giovedì 31 gennaio 2013

Commissione europea Ritiro definitivo dei pesticidi che uccidono le api


Ciao,
In tutto il mondo le api stanno morendo, e per questo la catena alimentare e la biodiversità sono minacciate. Tra le cause di questa morìa vi sono i pesticidi tossici che indeboliscono il sistema immunitario delle api. Tra due giorni l’Europa potrà decidere se vietare i pesticidi responsabili della preoccupante mortalità dei preziosi insetti.

L’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha pubblicato un parere che condanna i pesticidi contenenti nicotinoidi mettendo in evidenza i rischi che comportano per la vita delle api.

Il 31 gennaio la Commissione europea deve deliberare sull’eventuale ritiro definitivo dei pesticidi contenenti nicotinoidi.
Abbiamo solo un paio di giorni per chiedere all'Unione europea di vietare questi pericolosi pesticidi. Aiutaci firmando la petizione.

Sotto la pressione dei produttori di pesticidi la Commissione europea potrebbe decidere di non seguire la raccomandazione dell’EFSA e non agire in maniera risoluta. Impediscilo.


Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani via Change.org

lunedì 28 gennaio 2013

Monte Paschi Siena MPS


MPS
Un dirigente onesto denuncia per tempo i danni dei derivati e viene licenziato.
Il suo curriculum legittimista lo tiene lontano dal mondo del lavoro.
E’ per questo che siamo ridotti così perché gli onesti con il sostegno dei benpensanti vengono sistematicamente fatti fuori.
Bisogna non a parole ma con i fatti sostenere gli onesti.
Da che parte stiamo?

sabato 19 gennaio 2013

Redditometro


Redditometro
Quanto costa il redditometro?
Quanto costa gestirlo?
Quanto farà guadagnare in più dei normali controlli ( denunce accertamenti banche dati conti correnti)?
Riuscirà a scoprire i proventi da attività criminali non denunciate?

mercoledì 16 gennaio 2013

Ambiente. Il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, La convocazione della conferenza di servizi.


Ambiente. Il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, La convocazione della conferenza di servizi.

La convocazione da parte dell'autorita' competente, ai fini del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, di apposita conferenza di servizi, alla quale sono invitate le amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, nel caso di impianti di competenza statale, i Ministeri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dello sviluppo economico, oltre al soggetto richiedente l'autorizzazione, ha luogo ai sensi degli articoli 14-ter, commi da 1 a 3 e da 6 a 9, e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
7. Nell'ambito della Conferenza dei servizi di cui al comma 5, vengono acquisite le prescrizioni del sindaco di cui agli articoli 216e 217 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nonche' il parere dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale per gli impianti di competenza statale o delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente per quanto riguarda il monitoraggio ed il controllo degli impianti e delle emissioni nell'ambiente. In presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell'autorizzazione di cui al presente titolo, il sindaco, qualora lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, puo' chiedere all'autorita' competente di verificare la necessita' di riesaminare l'autorizzazione rilasciata, ai sensi dell'articolo 29-octies.
8. Nell'ambito della Conferenza dei servizi, l'autorita' competente puo' richiedere integrazioni alla documentazione, anche al fine di valutare la applicabilita' di specifiche misure alternative o aggiuntive, indicando il termine massimo non superiore a novanta giorni per la presentazione della documentazione integrativa. In tal caso, il termine di cui al comma 9 resta sospeso fino alla presentazione della documentazione integrativa.
9. Salvo quanto diversamente concordato, la Conferenza dei servizi di cui al comma 5 deve concludersi entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine previsto dal comma 4 per la presentazione delle osservazioni.
(art. 29 quater, d.lg. n. 152 del 2006, mod. art. 2, comma 24, d.lg. n. 128 del 2010 ).

La giurisprudenza ha precisato che l'autorità competente a convocare la Conferenza di servizi debba invitare soltanto le previste amministrazioni, competenti in materia ambientale, nonché il Comune nel cui territorio insiste l'impianto da autorizzare. La stessa norma, inoltre, stabilisce che il gestore provveda alla pubblicazione su un quotidiano a diffusione provinciale o regionale, ovvero a diffusione nazionale nel caso di progetti che ricadano nell'ambito della competenza dello Stato, di un annuncio contenente l'indicazione della localizzazione dell'impianto e del nominativo del gestore, nonché il luogo, individuato ai sensi del comma 6, ove è possibile prendere visione degli atti e trasmettere le osservazioni e precisa che " tali forme di pubblicità tengono luogo delle comunicazioni di cui agli art. 7 e 8 l. 7 agosto 1990 n. 241 ". T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 15/12/2011, n. 560
Ai sensi dell'art. 14 quater comma 1 l. 7 agosto 1990 n. 241, il dissenso manifestato da una o più amministrazioni in Conferenza di servizi deve essere accompagnato dall'indicazione delle modifiche progettuali che sarebbero necessarie ai fini di poter rilasciare l'assenso sul progetto. (TAR Puglia, Lecce, 23 dicembre 2008 n. 3730).
La violazione della regola secondo la quale i pareri negativi debbono essere costruttivamente formulati è risultata rilevante nella fattispecie sia perché il privato ha proposto, prima della conclusione del procedimento, proposte progettuali di modifica, sia perché la conferenza dei servizi, invece che adempiere alla sua funzione di trovare un giusto contemperamento tra le ragioni dell'operatore economico e le norme che disciplinano l'attività, ha emanato un preavviso di diniego. Il  provvedimento negativo ha svolto la funzione ostruzionistica di impedire la ricerca di un incontro di volontà con l'operatore privato.T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 28/10/2010, n. 7148
L’autorizzazione deve essere rilasciata o negata entro termini perentori che sono però sospesi ove sia preventivamente richiesta una procedura di valutazione di impatto ambientale.

10. L'autorità competente esprime le proprie determinazioni sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale comunque entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda, ovvero, nel caso di cui al comma 8, entro centottanta giorni dalla presentazione della domanda. La tutela avverso il silenzio dell'Amministrazione e' disciplinata dalle disposizioni generali del processo amministrativo.
 (art. 29 quater, d.lg. n. 152 del 2006, mod. art. 2, comma 24, d.lg. n. 128 del 2010 ).

L’a.i.a. è sicuramente un procedimento semplificativo poiché sostituisce tutte le altre autorizzazioni previste dalle precedenti normative

11. Le autorizzazioni integrate ambientali, rilasciate ai sensi del presente decreto, sostituiscono ad ogni effetto le autorizzazioni riportate nell'elenco dell'allegato IX, secondo le modalita' e gli effetti previsti dalle relative norme settoriali. In particolare le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono la comunicazione di cui all'articolo 216, ferma restando la possibilita' di utilizzare successivamente le procedure semplificate previste dal capo V.
(art. 29 quater, d.lg. n. 152 del 2006, mod. art. 2, comma 24, d.lg. n. 128 del 2010 ).


Urbanistica. Sicilia. Procedimento per il rilascio della concessione edilizia. Formazione del silenzio


Urbanistica. Sicilia. Procedimento per il rilascio della concessione edilizia. Formazione del silenzio

