità dei
cittadini (Cerulli Irelli 1997, 454).
Il richiedente
deve avere un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti,
come precisa l’art. 22, l. 241/1990:
1. Al fine di assicurare la trasparenza dell'attività
amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a
chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le
modalità stabilite dalla presente legge
(art. 22, l. 7.8.1990, n. 241).
La necessità di
possedere dei requisiti soggettivi per fare la richiesta induce a ritenere che
tale azione non può considerarsi esperibile dal quisque de populo.
L'accesso ai documenti dell'amministrazione non si
atteggia come un'azione popolare diretta a consentire un controllo
generalizzato sull'amministrazione, essendo tale accesso attribuito a chiunque
vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti
(Cons. Stato, sez. IV, 26.11.1993, n. 1036, CS,
1993, I, 1418. T.A.R. Lazio, sez. II, 17.3.1993, n. 311, T.A.R., 1993,
I, 1187).
La dottrina
classifica tre categorie di portatori di interessi nell’ambito del
procedimento.
Enti e organismi pubblici, centri organizzativi
esponenziali di interessi collettivi, soggetti privati. E così interessi
pubblici, interessi collettivi, interessi privati
(Cerulli Irelli 1997, 457).
La
giurisprudenza riconosce l’accesso a gruppi o ad associazioni, purché queste
possano documentare il loro interesse.
Le associazioni di categoria sono legittimate ad
esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi a tutela degli
interessi della collettività di cui esse sono centri di riferimento, nella
specie si tratta di atti riguardanti l'organizzazione del personale e degli uffici
(T.A.R. Lazio, sez. III, 15.3.1993, n. 344, T.A.R.,
1993, I, 1225).
4. La
comunicazione dell’avvio del procedimento.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.
L'amministrazione
è tenuta, ai sensi dell'art. 7 della l. 241/1990, a dare comunicazione
dell’avvio del procedimento, poiché essa fissa un obbligo procedimentale non
previsto in termini generali (Cerulli Irelli 1997, 432).
La dizione
legislativa, prescrivendo l’obbligo dell’avvio per i procedimenti che
l’amministrazione di sua iniziativa, sanziona direttamente il silenzio nella
fase preparatoria che ha effetti sostanziali sul provvedimento finale.
L'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del
procedimento amministrativo, di cui all'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, sussiste
soltanto per i procedimenti promossi autonomamente dalla pubblica
amministrazione, mentre non è configurabile per quelli in cui l'amministrazione
provvede su domanda del privato.
Quest'ultimo, infatti, con la presentazione della
domanda, dimostra di essere a conoscenza dell'inizio del procedimento, nonché
del responsabile dello stesso, al quale la domanda è stata presentata, ed è
quindi nella condizione di parteciparvi pienamente
(T.A.R. Lazio Latina, 17.4.2003, n. 360).
L’obbligo
all’avvio può essere evitato solo in presenza di particolari motivazioni da
parte dell’amministrazione e rafforza implicitamente anche l’obbligo al
provvedimento espresso.
1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti
da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento
stesso è comunicato, con le modalità previste dall'art. 8, ai soggetti nei
confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti
diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non
sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento
possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta
a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.
2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la
facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle
comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari
(art. 7, l. 7.8.1990, n. 241).
Il cittadino ha
un interesse qualificato, in relazione al suo diritto alla difesa, a prendere
visione di tutti gli atti di un procedimento che lo riguarda, anche se
rientranti nell'attività meramente preparatoria, anche non necessaria, che
generalmente precede l'inizio del procedimento amministrativo e pur se essi non
assumano un'autonoma rilevanza funzionale ai fini del procedimento.
La finalità della regola procedimentale, stabilita
dall'art. 7 della l. 241 del 1990, va individuata nell'esigenza di assicurare
piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e
di garantire, al contempo, la partecipazione del destinatario dell'atto finale
alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione.
La verifica circa la violazione delle garanzie
partecipative non va compiuta con esclusivo riferimento all'adempimento formale
della notifica all'interessato dell'avviso di avvio del procedimento, ma con
riguardo alla realizzazione sostanziale degli interessi sottesi alla
disposizione della cui osservanza si discute.
