martedì 18 maggio 2021

copriufuoco: le ultime novità del nuovo decreto Draghi

 


Da mercoledì 19 maggio sino al 6 giugno il coprifuoco sarà spostato alle 23:00.

Pertanto, il divieto di spostamenti dovuti a motivi diversi da quelli di lavoro, necessità o salute rimarrà quindi valido dalle 23.00 alle 5.00.

A partire dal 7 giugno 2021 e sino al 20 giugno tale divieto sarà valido dalle ore 24.00 alle ore 5.00.

Dal 21 giugno 2021 sarà completamente abolito e non vi sarà più alcun obbligo di rientro e vi sarà libertà di circolazione nella notte. 


Foto da: www.chenews.it

giovedì 15 aprile 2021

Circolare del Ministero delle infrastrutture e trasporti e del Ministero della pubblica amministrazione: indicazioni in merito a demolizioni e ricostruzioni nei centri storici


 

Quando si può demolire e ricostruire in zona "A" e nei centri storici? 


La Circolare del Ministero delle infrastrutture e trasporti e del Ministero della pubblica amministrazione fornisce "chiarimenti interpretativi in merito all'articolo 10 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 (cd. Decreto Semplificazioni)" con particolare riferimento agli interventi di demolizione e ricostruzione di immobili tutelati o situati nei centri storici che rientrano nella definizione di ristrutturazione edilizia, di cui alla lett. d), dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. 380/2001.

L'intento del legislatore è di “realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia.

 
Le modifiche alla definizione di ristrutturazione edilizia.

La definizione di “ristrutturazione edilizia” contenuta nella lettera d) del comma 1 dell’articolo 3, quale risultante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 76/2020 e dalla legge di conversione, fa riferimento a “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.

Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.

L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.
Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

Il richiamo ai parametri introdotti dal decreto – legge n. 76/2020 (sagoma, sedime, prospetti, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche) assume rilievo per quanto riguarda il regime degli edifici sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 ovvero ubicati in zona A e assimilate, laddove l’eventuale modifica di tali parametri comporta l’impossibilità di ricondurre l’intervento alla categoria della ristrutturazione edilizia e il suo assoggettamento al regime autorizzatorio delle nuove costruzioni (fatte salve, per la seconda categoria di edifici sopra indicati, le diverse previsioni di legge o degli strumenti urbanistici).

La previsione consente che gli interventi di demolizione e ricostruzione soggiacciano al regime della ristrutturazione edilizia anche qualora comportino incrementi volumetrici, purché giustificati dal rispetto delle normative dianzi richiamate (e sempre che, ovviamente, non si tratti di edifici vincolati ovvero ricadenti in zona A o assimilate, fatte salve per questi ultimi le diverse previsioni legislative o degli strumenti urbanistici).

Un’ulteriore possibilità di apportare incrementi alla volumetria dell’edificio preesistente deriva dall’espressa salvezza delle previsioni legislative e degli strumenti urbanistici che contemplino siffatti incrementi per finalità di “rigenerazione urbana”.
Pertanto, la deroga vale soltanto per le ipotesi in cui questi siano strumentali a obiettivi di rigenerazione urbana, da intendersi come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che, senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o immobili in condizioni di dismissione o degrado.

Quanto al regime degli edifici vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, si è già sottolineato che la soluzione adottata dal decreto – legge n. 76/2020 per assicurare la loro tutela è stata quella di escludere che possano qualificarsi come ristrutturazione edilizia gli interventi comportanti una loro demolizione e ricostruzione non solo nei casi in cui ne sia modificata la sagoma, ma anche nei casi di mutamenti del sedime, dei prospetti e delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.

Tuttavia, per gli edifici ubicati nelle zone omogenee A di cui al d.m. n. 1444/1968 e in zone a queste assimilate dai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici ovvero nelle aree comunque di particolare pregio storico o architettonico, l’equiparazione voluta dal legislatore al regime degli edifici vincolati è solo tendenziale, essendo espressamente fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici.