In Sicilia, il procedimento per il rilascio della concessione edilizia è regolato dall'art. 2, l. rg. 31 maggio 1994 n. 17 (« Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti »). La norma in questione prevede un meccanismo di formazione del silenzio-assenso sulle istanze di concessione edilizia sostanzialmente ispirato a quello introdotto nell'ordinamento statale dalla l. 25 marzo 1982 n. 94. M. Occhiena, L'"autorizzazione" edilizia tra semplificazione, doveri di correttezza del cittadino e responsabilità degli amministratori, Foro amm. TAR, 2002, 05, 1853.
Il comma 5 dell'art. 2, l. rg. n. 17 del 1994, dispone che la domanda di concessione edilizia si intende accolta qualora il comune non comunichi il diniego motivato sull'istanza di edificazione entro centoventi giorni dal ricevimento di quest'ultima (o dal momento del deposito dei documenti integrativi richiesti dall'amministrazione).
Il termine di centoventi giorni è calcolato sul totale dei giorni a disposizione dell'amministrazione comunale per istruire il procedimento e decidere sulla domanda del privato (ossia: quarantacinque giorni per il responsabile del procedimento al fine di formulare una proposta motivata di provvedimento alla commissione edilizia; quarantacinque giorni per tale ultimo organo per esprimere il proprio parere; trenta giorni a disposizione del sindaco per adottare il provvedimento finale della procedura).
L'art. 2 commi 6 e 7, l. rg. cit., statuisce che il titolare della (come viene a tutti gli effetti definita) « concessione edilizia » possa iniziare i lavori dopo che è intervenuto il silenzio-assenso.
Egli deve comunicare l'avvio al sindaco e previo versamento degli oneri concessori calcolati da un progettista (ed eventualmente rideterminati ad opera del comune); prima dell'inizio dell'esecuzione dell'opera.
Il progettista deve « inoltrare una perizia giurata che asseveri la conformità degli interventi da realizzare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie nonché il rispetto delle norme di sicurezza e sanitarie ».
Anche dopo che  si è formato il silenzio-assenso sulla domanda di concessione edilizia, il comma 8 dell'art. 2, cit., fissa il potere-dovere dell'amministrazione comunale di completare l'esame della domanda stessa entro trenta giorni dalla comunicazione dell'inizio dei lavori.
Obbligo di annullamento mancanza dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo
Quando si accerti la mancanza dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo, il sindaco deve annullare o revocare la « concessione assentita per silentium, facendo valere le eventuali responsabilità penali, civili, amministrative e disciplinari.
La giurisprudenza ritiene che  l'art. 2 l. reg. Sicilia 31 maggio 1994 n. 17, va interpretato nel senso che, sussistendo i presupposti di legge, il decorso dei centoventi giorni dalla presentazione della domanda di concessione edilizia attribuisce al richiedente una posizione equiparabile all'ottenimento della concessione stessa, con la differenza, però, che il procedimento non può dirsi concluso fino a quando l'interessato non abbia comunicato di aver dato inizio ai lavori, aprendo così una seconda fase - prevista dal comma 8 - che si conclude o con un intervento esplicito della p.a., sollecitata a riesaminare la pratica per effetto della manifestata intenzione di iniziare l'opera, o con il decorso del termine di trenta giorni.
In quest'ultima ipotesi il silenzio assenso può dirsi per certi aspetti consolidato.
L'Amministrazione comunale non ha più il fisiologico governo della pratica edilizia e, pertanto, non può decidere su di essa con atto "di primo grado" in altri termini, prima della decorrenza del predetto termine di trenta giorni normativamente previsto non si può avere certezza circa la positiva conclusione della procedura di cui all'art. 2 l. reg. Sicilia n. 17 del 1994. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 04/01/2012, n. 2
L'art. 2 l. reg n. 17 del 1994 ha introdotto nell'ordinamento regionale siciliano l'istituto del silenzio/assenso in relazione alle domande di rilascio di concessione edilizia che non siano esitate negativamente nel termine di centoventi giorni e decorso tale termine il richiedente può comunicare l'inizio dei lavori, previo versamento degli oneri concessori e previa presentazione della perizia giurata prevista dal comma 7 dello stesso articolo (che attesti la conformità degli interventi da realizzare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e sanitarie e l'ammontare del contributo concessorio dovuto).
Da questo momento - cioè, dalla comunicazione di avvio dei lavori effettuata sulla base di una concessione edilizia tacita - si apre per l'ente pubblico uno "spatium deliberandi" di trenta giorni, previsto dal comma 8 dell'articolo in commento, nel quale l'esame della domanda deve essere completato e vengono compiuti gli atti necessari a far valere eventuali responsabilità penali, civili, amministrative e disciplinari.
Se nel corso del predetto termine non viene adottato alcun atto espresso, il silenzio protratto produce l'effetto di " consolidamento " del titolo già assentito; ove invece venga adottato un atto formale questo può essere diretto:
 a) a confermare il provvedimento silenzioso con atto espresso (in proposito è stata anche riconosciuta la pretesa del titolare della concessione tacita ad ottenere il rilascio di un documento formale che confermi il titolo formatosi per silentium;
 b) ad annullarlo attraverso una autotutela " accelerata e semplificata " in ragione del mero riscontro della mancanza dei presupposti di legge necessari al suo rilascio; ossia, al solo scopo di ripristinare la legalità violata. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 01/12/2011, n. 2818
Nel caso di specie sulla domanda si è formato il silenzio assenso, pertanto,  sia la nota del Comune  che nega l'avvenuta formazione del silenzio e chiede integrazione documentale, sia l'autorizzazione recante "divieto di realizzare ogni opera che interferisce con il tracciato della condotta fognaria e che tende a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo" sono intervenuti quando ormai l'amministrazione aveva perso il potere di pronunciarsi con un provvedimento di primo grado, per essersi formato, ex lege, un tacito provvedimento di accoglimento della domanda.
Per giurisprudenza costante, infatti, quando il titolo abilitativo si forma per silenzio assenso, l'Amministrazione può pronunciarsi sulla domanda, solo previo annullamento, in sede di autotutela, del silenzio assenso, cui può ricorrere solo ove sussista un prevalente interesse pubblico alla rimozione dell'assenso implicito (non identificabile con il mero ripristino della legalità violata) e con il rispetto delle garanzie procedimentali previste dalla legge n. 241 del 1990 Cons. Stato, sez. V, 20.3.2007, n. 1339 e 27.6.2006, n. 4114.
Pertanto, l'autorizzazione con cui il Comune ha tardivamente esercitato il poter di verifica di conformità dell'opera alle prescrizioni urbanistiche e edilizie è illegittima essendo stata emanata in violazione dell'art. 5 della l.r. 37/1985 e va annullato, nella parte in cui impone il "divieto di realizzare ogni opera che interferisce con il tracciato della condotta fognaria e che tende a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo. Le spese seguono la soccombenza.
L'annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi disciplinato dall'art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990 presuppone che il provvedimento di secondo grado intervenga in un lasso di tempo "ragionevole" dalla comunicazione di inizio lavori da parte del concessionario di titolo edilizio formatosi con il silenzio assenso, di cui all'art. 2 l. reg. Sicilia n. 17 del 1994 e che non si sia ancora dato inizio ai lavori; va inoltre verificato che l'interesse perseguito dalla PA sia quello di impedire l'edificazione in una zona gravata da un vincolo legale di inedificabilità introdotto dall'art. 10 della L.R. n. 16 del 1996. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 12/09/2012, n. 2131
Il termine di trenta giorni per esercitare l'annullamento d'ufficio ai sensi dell'art. 2, co. 8, della L.R. 17/1994 della concessione edilizia tacita risulta, per il vero, come affermato in ricorso, già decorso (seppur per soli sei giorni) al momento di adozione del provvedimento impugnato; tuttavia, si deve ritenere che la PA si sia avvalsa del procedimento di annullamento in autotutela "di secondo grado" disciplinato dall'art. 21 nonies della L. 241/90.
L'annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi appare correttamente eseguito dal Comune resistente, tenuto conto dei seguenti elementi:
a) il provvedimento di secondo grado è intervenuto in un lasso di tempo assolutamente ragionevole dalla comunicazione di inizio lavori da parte del concessionario;
b) i lavori non erano stati comunque in concreto avviati. La giurisprudenza ha precisato che nell'ipotesi in cui - pur essendosi formato il silenzio-assenso sull'istanza di permesso di costruire di cui all'art. 2 l. reg. Sicilia n. 17 del 1994 - non si sia ancora dato inizio ai lavori, il provvedimento di annullamento del consenso implicito in sede di autotutela non richiede un onere motivazionale ulteriore rispetto alla dimostrazione dell'assoluta incompatibilità dell'intervento con le previsioni di piano e con la vigente normativa regionale di riferimento" C.G.A. 1200/2010;
c) l'interesse perseguito dalla PA è evidentemente quello di impedire l'edificazione in una zona gravata da un vincolo legale di inedificabilità introdotto dall'art. 10 della L.R. 16/1996.

Ambiente. La localizzazione di impianti di recupero di rifiuti.


Ambiente. La localizzazione di impianti di recupero di rifiuti.