(Cons. St., sez. V,
17.4.2003, n. 2062).
La
giurisprudenza estende l’obbligo di comunicazione ai terzi che possono avere
pregiudizio dall’accesso.
In presenza di una richiesta di accesso ai documenti
amministrativi ai sensi dell'art. 22 della l. 241/1990, l’amministrazione è
obbligata a dare notizia dell'avvio del procedimento al soggetto che, dalla
autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio
(Cons. St., sez. IV,
26.11. 1993, n. 1036, CS, 1993, I, 1418).
La notizia
dell'avvio del procedimento amministrativo dev'essere data ogni volta che una
amministrazione intenda emanare un provvedimento cosiddetto di secondo grado:
di annullamento, di revoca, di decadenza, ecc.
E’ possibile
omettere tale formalità solo quando sussistano ragioni derivanti da particolari
esigenze di celerità del procedimento stesso, ovvero quando all'interessato sia
stato comunque consentito di evidenziare i fatti e gli argomenti a suo favore.
Le disposizioni
del capo III, l. 7.8.1990, n. 241, concernenti la partecipazione al
procedimento amministrativo - che consente all'interessato di far valere le
proprie ragioni già nel corso della fase istruttoria, all'evidente scopo di
ottenere provvedimenti basati su una più adeguata attuazione del principio di
buona amministrazione, nonché la deflazione del contenzioso giurisdizionale -
hanno una portata generalissima e si applicano, come precisa la giurisprudenza,
anche quando l'autorità procedente sia un ente locale, senza alcuna limitazione
d'ordine oggettivo o soggettivo, non rilevando la natura del provvedimento
finale, né della amministrazione che lo emana.
La l. 241 del 1990 non è contraddetta dalle norme
contenute nel capo III, l. 8.6.1990, n. 142, anch'esso recante gli istituti di
partecipazione nell'ambito delle autonomie locali, ma il rapporto tra le due
fonti si risolve secondo gli ordinari principi della prevalenza della legge
entrata successivamente in vigore, nel senso che, stante la natura delle norme
della l. 241/1990, che costituiscono principi generali dell'ordinamento,
quest'ultima non ha abrogato in parte qua la l. 142/1990, ma ha solo
fissato le regole essenziali e indefettibili, ferma restando la facoltà per gli
statuti degli enti locali di fissare ulteriori regole partecipative nel loro
specifico ambito. Nella specie si tratta di revoca di una concessione
amministrativa per la costruzione della rete di distribuzione del gas e per la
gestione del relativo servizio
(Cons. St., sez. V,
2.2.1996, n. 132, FA, 1996, 506).
5. L’illegittimità
del provvedimento finale.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.
Un filone
giurisprudenziale ammette la possibilità di fare dichiarare illegittimo
l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa.
L'omissione, da parte della amministrazione, della
comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo nei confronti dei
soggetti relativamente ai quali il provvedimento finale è destinato a produrre
effetti diretti, costituisce vizio di violazione di legge rilevabile, ai sensi
dell’art. 8 della l. 241/1990 citata, dal soggetto nel cui interesse la
comunicazione è prevista, con conseguente illegittimità del provvedimento
finale adottato
(T.A.R. Veneto, sez. II, 13.5.1992, n. 442, GC,
1993, I, 828).
Un altro indirizzo
giurisprudenziale ritiene che la legittimità dell’intero procedimento debba
valutarsi in rapporto alla gravità della lesione dell’interesse leso; è
necessario verificare che la mancanza dell’accesso abbia influito
sostanzialmente sul contenuto del provvedimento finale.
La questione della legittimità degli atti
amministrativi adottati in mancanza di una rituale comunicazione dell'avvio del
procedimento non deve essere intesa in termini puramente formali, nel senso che
occorre annullare ogni procedimento in cui sia mancato il prescritto avviso, ma
richiede, caso per caso, una valutazione concreta delle ragioni addotte
dall'amministrazione a giustificazione del suo agire al fine di verificare se,
effettivamente, la mancata partecipazione del privato al procedimento possa
avere in qualche modo influito sul contenuto dell'atto finale.