Tale inciso fa innanzitutto salva la validità di eventuali disposizioni di leggi regionali, che consentano, anche per le aree in questione, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione anche con limiti meno stringenti di quelli individuati dall’art. 3 del testo unico per gli edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004.

Inoltre, la clausola di “salvezza” in discorso consente di ritenere ammissibili anche per gli edifici ubicati in dette zone le variazioni imposte dalla normativa antisismica, energetica, sull’accessibilità etc., ferme restando, come è ovvio, le valutazioni delle Amministrazioni competenti in ordine alla compatibilità degli interventi con il regime eventualmente previsto per i medesimi edifici.

La clausola conferma, altresì, la legittimità delle eventuali previsioni degli strumenti urbanistici (sia generali che attuativi) con cui si consentano, anche per le zone A e assimilate e per i centri storici, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione entro limiti meno stringenti di quelli ordinariamente stabiliti dalla norma primaria in esame (fermi restando in ogni caso gli ulteriori limiti rivenienti da altre norme del testo unico).

Per maggiori informazioni:

https://www.mit.gov.it/sites/default/files/media/notizia/2020-12/circolare%20art.10.%20pdf%20%281%29.pdf


Foto presa da: 
https://www.impresedilinews.it/

sabato 6 marzo 2021

Come accedere ai servizi online dell’Agenzia delle Entrate dal 1° Marzo 2021






Come è possibile accedere ai servizi online dell’Agenzia delle Entrate dal 1° Marzo 2021 ? 


Dal 1° marzo 2021, in linea con quanto disposto dal Decreto Semplificazione e Innovazione digitale (DL n. 76/2020), l’Agenzia delle Entrate non rilascerà nuove credenziali Fisconline ai cittadini. Restano valide, comunque, le credenziali Fisconline già in possesso degli utenti e in uso, ma verranno dismesse il 30 settembre 2021.
Dal 1° ottobre, quindi, i cittadini dovranno dotarsi, a scelta, di uno dei tre strumenti di accesso a tutti i servizi della PA. Nulla cambia per professionisti e imprese
Dal 1° marzo, quindi, chi non possiede le credenziali Fisconline potrà accedere all’area riservata dei servizi online dell’Agenzia utilizzando esclusivamente una delle tre modalità di autenticazione universali, SPID, CIE (carta d'identità elettronica) o CNS (carta nazionale dei servizi), riconosciute per accedere ai servizi online di tutte le Pubbliche amministrazioni.
Nulla cambia, invece, per professionisti e imprese


Fase transitoria

Gli utenti in possesso al 1° marzo 2021 delle credenziali Fisconline, fornite dall’Agenzia (codice fiscale, password e PIN), potranno continuare a utilizzarle per accedere ai servizi telematici e sarà ancora possibile il rinnovo delle password scadute. 
Non saranno più rilasciate, invece, nuove credenziali, mentre quelle già in uso saranno valide fino 30 settembre 2021.

Dal 1° ottobre 2021, quindi, le credenziali Fisconline non saranno più attive e sarà necessario accedere, a scelta, con uno dei tre strumenti:
SPID - Sistema Pubblico di Identità Digitale (scopri come ottenere le credenziali SPID)
CNS - Carta nazionale dei servizi.

Per chi già accede con SPID, CIE o CNS, non cambia nulla. Chi non avesse uno di questi tre strumenti dovrà dotarsene.



Cosa sono SPID, CIE e CNS?