La localizzazione di impianti di recupero di rifiuti ed in particolare il procedimento amministrativo è finalizzato all'autorizzazione unica ai sensi dell'art. 208 del D.Lgs. 152/2006.
L’autorizzazione può essere  emessa nell'ambito e ad esito della conferenza di servizi; nel caso specifico il provvedimento finale aveva anche la valenza di variante dello strumento urbanistico (che nella sua versione originaria non avrebbe consentito la localizzazione nell'area individuata di un impianto quale quello progettato. R. Rotoli, Nota a Consiglio di Stato, Sez. V, 16 settembre 2011 n.5193, in Riv. giur. ambiente 2012, 1, 86.
Il procedimento di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e gestione di nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti disciplinato dall'art. 208, d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, costituisce sostanziale riproduzione del precedente istituto di cui all'art. 27, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, abrogato dall'art. 264, d.lgs. n. 152 del 2006
Nella nuova configurazione procedimentale la gestione costituisce oggetto di valutazione necessariamente contestuale — e non più facoltativa, come previsto dal comma 9 dell'abrogato art. 27 — all'approvazione del progetto ed autorizzazione alla realizzazione dell'impianto.
La caratteristica comune ad entrambi i modelli procedimentali è la natura istruttoria della Conferenza di servizi che precede la decisione finale sulla realizzabilità dell'impianto, quest'ultima affidata all'esclusiva competenza dell'autorità regionale. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 27/01/2012, n. 200
Sulla (astratta) possibilità che l'autorizzazione unica di cui sopra possa avere efficacia di variante dello strumento urbanistico vigente non pare possano sussistere particolari dubbi.
È stato, infatti, affermato che l'art. 208 del D.Lgs. 152 del 2006 disciplina l'autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, prevedendo espressamente che l'approvazione del progetto sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico, comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e di indifferibilità dei lavori, sicché dall'approvazione stessa del progetto deriva l'effetto di variante al P.R.G. T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 26 maggio 2008, n. 1217.
La giurisprudenza ha precisato che è necessario che in sede di conferenza di servizi sia legittimamente prestato l'assenso dell'Ente competente ed in particolare, ove esistente, dell'organo a tale scopo legittimato dalla legge.
Deve ritenersi illegittimo un provvedimento emesso ai sensi dell'art. 208 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 allorché in sede di conferenza di servizi sia intervenuto un soggetto sfornito di rappresentanza dell'organo dell'Ente competente all'adozione del provvedimento richiesto.
Nella specie trattasi di rappresentante non delegato dal Consiglio comunale, organo cui spetta l'approvazione della variante al p.r.g., nell'ipotesi in cui detta variante sia stata approvata. Consiglio di Stato, sez. V, 16/09/2011, n. 5193
Sotto il profilo processuale la giurisprudenza sottolinea  la necessità che sia accertata la  legittimazione ad agire avanti al Giudice amministrativo dei soggetti terzi che si assumevano danneggiati dal provvedimento autorizzatorio emesso.
Il concetto di vicinitas si caratterizza per una intrinseca mutevolezza di contenuti e di confini
La legittimazione ad impugnare i provvedimenti lesivi di interessi ambientali viene riconosciuta sulla base del criterio della vicinitas quale elemento qualificante dell'interesse a ricorrere. Cons. St., Sez. IV, 11 novembre 2011, n. 5896.
 In particolare è stato recentemente affermato che in tema di impugnazione, da parte di un esercente commerciale, di un'autorizzazione ad aprire un nuovo esercizio ad esso concorrenziale, al fine di verificare la legittimazione ad agire, si considera rilevante la distanza tra esercizi.
Con il progressivo sviluppo delle strutture di vendita, si è ampliata l'interpretazione giurisprudenziale della vicinitas, nel senso di dare rilievo al collegamento territoriale in relazione al c.d. “bacino di utenza”. Pertanto, non può ritenersi dirimente, ai fini della legittimazione, l'effettiva distanza lineare tra due attività concorrenti, venendo in rilievo, piuttosto, l'effettiva concorrenzialità del settore merceologico e del bacino di utenza, per cui il criterio topografico della distanza tra due sedi commerciali ha acquisito un contenuto elastico, che va misurato in rapporto ai citati parametri ». Cons. St., Sez. V, 21 ottobre 2011, n. 5656.
Il soggetto deve identificare il bene della vita potenzialmente pregiudicato (ad esempio il paesaggio, l'acqua, il suolo, il proprio terreno ecc.) e successivamente dimostrare che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere « uti singulus » a sua difesa quale è appunto la vicinitas 
il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell'ambiente in cui vive ha l'obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dall'iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l'acqua, l'aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell'interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere uti singulus a sua difesa — di qui il requisito della finitimità o vicinitas in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni. Consiglio di Stato, sez. VI, 13/09/2010, n. 6554.
Il criterio della vicinitas costituisce la base del riconoscimento della legittimazione dei singoli che agiscono a tutela del bene ambientale, ed essa deve essere declinata non tanto nel senso di stretta contiguità, bensì di stabile collegamento tra i predetti singoli e la zona il cui ambiente si vuole proteggere.
Per gli impianti per lo smaltimento di rifiuti la mera vicinanza al predetto impianto è stata ritenuta perfettamente idonea a fondare la legittimità ad adire l'autorità giudiziaria per tutelarsi dalla potenziale lesione al bene ambientale derivante dall'esercizio di una tale attività. 
Se interessati alla localizzazione di un impianto sono anche i cittadini dei Comuni limitrofi a maggior ragione deve essere ritenuto interessato lo stesso Comune limitrofo, il quale, di conseguenza, viene identificato quale Ente interessato alla partecipazione alla conferenza di servizi già più volte citata.
Il criterio della vicinitas non può ritenersi sufficiente a legittimare l'impugnazione di un provvedimento relativo ad una discarica da parte di un Comune limitrofo.
La mera vicinanza di un fondo ad una discarica o ad un impianto di trattamento di rifiuti non legittima di per sé il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento autorizzativo dell'opera, essendo necessaria anche la prova del danno che egli da questa possa ricevere che, esemplificativamente, può essere connesso al fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze o al fatto che le prescrizioni dettate dall'Autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle vicinanze, o anche all'incremento del traffico veicolare. T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 28/08/2012, n. 334.

Ambiente. Ordinanza a provvedere alla bonifica del sito. La responsabilità del proprietario.


Ambiente. Ordinanza a provvedere alla bonifica del sito. La responsabilità del proprietario.

Tra gli strumenti che l'Amministrazione competente può adottare in caso di potenziale contaminazione di un sito con pericolo di inquinamento ambientale rientra quello dell'ordinanza da emanare " dopo aver svolto opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento ", ai sensi dell'art. 244, d.lg. n. 152 del 2006.
Le pubbliche amministrazioni che nell'esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.
La provincia, ricevuta la comunicazione, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere alla bonifica del sito.
L'ordinanza è comunque notificata anche al proprietario del sito.
Se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'amministrazione competente.
Il potere di ordinanza si basa sul principio di matrice comunitaria " chi inquina paga ", non potendosi ammettere un sistema sanzionatorio - o anche di tipo preventivo - che si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui. Il potere di ordinanza affidato all'ente provinciale poggia dunque sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella sanzionatoria.
L'ordinanza emanata dalla Provincia ai sensi dell'art. 244 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 deve basarsi sul principio "chi inquina paga" perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo il quale si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui. Essa non può quindi dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito, che non può essere chiamato in causa se non quando emergano profili quantomeno di compartecipazione colposa alla condotta inquinante. F. Vanetti e E. Alotto, Nota a:T.A.R. Puglia Lecce, 2.11.2011, n. 1901, sez. I, Limiti dell'ordinanza di diffida, ai sensi dell'art. 244 D.Lgs. 152/2006, Riv. giur. Ambiente, 2012, 2, 265.
La sentenza, uniformandosi all'orientamento giurisprudenziale prevalente, torna a riaffermare il principio  chi inquina paga, negando ipotesi di responsabilità oggettiva nei confronti di un soggetto incolpevole. R.F. Iannone, L'azione di bonifica non grava sul proprietario incolpevole del sito contaminato (nota a T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 837/2009), Riv. giur. ambiente, 2010, 2, p. 379.
La sentenza ha ad oggetto l'ordinanza provinciale di diffida di cui all'art. 244 del D.Lgs. 152/2006.
Detto strumento coercitivo è a disposizione dell'Amministrazione per imporre la bonifica, qualora la stessa non sia iniziata spontaneamente dai soggetti privati .  F. Vanetti, Bonifica da parte del proprietario incolpevole: è un obbligo o una facoltà? Nota a T.A.R. Lazio n. 2263/2011), Riv. giur. ambiente, 2011, 5, 660.
La previsione si incentra su un aspetto che è fondamentale e che regge l'impianto stesso dell'ordinanza.
La Provincia ha l'obbligo di svolgere opportune indagini volte ad identificare il responsabile della contaminazione.
L'indagine rappresenta il presupposto stesso dell'ordinanza.
L'ordinanza provinciale può essere emessa solo nel caso in cui l'indagine dia esito positivo ovvero sia individuato il soggetto responsabile della contaminazione.
Tale ordinanza, quindi, può essere indirizzata solo nei confronti di quest'ultimo.
In caso di esito negativo, invece, trova applicazione l'art. 250 D.Lgs. 152/2006 secondo cui « qualora i soggetti responsabili della contaminazione ... non siano individuabili... le procedure e gli interventi di cui all'art. 242 sono realizzati d'ufficio dal Comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla Regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate.
In tale ultima ipotesi si pone l'ulteriore problema di come eventualmente informare della riscontrata contaminazione il proprietario incolpevole del sito, il quale potrebbe avere interesse ad intervenire volontariamente.
In un primo caso, l'informativa potrebbe essere contenuta nell'atto di avvio della procedura d'ufficio e, quindi, di competenza del Comune.
In un secondo caso, invece, il coinvolgimento del proprietario incolpevole potrebbe avvenire contestualmente alla chiusura delle indagini provinciali e, quindi, l'informativa spetterebbe alla Provincia.