Laddove il presupposto di un atto amministrativo sia
costituito da un fatto singolo agevolmente accertabile ed insuscettibile di
vario apprezzamento, dal quale la conseguente azione amministrativa è
interamente vincolata, non vi è ragione, né sul piano della ratio dell'art.
7, l. 7.8.1990, n. 241, né sotto il profilo dell'economia dei mezzi giuridici,
di annullare quell'atto per una omissione che in tal caso si connoterebbe, in
sostanza, come mera irregolarità
(T.A.R. Sardegna, 27.3.2003, n. 371).
6. L’accesso
al procedimento pianificatorio.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, artt. 13, 24, 6° co.
La l. 7.8.1990,
n. 241, sull'accesso al procedimento amministrativo ha escluso la possibilità
di partecipare al procedimento di formazione dei piani urbanistici.
I privati
possono intervenire dopo l'adozione dello strumento da parte del consiglio
comunale.
Il principio di partecipazione di cui agli art. 7 e 8,
l. n. 241 del 1990, diversamente da quando accade nei procedimenti di adozione
di strumenti urbanistici trova piana applicazione per le varianti c.d di
utilità pubblica, previste dall'art. 1, 5° co., l. n. 1 del 1978.
In riferimento ai procedimenti di adozione di strumenti
urbanistici non trova applicazione ex art. 13, l. n. 241 del 1990, l’accesso al
rpocediemnto, anche perché, sul piano ontologico, l'esigenza del
contraddittorio tra le parti pubbliche e private risulta già salvaguardata
nell'ambito della vigente disciplina legale di formazione degli strumenti
urbanistici primari: pubblicazione, presentazione di osservazioni, esame,
controdeduzioni, approvazione
(Cons. St., sez. IV,
17.4.2003, n. 2004).
Il d.p.r.
27.6.1992, n. 352 approva il Regolamento che disciplina le modalità di
esercizio nei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti
amministrativi, ai sensi dell'art. 24, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241.
Questa normativa
consente la attuazione del più generale diritto, sancito dagli artt. 7 e ss.,
l. 241/1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo, che si attua
nel prendere visione degli atti compiuti dall'amministrazione e nel poterne
estrarre copia.
Il privato che
vuole esercitare il diritto all’accesso, ad esempio per prendere visione della
documentazione nella fase formativa di uno strumento urbanistico, deve prendere
a fonte normativa la legislazione speciale.
L'art. 9 della
l. urb. prevede la possibilità di prendere in visione, presso gli uffici
comunali, del progetto di piano regolatore generale.
Negli altri
procedimenti di vincolo si deve verificare le possibilità di accesso che la
norma speciale consente.
Essi, comunque,
non possono essere in contrasto con i principi fondamentali sanciti dalla l.
241/1990
Il comune non può
sottrarsi all'obbligo di consentire la visione del progetto di piano, neppure
nella fase di nuova ripubblicazione dovuta a modifiche richieste da parte della
regione, in sede di approvazione.
L'art. 24, 6°
co., l. 241/1990, che non consente l'accesso agli atti preparatori dei
provvedimenti di pianificazione, non modifica, anzi lascia pienamente in
vigore, le altre disposizioni di legge - quali appunto la legge urbanistica -
che disciplinano già un procedimento di accesso.
La richiesta può
essere evasa direttamente, in via informale, mediante l'esibizione del
documento o la estrazione di copia, ovvero in via formale mediante un
procedimento puntualmente previsto dal regolamento, che inizia con rituale
domanda e finisce con un provvedimento di diniego nei casi di esclusione da
tale diritto.
Essi sono
tassativamente previsti, ad esempio, per la sicurezza e difesa nazionale, per
ragioni di politica monetaria, per ragioni di ordine pubblico o sicurezza di
terzi ovvero per salvaguardare esigenze di riservatezza dell'amministrazione.
Il procedimento
di accesso è affidato al responsabile del procedimento amministrativo,
individuato ai sensi dell'art. 4 della l. 241/1990.