- SPID: Sistema Pubblico di Identità Digitale. 
Consiste di un sistema basato su credenziali personali che, grazie a delle verifiche di sicurezza, permettono di accedere ai servizi online della Pubblica amministrazione e dei privati aderenti. Per ottenere Spid basta scegliere uno dei 9 gestori di identità digitale presenti sul sito https://www.spid.gov.it/richiedi-spid e seguire i passi indicati dalle varie procedure ai fini dell’identificazione. 
- CIE: Carta di identità elettronica.
Permette al cittadino di identificarsi e autenticarsi con i massimi livelli di sicurezza ai servizi online degli enti che ne consentono l’utilizzo, sia Pubbliche amministrazioni che soggetti privati. 
La CIE è rilasciata dal Comune di residenza, per utilizzarla al meglio è importante assicurarsi di avere l’intero codice PIN della carta di identità elettronica e, se serve, richiederlo al proprio comune;
- CNS: Carta Nazionale dei Servizi.
Permette di accedere agli stessi servizi attraverso un dispositivo, che può essere una chiavetta USB o una smart card dotata di microchip.

Per maggiori informazioni:

mercoledì 24 febbraio 2021

Ascensore condominiale: come si dividono le spese per la conservazione e la sicurezza



La Legge n.220/2012 di riforma del condominio ha esteso il criterio dettato dal vecchio art.1124 del Codice Civile di riparto delle spese per le scale anche agli ascensori.
Ciò vuol dire che, in mancanza di regolamento condominiale, ai sensi dell'art. 1124 del Codice Civile l’ascensore è mantenuto dai proprietari delle singole unità immobiliari a cui servono. 
La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo.
Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.

L'art. 1124 del Codice Civile divide, pertanto, la spesa in due metà: alla ripartizione della prima metà si provvede in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano che delle scale si servono, alla ripartizione della seconda metà si provvede in misura proporzionale all'altezza di ciascuno degli stessi piani dal suolo. 
Le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, quando siano di proprietà separata, sono conside­rate come piani solo per quanto riguarda concorso nella prima metà di spese, mentre non concorrono al pagamento della seconda metà.

Con la sentenza n. 8823 del 30 aprile 2015 la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare ancora una volta i criteri di ripartizione degli oneri condominiali: in ipotesi di ricostruzione e manutenzione di scale ed ascensore la norma di riconoscimento è costituita dall'art. 1124 c.c., che impone una suddivisione delle spese per il 50% in ragione dei millesimi generali e per il 50% in ragione del piano, salvo che sussista un diverso accordo di ripartizione di natura negoziale approvato all'unanimità dai condomini

E' opportuno, inoltre, verificare quando è stato realizzato l'ascensore:

a) l'impianto di ascensore eseguito all'epoca della costruzione dell'edificio, o comunque in un momento precedente al sorgere del condominio (ovvero prima dell'alienazione delle singole unità immobiliari), è oggetto di proprietà comune presunta (in tal senso, si vedano gli artt. 1117, n. 3, e 1124, comma 1°, del Codice Civile). 
Laddove poi l'edificio condominiale sia fornito di più scale, e quindi di più ascensori, ciascuno dei quali serva in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, ogni ascensore può considerarsi comune non già alla totalità dei condomini, bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso sia funzionalmente e strutturalmente destinato;

b) la proprietà dell'ascensore realizzato successivamente alla costituzione del condominio, è regolata dalla disciplina delle innovazioni ex artt. 1120 e 1121 c.c. ed ha quindi titolo nella apposita deliberazione assembleare di approvazione dell'opera e di ripartizione delle relative spese, in favore soltanto di coloro che abbiano voluto l'impianto e sopportato integralmente il suo costo. 
In pratica, l'ascensore che, pur essendo utilizzabile da tutti, sia stato però costruito a spese di uno soltanto dei condomini, rimane di proprietà esclusiva di questo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai suoi vantaggi, contribuendo ai relativi costi di costruzione e manutenzione;