Il codice dell'ambiente prevede diverse ipotesi di responsabilità del proprietario. V. Corriero, La «responsabilità» del proprietario del sito inquinato, Resp. civ. e prev., 2011, 12, 2440.
a) la fattispecie relativa all'abbandono e al deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo, art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152/2006.
La natura reale degli obblighi che fanno capo al proprietario incolpevole della contaminazione è confermata dalla differente disciplina prevista dal legislatore nella fattispecie relativa all'abbandono e al deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel sottosuolo.
L'art. 192, comma 3, stabilisce che chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area e, secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte, anche con i detentori di fatto delle aree.
Le esigenze di tutela ambientale sottese alla norma citata rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l'area interessata in un rapporto anche di mero fatto, tale da consentirgli - e perciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente.
Il requisito della colpa ben può consistere proprio nell'omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi. Cass. civ., Sez. Un. civ., 25 febbraio 2009, n. 4472.
La responsabilità deve risultare in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.
Se non si inquadra la disciplina della bonifica dei siti contaminati in un'ottica di funzione sociale della proprietà, difficilmente potrà essere giustificato il discrimen tra il disposto normativo dell'art. 192 e quello sancito dall'art. 253.
La bonifica del sito non segue necessariamente la rimozione dei rifiuti o, più precisamente, l'abbandono dei rifiuti non crea necessariamente una contaminazione delle matrici ambientali (suolo, sottosuolo ed acque sotterranee), in quanto la stessa normativa chiarisce che il passaggio alla vera e propria bonifica si verificherà qualora si accerti il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC).
Esse rappresentano i valori di attenzione dell'inquinamento ex art. 242, comma 3, attraverso i risultati delle indagini preliminari del sito inquinato, e successivamente il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), in base al documento di analisi di rischio sito-specifica, dal quale discende l'obbligo di procedere alla bonifica (art. 242, comma 7).
La dottrina civilistica ha approfondito la natura giuridica della responsabilità solidale del proprietario del sito sul quale siano stati depositati e abbandonati rifiuti critica la trasformazione della natura soggettiva della responsabilità ex art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152/2006, in responsabilità di natura oggettiva. A. Jannarelli, L'articolazione delle responsabilità nell'«abbandono dei rifiuti»: a proposito della disciplina giuridica dei rifiuti come non beni sia in concreto sia in chiave prospettica, in Riv. dir. agr., 2009, 125.
b) la responsabilità sussidiaria del proprietario del sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, ex art. 252-bis, comma 2.
La responsabilità sussidiaria del proprietario del sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale discende e si giustifica in virtù del bilanciamento dei due interessi pubblici riferibili al sito da bonificare, ossia la decontaminazione e la reindustrializzazione, e dell'interesse privato allo sfruttamento economico del bene in un'ottica di sviluppo sostenibile.
Lo strumento procedimentale indicato dall'art. 252-bis è rappresentato dall'accordo di programma tra le amministrazioni interessate e i privati.
L'art. 252-bis, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, si discosta dalla disciplina previgente in riferimento alla responsabilità del proprietario, in quanto l'onere previsto dal decreto Ronchi diventa obbligo.
Non vi è la previsione del limite del valore del fondo, poiché l'obbligo gravante sul proprietario del sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale va oltre il rimborso delle spese di bonifica e si estende al risarcimento del danno ambientale.
Quest'ultimo aspetto conferma ulteriormente la natura reale degli obblighi del proprietario del sito contaminato, che ai sensi dell'art. 253, comma 4, risponde delle spese di bonifica nei limiti di valore del fondo determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi.
c) l'onere reale gravante sui siti contaminati, art. 253.
La giustizia amministrativa imputa il costo del danno al soggetto che ha la possibilità della cost-benefit analysis, per cui lo stesso deve sopportarne le conseguenze per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata per evitarle nel modo più conveniente».
Essa ha precisato che nell'Ordinamento statuale interno è il responsabile dell'inquinamento che deve sopportarne i costi di bonifica, mentre il proprietario incolpevole del suolo sarà chiamato solo in via sussidiaria e comunque nei limiti dell'arricchimento per tenere indenne l'amministrazione dalle operazioni di bonifica.
Più esattamente, il proprietario incolpevole (che non ha nessuna prova da offrire posto che spetta all'amministrazione accertare e dunque provare la responsabilità dell'inquinamento) sarà chiamato a rifondere i costi della bonifica solo in relazione al suo rapporto con il bene, che si traduce in termini di incremento di utilità da comprovarsi (onere della prova a carico dell'amministrazione: si tratta di una azione che rientra nell'alveo dell'art. 2041 c.c. e, in conseguenza, la prova dell'arricchimento - sia nell'an che nel quantum - incombe sull'attore.T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 26/07/2007, n. 1254.
I costi della decontaminazione, generalmente esternalizzati a danno della collettività o di singoli soggetti incolpevoli, devono essere imputati agli inquinatori.
L'obbligo di bonifica dei siti inquinati grava in primo luogo sull'effettivo responsabile dell'inquinamento e può essere posto a carico del proprietario o detentore del terreno inquinato solo se questi è corresponsabile dell'inquinamento stesso. Il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata deve essere accertato applicando la regola probatoria del "più probabile che non": pertanto, il suo positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, quali la tipica riconducibilità dell'inquinamento rilevato all'attività industriale condotta sul fondo. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 24/03/2010, n. 1575.
La responsabilità civile induce le imprese a adottare le tecnologie con minor impatto ambientale e assolve la funzione di ridurre le esternalità negative.
Il principio «chi inquina paga» opera in primo luogo in una logica preventiva dei fatti dannosi e in secondo luogo «in una logica risarcitoria ex post factum», in quanto viene imposto alle imprese l'obiettivo prioritario di internalizzare i costi di alterazione dell'ambiente attraverso l'incorporazione nei prezzi delle merci.
Il Consiglio di Stato sostiene che i costi di alterazione dell'ambiente incorporati nel prezzo delle merci, determinino un prezzo inferiore delle stesse. Nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica vengono realizzate dalle amministrazioni competenti, salvo l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno.Consiglio di Stato, sez. V, 16/06/2009, n. 3885.
Sembra inverosimile che questa incorporazione possa generare un prezzo inferiore delle merci, piuttosto lo incrementa e quindi viola i principi espressi nel Codice del consumo, poiché fa ricadere sul consumatore i costi della decontaminazione.
L'opzione per la responsabilità di natura soggettiva adottata dal legislatore italiano, in contrasto con quanto previsto dalla Direttiva 2004/35/CE, presenta l'inconveniente, peraltro ben affrontato nell'ambito della Direttiva, di rendere più complessa l'imputazione della responsabilità e di vanificare gli strumenti di garanzia derivanti dalle forme di responsabilità indirette o oggettive, e quindi più sinteticamente determina una riduzione quantitativa della tutela.
La prova dell'inquinamento è ammessa in via indiretta, ossia attraverso presunzioni semplici ex art. 2727 c.c.,
Alla luce dell'esigenza di effettività della protezione dell'ambiente, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive e per quelle omissive, e la prova può essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possono trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori. Consiglio di Stato, sez. V, 16/06/2009, n. 3885, Dir. e giur. agr. 2010, 2, 138.
La possibilità di rivalsa garantita alla Pubblica Amministrazione a seguito dell'effettuazione delle opere di risanamento, si giustifica per l'aumento del valore commerciale del bene che ne deriva.
Infatti, ai sensi del comma 4 dell'art. 253, il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare le spese degli interventi adottati dall'autorità competente nei limiti del valore di mercato stimato del sito a valle degli interventi eseguiti.

La giurisprudenza in base all'interpretazione complessiva del disposto degli art. 244, 245, 250 e 253 del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, desume che, nell'ipotesi in cui il responsabile dell'inquinamento non esegua gli interventi di bonifica ambientale o lo stesso non sia individuabile da parte dell'Amministrazione pubblica, e sempre che non vi provvedano volontariamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le opere di bonifica ambientale devono essere eseguite dalla p.a. competente.
Essa ha il diritto di rivalersi sul soggetto proprietario del sito nei limiti del valore dell'area bonificata anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 16.12.2011, n. 1239.

Ambiente. Autorizzazione per gli stabilimenti che producono emissioni in atmosfera.

Ambiente. Autorizzazione per gli stabilimenti che producono emissioni in atmosfera.


L'art. 269, co. 1, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, dispone che  per tutti gli stabilimenti che producono emissioni deve essere richiesta una autorizzazione ai sensi della parte quinta del presente decreto. L'autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento. I singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.
Il legislatore distingue − nell'ambito delle modifiche che, rispetto a quanto indicato nell'autorizzazione o nel progetto o nella relazione tecnica allegati all'autorizzazione, si intendono apportare ad un impianto o ad un'attività già autorizzato − tra le modifiche qualificate dalla legge come "sostanziali" e quelle che tali non possono essere considerate. Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2008, n. 30863.
L'art. 269, comma 8, prevede infatti due diversi oneri in capo al gestore, da intendersi in via alternativa tra loro, peraltro ricalcando il sistema già introdotto per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale dall'art. 10 del D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59.
La ratio del sistema è con tutta evidenza da ricercare nella necessità di sottoporre a preventiva tutela, in quanto in grado di incidere negativamente sull'ambiente, non solo il momento iniziale dell'attività dalla quale scaturiscono le emissioni inquinanti (mediante la richiesta di autorizzazione alle emissioni), ma anche tutte le fasi successive (le modifiche, appunto) in cui si verifichi un cambiamento significativo rispetto a quanto rappresentato all'autorità ed oggetto di sua valutazione.
Il procedimento di autorizzazione è differenziato a seconda della modifica sostanziale o non sostanziale dell'autorizzazione già ottenuta dal gestore, ai sensi dell'art. 269, d.lg. n. 152 del 2006.
Infatti, in caso di modifiche sostanziali va indetta, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, una conferenza di servizi al sensi degli arti. 14 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241, nel corso della quale si procede anche, in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi coinvolti in altri procedimenti amministrativi. In caso di modifiche non sostanziali, invece, è prevista una mera comunicazione e se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla ricezione della comunicazione all'aggiornamento dell'autorizzazione: affinché la modifica sia sostanziale è sufficiente che vi sia un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o un'alterazione delle condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse. Quindi, sono sufficienti modifiche minime concernenti le emissioni per giustificare un procedimento più completo con la partecipazione di tutti gli enti coinvolti e titolari istituzionalmente di un interesse alla tutela dell'ambiente, senza che questo pregiudichi, ove siano rispettate le norme regolanti la materia, lo svolgimento dell'attività. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 21/01/2011, n. 49.
La modifica dell'impianto consistente nella variazione delle modalità di convogliamento delle emissioni (nella specie, riunione in un unico punto di emissione di due punti di emissione preesistenti) costituisce una modifica "sostanziale" ai sensi dell'art. 269, comma 8, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 e, come tale, è sottoposta al medesimo iter autorizzativo previsto per il rilascio "ex novo" dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
E. Pomini, Nota a Cassazione penale , 28/01/2009 n. 10711, sez. III, Consiglio di Stato , 29.4.2009 n. 2746, sez. V, Emissioni in atmosfera: modifiche "sostanziali" e iter autorizzativo, Riv. giur. ambiente 2009, 5, 713.
Le società ricorrenti hanno contestato la sentenza oggetto di gravame nella parte in cui i giudici amministrativi hanno ritenuto pienamente legittimo, ai sensi del citato art. 269, il rilascio di una nuova autorizzazione alle emissioni in atmosfera, con la contestuale imposizione di nuove prescrizioni, a fronte di una domanda di modificazione di un preesistente impianto di emissione finalizzato, in particolare, a riunire le emissioni denominate "E1" ed "E2" scaturenti da due camini distinti di altezza pari a 10 metri in un unico camino alto venticinque metri.
L'amministrazione non avrebbe dovuto attivare l'iter autorizzativo imposto dalla normativa nel caso di rilascio di una nuova autorizzazione, bensì limitarsi ad un semplice aggiornamento di quella esistente.
Nel caso in cui il gestore ritenga "non sostanziale la modifica che intende effettuare, allora deve presentare all'Autorità competente una semplice comunicazione recante l'intenzione di voler procedere a tale modifica. In questo caso, se concorde con la valutazione effettuata dal gestore, l'autorità competente deve procedere, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, scaduto inutilmente il quale il gestore può senz'altro procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata.
Nel caso in cui, invece, l'autorità competente, già in sede di esame della comunicazione presentata dal gestore, valuti come "sostanziale" la modifica, allora ordina al gestore di presentare una vera e propria domanda di aggiornamento dell'autorizzazione, per la quale si applica lo stesso procedimento necessario in caso di rilascio ex novo dell'autorizzazione.
Sembra pacifico che ogni aumento delle emissioni inquinanti, indipendentemente dalla sua "misura", debba essere considerato rilevante ai fini della scelta circa il tipo di adempimento cui il gestore deve sottoporsi prima di procedere all'esecuzione della modifica.
Vale ad integrare i presupposti dell'alterazione delle condizioni di convogliabilità tecnica delle emissioni prodotte da un impianto anche la semplice unificazione, in un unico punto di emissione, di due punti di emissione preesistenti, con conseguente necessità di effettuare una nuova complessiva istruttoria.
Pur nella consapevolezza di dover sempre mirare alla massimizzazione della tutela dell'ambiente, non può infatti negarsi come la semplice operazione di unificazione di due o più punti di emissione, senza che si proceda ad altre variazioni rispetto a quanto rappresentato originariamente in autorizzazione, non costituisca certo una minaccia per l'ambiente tale da giustificare, a priori, la sottoposizione allo stesso procedimento amministrativo − comportante in ipotesi anche una revisione completa dell'atto autorizzativo già rilasciato in capo al soggetto richiedente la modifica − invece imposto (a ragione) nella più grave ipotesi dell'aumento o della variazione qualitativa delle emissioni.
Ciò a maggior ragione se si considera che, qualora anche una modifica interessante solo le modalità di convogliamento delle emissioni, come quella di cui si discute, determini un cambiamento delle stesse, allora si ricadrebbe comunque nella prima parte della definizione normativa oggetto d'esame, con conseguente necessità di avviare un nuovo procedimento autorizzativo a cognizione piena.
La giurisprudenza ha precisato che la presentazione di una domanda di autorizzazione incompleta, perché priva delle indicazioni relative alle caratteristiche tecniche dell'impianto nonché dei valori di emissione, integra il reato di esercizio di impianto in assenza della prescritta autorizzazione in quanto l'incompletezza della domanda è equiparabile all'omessa presentazione della medesima, art. 25, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, oggi sostituito dall'art. 279, comma 1, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152. Cassazione penale, sez. III, 13/11/2007, n. 44298
La Corte costituzionale ha verificato la costituzionalità delle legislazione regionale che hanno regolamentato il rilascio dell'autorizzazione degli impianti che producono emissioni in atmosfera.
È costituzionalmente illegittimo l'art. 15, comma 3, l. prov. Bolzano 10 giugno 2008 n. 4. Premesso che la disciplina statale concernente il rilascio dell'autorizzazione degli impianti che producono emissioni in atmosfera risponde all'esigenza di articolare unitariamente tale attività secondo principi che assicurino l'osservanza dei criteri stabiliti dalla normativa nazionale e quindi vincola il legislatore regionale, e premesso altresì che la norma statale (art. 269 d.lg. n. 152 del 2006), la quale impone che l'autorizzazione preceda la messa in esercizio dell'impianto, costituisce un livello uniforme di tutela dell'ambiente, dettato in materia di competenza esclusiva dello Stato, la norma provinciale censurata, la quale deroga alla norma statale, consentendo al gestore di mettere in esercizio impianti che producono emissioni, prima che l'Agenzia provinciale per l'ambiente esegua il collaudo e rilasci l'autorizzazione alle emissioni, viola la detta competenza statale (sent. n. 250 del 2009). Corte Costituzionale, 4.12.2009, n. 315.

Ambiente. L’impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti. Necessità VIA. Localizzazione.


Ambiente. L’impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti. Necessità VIA. Localizzazione.