c) nel caso di ascensore installato successivamente alla costruzione dell'edificio, ma con il consenso di tutti i condòmini, l'impianto si intende di proprietà comune fra tutti i partecipanti, in proporzione al valore della superficie di proprietà esclusiva.
Sussistendo una "presunzione di condominialità" dell'ascensore, le spese di manutenzione dello stesso, sia ordinarie che straordinarie, da ripartire tra tutti i condomini con il criterio della proporzionalità dettato dagli artt. 1123 e 1124 codice civile, prescindono dalla considerazione che i proprietari dei locali al piano terra non ne usufruiscano in concreto.
Anche i proprietari di unità aventi accesso autonomo dalla strada devono, infatti, concorrere alle spese generali inerenti impianti e servizi condominiali, purché si tratti di utilità costituenti elementi necessari per la configurazione stessa del fabbricato, ovvero strumenti indispensabili per il godimento e la conservazione delle strutture, cui tutti i condomini siano tenuti per la salvaguardia della proprietà individuale e per la sicurezza dei terzi.

A tal proposito, si segnala la sentenza n. 14697 del 2015 della Corte di Cassazione.

Alla luce di quanto esposto, anche i condòmini al piano terra sono tenuti al pagamento delle spese per la conservazione e la sicurezza dell'ascensore.

Questa disciplina si applica anche nel caso di ricostruzione e manutenzione dell’ascensore. 

Si rileva che la disciplina prevista dal codice civile appena esplicata può sempre essere derogata, ma è necessario l’accordo di tutti i condòmini preso all’unanimità.
Così, per esempio, l’assemblea potrà stabilire di non far pagare le spese in questione agli appartamenti al piano terra o a quelli del sottoscala o del piano rialzato, ma tale decisione richiederà il voto unanime.

domenica 7 febbraio 2021

Come registrare la risoluzione del contratto di locazione: la procedura richiesta dall' Agenzia delle Entrate






Come registrare la risoluzione del contratto di locazione?
Ecco la procedura richiesta dall' Agenzia delle Entrate!!


Cos'è la risoluzione?

Si parla di risoluzione del contratto se il rapporto tra le parti è interrotto prima della scadenza naturale.
I
n caso di chiusura anticipata occorre versare entro 30 giorni l’imposta di registro in misura fissa, pari a 67 euro. 
Il pagamento può essere effettuato sia tramite i servizi telematici dell’Agenzia sia con il "modello F24 Elementi identificativi", reperibile presso la propria banca o su questo sito: 

In quest’ultimo caso è inoltre necessario comunicare la risoluzione all’Ufficio Provinciale dell'Agenzia delle Entrate in cui è stato registrato il contratto (https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/267376/Elenco+dei+codici+ufficio+per+periodo+di+validit%C3%A0+v2020_03_02.xls/aa1aaf80-2ead-ec25-31a9-4b6c7a60d577 ) , presentando, nello stesso termine di 30 giorni, il modello RLI debitamente compilato e sottoscritto.

Il codice tributo è: 1503

Come mi devo comportare se è stata esercitata l'opzione per il regime della cedolare secca?

Se tutti i locatori hanno optato per il regime della cedolare secca l’imposta di registro non è dovuta ma è comunque necessario comunicare la risoluzione del contratto all’Ufficio Provinciale dell'Agenzia delle Entrate in cui è stato registrato il contratto. 

Come devo comunicare la risoluzione anticipata?


La risoluzione anticipata deve essere in ogni caso comunicata, entro 30 giorni dall’evento, con una delle seguenti modalità:
a) tramite i servizi telematici dell’Agenzia (software RLI o RLI-web);
b) presentando all’Ufficio Provinciale dell'Agenzia delle Entrate dove è stato registrato il contratto il modello RLI cartaceo debitamente compilato unitamente alla propria carta d'identità ed alla quietanza di versamento dell'imposta di registro, se dovuta.
Alcuni Uffici Provinciali richiedono, altresì, copia della raccomandata di recesso di una delle parti del contratto.

Per maggiori informazioni contatta l'Ufficio Provinciale dell'Agenzia delle Entrate dove hai registrato il contratto di locazione!