Ai fini della normativa di tutela ambientale l’impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche non va considerato come un mero impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette sostanze.
Ai fini dell'applicazione della normativa in materia ambientale, infatti, non rileva soltanto il prodotto finale costituito dall'energia bensì il processo produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell'impianto, oltreché il materiale di risulta, ossia il digestato.
L'Allegato C alla parte quarta del D. lgs 152 del 2006, il cosiddetto Testo Unico dell'ambiente , elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (vedi la categoria R1).
L'utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell'impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti.
Per la giurisprudenza i liquami hanno natura di rifiuti.
Un impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche, ai fini della normativa di tutela ambientale, non va considerato come un mero impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette sostanze e ai fini dell'applicazione della normativa in materia ambientale non rileva soltanto il prodotto finale costituito dall'energia bensì il processo produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell'impianto, oltreché il materiale di risulta, ossia il digestato.
Anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento.
Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze.
In definitiva ricorrono le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
L'Allegato C alla parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, il cosidetto Testo Unico dell'ambiente, elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (categoria R1) e pertanto l'utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell'impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 9.7.2008, n. 3296.
La modifica del testo unico dell'ambiente, adottata con D.Lgs. 4 del 2008, ha modificato l'art. 185 introducendo ancorché "potenzialmente" i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati per produrre biogas. In particolare l'art. 185 novellato stabilisce che possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1, dell'art. 183: materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore o biogas.
Alla luce della nuova normativa, dunque, qualora i liquami soddisfacessero i requisiti di cui all'art. 183, comma 1, lett. p), ne deriverebbe che gli impianti di produzione di biogas non dovrebbero essere considerati impianti di recupero dei rifiuti.
L'assoggettamento del regime autorizzativo dell'impianto di biogas alla normativa sui rifiuti si ha qaundo gran parte delle sostanze da cui deriva il biogas costituiscono un rifiuto e, pertanto, l'impianto in parola ben può essere considerato anche un impianto di recupero dei rifiuti non pericolosi...
I liquami, ai sensi del D.Lgs. 152 del 2006 non potevano rientrare nella nozione di sottoprodotto proprio perché indicati nella citata tabella dei rifiuti e, poi, perché non ricompresi nella nozione generale di sottoprodotto di cui all'art. 183 dello stesso D.Lgs.
Il loro utilizzo per produrre energia richiedeva la trasformazione in biogas e, quindi, una trasformazione tramite un successivo processo produttivo, dovendosi ritenere cumulativi i requisiti indicati dallo stesso art. 183.
Possibili profili di problematicità della esclusione dall'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti delle suddette sostanze organiche sussistono anche alla luce della novella legislativa.
Rimane da verificare l'esistenza dell'ulteriore requisito imposto dalla normativa comunitaria "ossia se per il riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonché essere potenzialmente fonte di quei danni per l'ambiente che la normativa mira specificamente a limitare, esso non può essere considerato certo e né prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (Corte di Giustizia CE, Sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05)". E. Tanzarella, Nota a Tar Bologna, Sez. II, 9 luglio 2008 n.3296, Riv. giur. ambiente 2009, 1, 203
La giurisprudenza ha precisato che ai fini della applicazione della v.i.a. gli impianti di recupero dei rifiuti vanno ad ogni effetto equiparati a quelli di smaltimento.
È altresì fondata la censura con la quale i ricorrenti rilevano il mancato rispetto della normativa che disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge regionale Emilia - Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica "screening" ed eventualmente, all'esito della stessa, al successivo assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli artt. da 11 a 18, in quanto il biogas ed il digestato sarebbero prodotti chimici.
Infatti, appare decisiva a tal fine la qualificazione normativa di cui all'allegato I, paragrafo 4.3 del D. lgs 59/05 che espressamente ricomprende tra gli impianti chimici quelli "per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio (fertilizzanti semplici o composti)", senza distinguere tra i vari processi di produzione, di sintesi o meno.
L'allegato II alla direttiva 85/337 ricomprende tra l'industria chimica (progetti non ricompresi nell'allegato I per i quali la V.I.A. è obbligatoria perché imposta dalla direttiva stessa) gli impianti di "trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici".
L'articolo 4 della legge regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B. 3, che non ricadono all'interno di aree naturali protette, sono assoggettati alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9 e 10 della stessa legge.
Il punto B. 1.10 del citato allegato prevede gli impianti "trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici, per una capacità superiore alle 10.000 t/annuo di materie prime lavorate"
Conseguentemente, l'impianto in contestazione doveva essere sottoposto alla procedura di "screening" anche per questa ragione.
Inoltre anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze".
In definitiva ricorrono le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
Sulla non classificabilità del biogas quale rifiuto si registra il seguente precedente del T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 24 maggio 2007, n. 1430, in Ragiusan, 2008, 157.
Il biogas residuale dal ciclo di depurazione dei reflui aziendali, utilizzato come combustibile gassoso costituisce un prodotto intermedio del complessivo ciclo di produzione aziendale strettamente funzionale al suo reimpiego per la produzione di energia termica, e finalizzato ad un tempo al risparmio energetico e al rispetto dell'ambiente, non qualificabile come rifiuto, poiché esso viene riutilizzato, senza alcuna operazione di "disfarsi", vale a dire senza trasformazioni assimilabili ad operazioni di rifiuto-smaltimento di rifiuti a trasformazioni tecnologiche". Quanto alla necessità di via per gli impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 11 settembre 2007, n. 2107, in Amb. Svil., 2008, 2, p. 168. In generale sull'energia da fonti rinnovabili, con particolare attenzione alla proposta Commissione europea 23 gennaio 2008 di direttiva per raggiungere l'obiettivo comunitario consistente nel soddisfare, entro il 2020, mediante fonti rinnovabili, il 20% del consumo interno di energia, M. D'Auria, La proposta di direttiva sulle energie rinnovabili: la strategia europea", Rivista GA,  2008, 927.
Inoltre anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze".
In definitiva ricorrono le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
La Corte costituzionale ha verificato la costituzionalità delle legislazione regionale che hanno regolamentato la procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di generazione dell'energia elettrica da biometano e biogas
E’ stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, comma 9, della legge della Regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 , che limita a soggetti individuati (imprenditori agricoli professionali iscritti da almeno tre anni alla Camera di commercio; giovani imprenditori agricoli; società agricole), la possibilità di esperire una procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di generazione dell'energia elettrica da biometano e biogas , atteso che tale normativa censurata non può dirsi rientrare nei margini di scelta consentiti alle Regioni, poiché nella legislazione statale nulla permette di giustificare una restrizione all'accesso alla procedura semplificata su base soggettiva, sia per ragioni testuali, sia considerando lo spirito dell'intera normativa, volto a promuovere la diffusione delle energie rinnovabili. Corte Costituzionale, 20/04/2012, n. 99
Il legislatore statale, infatti, attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, e, con specifico riferimento alla Regione autonoma Sardegna, di cui all'art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto.
La Corte ha ripetutamente affrontato tale problematica con riferimento al decreto legislativo 29 dicembre del 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) (ex multis, sentenze nn. 310, 308 e 107 del 2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006), e al decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) (sentenze n. 308 del 2011 e n. 344 del 2010).
Nel caso oggi in esame, va riaffermato il medesimo principio con riferimento al decreto legislativo n. 28 del 2011, rispetto al quale la normativa regionale è in questa sede censurata. Il decreto legislativo n. 28 del 2011 reca norme di attuazione della direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009, che in materia di procedure di autorizzazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili invita gli Stati membri a preferire procedure semplificate e accelerate, prevedendo tra l'altro forme procedurali meno gravose per i progetti di piccole dimensioni (art. 13).
L'art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, in attuazione della direttiva europea sopra menzionata, disciplina una procedura abilitativa semplificata per la costruzione e l'esercizio di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, riconoscendo inoltre alle Regioni e alle Province autonome la facoltà di estendere «la soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino a 1 MW elettrico.
Essa  definisce, altresì, i casi in cui essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l'esercizio dell'impianto e delle opere connesse sono soggette altresì all'autorizzazione unica», disciplinata al successivo art. 5 del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011.
La disposizione statale, dunque, - recependo tanto il generale orientamento di favore della direttiva europea verso la produzione di energia da fonti rinnovabili (sentenza n. 124 del 2010), quanto, più specificamente, per gli aspetti procedimentali rilevanti ai fini della presente decisione, l'obiettivo di estendere al massimo il ricorso a procedure leggere, che incentivino l'insorgere di impianti anche di piccole dimensioni - ha introdotto una procedura semplificata, dando altresì facoltà alle Regioni di estenderne l'ambito di applicazione fino ad una soglia massima di potenza di energia elettrica pari a 1 MW. A fronte di tale disciplina, europea e nazionale, la legge regionale interviene con una disposizione restrittiva, che limita sul piano soggettivo il ricorso alla procedura semplificata, individuando nominativamente i tipi di operatori economici ammessi al beneficio procedurale. In tal modo la legge regionale si pone in contrasto con la disposizione statale contenuta nell'art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, considerata tanto nel suo tenore testuale, quanto nel principio fondamentale che essa esprime, di favore per la semplificazione delle procedure necessarie all'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

martedì 15 gennaio 2013

Teatro Libero Via Savona 10 Milano

Teatro Libero Via Savona 10 Milano
La Sig. D. abita in Vai Visconti di Modrone. Una via elegante a due passi dal centro. la gente lì è molto impegnata deve vivere molto rapidamente per guadagnare e fare compere.
C'è poco tempo per fermarsi e scambiare due chicchere, c'è poco tempo per la fantasia.
E' una Milano da bere in fretta e poi via a lavorare per fare soldi da spendere nel fine settimana fuori Milano in posti giusti di vacanza.
Non puoi fermarti instrada perché il traffico è continuo assordante parlare è difficile devi andare correre sempre.
Ad un certo punto della sua vita la sig. D. ha preso un tram il 9 si è fermata al capolinea, alla stazione di porta Genova.
Lei ha preso la destra, ha superato col sopra passaggio i binari poi ha proseguito dritta per una stradina stretta fino in via Savona.
Lì la gente è ferma sulla strada davanti ai bar che si aprono frequenti . hanno un bicchiere in mano o una sigaretta e sembra di non esser più a Milano non c'è fretta ognuno si prende il suo tempo per parlare per conoscersi.
Poi alle ventuno scatta la magia del teatro.
Se prendi l'ascensore e ti inerpichi sino all'ultimo piano del numero 10 di Via Savona entri nel mondo della fantasia.
E' il mondo del Teatro.
La realtà cambia non è quella di tutti i giorni ma quella dei personaggi che si muovono sulla scena e tu puoi diventare protagonisti di quel nuovo mondo tutto da scoprire.
Lì ritrovi i tuoi compagni di corso che o sono sulla scena o vengono a piangere o ridere delle tue interpretazioni.
E? un modo diverso fantastico ma nel contempo più reale perché più attento ai bisogni della persona.
quando le luci illuminano la scena tutto si trasforma e tu puoi diventare protagonista di storire non tue impossessarti del personaggio e perdere per brevi istanti la tua identità e con essa i tuoi problemi per assumere una nuova vita che darà più forza e vigore alla tua.
Non c'è un grande soprintendente da un mille di euro a dirigere il Teatro, ci sono persone che amano ciò che essere in scena rappresenta per la loro vita.


lunedì 14 gennaio 2013

I tre fratelli. Le scope di saggina





I TRE FRATELLI


Storie di famiglia  narrate da Marta e Giovanni Mondini

raccolte da Nicola Centofanti




























INDICE






Presentazione

Ci sono dei momenti della vita nei quali hai voglia di fare il punto sul tuo passato e raccogliere i fatti di famiglia per tramandarli alla memoria dei tuoi figli o dei tuoi nipoti.
Assecondando i desideri di Marta e Giovanni dopo la perdita del terzo fratello Paolo ho raccolto le loro testimonianze sulla storia della loro famiglia.
Tutti coloro che ritengono di rettificare il contenuto romanzato della storia dei tre fratelli possono farlo su    www. Dirittoamministrativoconcentofanti/blogspot.it/.it  dove il racconto è scaricabile gratuitamente. 
L’autore

























Toni Facco dalle campagne del natio Veneto è emigrato in Svizzera e poi in giro per l’Europa a fare affari.
Faccia rotonda, viso pacioso, occhi determinati di chi sa quello che vuole e quello che potrà ottenere dalla vita Toni ha vissuto in pieno il significato della dura quotidianità nei campi e fortemente ha voluto creare per sé ed i suoi cari una prospettiva di benessere .
Lì a Marsango , dove i suoi sono nati ed abitano tuttora, la terra  non basta per darti da mangiare, si lavora tutto il giorno e non si riesce a rimediare neppure un pasto decente.
In quel paese come in tutta la campagna del Veneto c’è solo poenta e fadiga.
Non ci sono industrie né artigiano che cerchino manodopera, se vuoi mangiare non ti resta che il lavoro  nei campi.
Toni è estroverso e brillante, lui che ha facilità nel contatto con le persone si è messo nel commercio.
Prima ha incominciato al sua carriera come garzone di bottega poi ha cercato di mettersi in proprio.
E’ riuscito ad aprire un magazzino di scope a Milano in zona a ridosso del centro vicino a Piazza della Repubblica.
E’ un ripostiglio più che un negozio pieno di prodotti,  ma con un vasto retrobottega dove può stipare la sua mercanzia.
L’opportunità è arrivata quando ha conosciuto Albert.
Uno svizzero quadrato, dalla mascella volitiva, fisico asciutto e determinato un automa da lavoro , un automa da lavoro che non si stanca mai di stare in negozio a lavorare.
Lo svizzero  si è fatto conquistare dall’energia di quegli occhi che sprizzano voglia di farcela.
Il progetto di Albert è quello di realizzare una linea di prodotti di pulizia da commerciare in Svizzera a Lugano deve ha già un negozio di generi alimentari.
L’idea è piaciuta a Toni anche perché rimanere fermo in un posto non fa per lui.
Il veneto vuole cercare sempre nuove opportunità.
Creare praticamente dal nulla una società con uno svizzero gli piace e così ha incominciato a commerciare con quella nazione così ostile agli immigrati italiani.
Si sa in Svizzera hanno il culto della pulizia e lì di scope se ne vendono un sacco.
Toni è abituato a viaggiare in treno alla caccia di prodotti da commercializzare nella sua azienda di Milano.
I viaggi fra Marsango e Milano, Milano e Lugano si fanno via via più numerosi e gli affari incominciano ad andare bene.
Toni che vede lontano è alla continua ricerca di nuovi mercati dove comprare prodotti che costano poco per poi rivenderli in Italia  o in Svizzera ad un prezzo che gli consenta un giusto guadagno.
Toni ha un sogno emergere da una classe sociale di povertà e raggiungere  il benessere passando dal ruolo di modesto commerciante ad imprenditore.
Gli hanno detto che la saggina, che si trova per poco all’est, è ottima per fare scope.
Così  è partito alla volta di Budapest alla ricerca della saggina.
In tal modo oltre che commerciare forse le scope le può produrre in Italia magari a Marsango.
Da commerciante può diventare imprenditore e realizzare una piccola azienda dove produrre le sue scope.
Toni non rimane mai a coltivare una sola iniziativa, ma ha pensato bene di aggiungere al commercio la produzione scope.
Si è ricordato della miseria che accompagna le sue genti nel Veneto e un po’ per aiutare gli altri ed un po’ per realizzare un affare più grosso ha messo in piedi una fabbrica a Marsango.
Reclutare manodopera non specializzata non è stato molto difficile visto che braccia a basso costo abbondano in quel paese di mezzadri e di coltivatori diretti di aziende di piccole dimensioni che non danno grandi utili.
“Vien a lavorare con mi” dice ai contadini.
“Nialtri magnemo polenta e fadiga a lavorar nei campi, se podemo guadagnar de più se metaremo a fabricar scope!” gli rispondono quasi tutti quelli che interpella e così nasce la prima industria di scope nel padovano.
Non si mai capito se i contadini sono rimasti contenti a lavorare con Toni o se si sono sentiti sfruttati per quel tipo di lavoro da svolgere in fabbrica.
Una cosa è certa che i redditi sono aumentati e che mangiare polenta e fatica è rimasto un ricordo di tempi duri ora passati e che si spera non debbano ritornare.
Le sue nipotine avrebbero chiamato Toni Facco nonno Eppe.

























2.                                       Marta la paziente.

Nella tranquilla campagna mantovana a Marmirolo Brolo Orto Cesare Mondini conduce la sua tranquilla esistenza nella Villa Bella .
Alto, robusto, con la faccia quadrata incorniciata da due autorevoli baffoni con la punta all’insù e la mascella volitiva incute a quelli che lo avvicinano un reverenziale rispetto.
Si è sposato da poco con Aurelia Balestreri figlia di agricoltori anche lei nata per vivere in campagna.
E’ una bellezza fiera quella dell’Aurelia. E’ una donna pragmatica, determinata, proveniente da una famiglia di agricoltori dove l’amore per il lavoro nei campi è una ragione di vita.
Lei ha fatto innamorare di colpo il bel Cesare.
Nel 1914 è nata la prima figlia Martina.
Martina è la prima figlia e i primi figli si sa cominciano a lavorare da subito.
Lei da brava donnina di casa è sempre pronta a mettersi a disposizione dei genitori e si sa che in campagna c’è sempre qualcosa da fare.
E’ una bambina dagli occhi dolci e dal viso rotondo che induce fiducia.
Tutti si rivolgono a lei per chiedere un piacere od un piccolo servizio perché chi è disponibile non è mai lasciato in pace.
Il clima sociale non dei migliori.
La presenza di una bambina disponibile che non protesta mai e che si fa in quattro per essere utile ai genitori è apprezzata anche dai braccianti.
I turni di lavoro sono pesanti.
Il reddito prodotto dall’azienda è scarso e bisogna riaprtirlo tra proprietario, affittuario e contadini.
Un dipendente deve gestire 10 capi di bestiame, mungere dare da mangiare, tenere pulita la stalla.
Non esistono macchine tutto è fatto a forza di braccia usando pala e forcone per portare il fieno.
In tutto i dipendenti sono una ventina .
Cesare non ha bisogno di molte parole per farsi ubbidire.
“Hai accudito alle bestie?”  chiede con piglio interrogativo.
“Ho fatto signor fattore” risponde l’avventizio leggermente intimorito.
“La lettiera non è fatta bene, ci vuole più paglia”
A Nino non sfugge nulla; per lui sono i particolari che fanno la fortuna o la rovina di una grande azienda .
Tutto deve essere in ordine.
Tutto deve filare liscio come l’olio.
Passa la giornata intera a controllare e a dare istruzioni ai contadini.
“ Tieni pulite  le mucche.” si raccomanda a Ernesto che funge da fattore, meglio da porta ordini perché il capo è lui il Nino e non c’è ne devono essere altri a  comandare fuori che lui.
“Maledetta miseria un’altra vacca si è azzoppata.
La prossima volta la faccio pagare a te” urla all’Ernesto che è anche il bersaglio delle ire immediate del capo assoluto.
Gli animali  azzoppati servono per la produzione di carne, ma ugualmente sono un perdita nell’economia aziendale perché non è quello il destino della vacca.
La vacca deve fare latte per tutto il tempo del suo ciclo fisiologico.
All’epoca la gente mangia poca carne.
Si consuma quello che si produce: polenta e polli ed oche che si allevano all’aperto nell’aia.
La Martina non è ancora così grande per andare a dare una mano e si balocca nel giardino di casa.
Lei ha ancora l’età per giocare con le oche.
Si diverte a mettere in riga gli animali da cortile a dare degli ordini così come suo padre a quel piccolo gruppo di sottoposti.
Lei , però, non si sogna di sgridare le sue ochette.
Con voce dolce le invita  a girare da un lato all’altro della grande aia per portarle a prendere cibo o per condurle con lei in giochi di fantasia.
La piccola  ha imparato a sue spese a stare attenta alle oche soprattutto da quando una le si è rivoltata contro forse perché stuzzicata, sia pure involontariamente, e le ha beccato un ginocchio. 
La Marta non se l’aspetta che un’oca, quella che le è più affezionata, possa rivoltarsi contro di lei, ma è stato così.
Nella vita spesso gli amici più fidati se la prendono per uno sgarbo involontario che ritengono una grave offesa e ti si rivoltano contro causandoti un grande dolore.
Marta , però che è nobile d’animo, non se l’è presa ed ha continuato a volere bene alla sua amica oca.



























La guerra scoppiata l’anno successivo ha complicato di molto il tranquillo menage.
Per fortuna che l’Aurelia è una donna in grado di condurre l’azienda anche senza il marito.
Cesare è a Desenzano.
La cittadina non è molto lontano dalla azienda.
E’ comandato come portaordini presso il centro alta velocità.
Gli hanno affidato per il suo delicato compito una moto potente per girare i comandi dell’alta Italia.
Spesso riesce a fare una salto in cascina se deve passare di lì per il suo compito di collegamento.
In cascina l’Aurelia si dà da fare e sostituisce alla meglio il marito assente.
Riesce a guadagnare bene vendendo il fieno per i cavalli agli ufficiali dell’esercito.
Cesare è un ottimo promotore dei suoi prodotti.
Il portaordini è un tipo sanguigno e vivace.
E’ un bell’uomo robusto e forte e con l’Aurelia fa proprio una bella coppia.
Spesso si ritrovano all’albergo Barchetta di Desenzano dove staziona il centro base dell’esercito e possono passare qualche ora felici dimenticando le angosce della guerra incombente.
I tempi sono duri per chi vive in campagna.
Cesare è pienamente consapevole del fatto che bisogna difendere l’azienda, vacche e raccolto a tutti i costi per garantire un avvenire alla sua famiglia.
La paura della guerra non è ancora passata, ma i due hanno fiducia nel futuro  e mettono in cantiere un secondo figlio.
Lui però non teme nessuno e guarda con fiducia al futuro.
Durante il periodo delle elezioni del maggio 1921 ci sono stati mesi di scontri continui che proseguono sino alla tregua agraria dell'estate.
Farinacci, conosciuto come il ras di Cremona, organizza il partito nelle zone rurali della bassa padana, e diviene esponente di spicco della linea collegata agli agricoltori  del nord.
Per tenere l’ordine nella cascina agricoltori e i dipendenti più fedeli si organizzano per presidiare le stalle e stabilire i turni di mungitura nei momenti si sciopero.
“Dobbiamo garantire la produzione di latte .
Le mucche hanno bisogno di essere munte se no sai che muggiti strazianti al notte.
“Ti ricordi l’ultimo sciopero.” Nino freme al pensiero che le sue vacche possano essere maltrattate.
Giovanni non è ancora nato, ma con certezza sarebbe stato uno di loro avrebbe sicuramente fatto parte di un movimento che si impegna di tutelare l’impresa di suo padre e il suo lavoro.
Un altro problema da non sottovalutare per  Cesare è il pericolo comunista.
Non è una fisima, ma un  pericolo reale.
I comunisti sono quelli che cercano di portagli via l’azienda in una visione collettivista della proprietà. Una impostazione del tutto contraria a quella logica imprenditoriale che fa parte dell’educazione ricevuta da suo padre.
E’ in gioco la sopravvivenza del suo mondo al quale non vuole rinunciare.
Al produzione consente di realizzare pochi denari.
Cesare come affittuario deve pagare l’affitto al proprietario ai contadini deve fornire, oltre alla paga, legna secca latte e granturco.
Cesare non cerca, almeno in quel periodo, di diventare proprietario di una azienda agricola, magari acquistandone una di modeste dimensioni.
Non ci ha mai pensato e forse neppure ci tiene.
“Il mio lavoro è fare l’imprenditore.
Il mio mestiere è fare girare i denari piuttosto che tenerli impegnati nell’acquisto di una azienda sicuramente più piccola che non mi dà soddisfazione nella sua gestione.” ha sempre pensato così.
Col giro dei soldi può gestire aziende di rilevanti dimensioni e divertirsi ad organizzare il lavoro dei dipendenti.




































Nella tranquilla campagna mantovana  a Marmirolo Brolo Orto nella cascina di Cesare nasce Paolo nel 1918.
La sua nascita porta fortuna perché sei mesi dopo la guerra finisce.
E’ un bel bambino robusto con la faccina intelligente.
Diverrà alto perché ha due gambette lunghe dicono gli zii di Pontepossero che sono venuti a congratularsi.
Tutti sono contenti anche se i tempi sono grami perché una nascita è una benedizione e in campagna c’è sempre bisogno di braccia.
La guerra finisce ma la situazione sociale non si tranquillizza anche se i fanti non muoiono più sul Carso e sulla linea del Piave.
La nazione vive momenti di grande incertezza.
Nel 1919 un decreto governativo autorizza le occupazioni delle terre nel Lazio e nel Mezzogiorno.
 Si invocano nuove regole per la divisione dei frutti della terra fra chi è proprietario e chi la lavora.
Il cattolico popolare Miglioli a Cremona guida l’invasione dei campi e si iniziano degli esperimenti contrattuali che  hanno però la funzione di esasperare le posizioni delle parti.
Il lodo Bianchi che tenta di conciliare le parti viene cancellato.
Più che in un clima di pace agreste i piccoli Martina e Paolo crescono in un ambiente caratterizzato da forti tensioni sociali.
Il padre è agricoltore e difende con tutti i mezzi la sua terra che coltiva con amore.
A seguito di uno sciopero generale organizzato dalle leghe nel luglio del 1922 il Governo Facta va in crisi.
Per i fascisti bisogna reagire alle provocazioni di piazza per imporre ordine e disciplina.
La classe dirigente italiana non è in grado di esprimere una linea vincente che possa prendere in mano il potere dopo le dimissioni del governo in carica.
Con queste premesse il re Vittorio Emanuele III non trova di meglio che affidare a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo dopo che il partito fascista ha organizzato la marcia su Roma.
Il re ritiene che sarebbe stato garante della corona dei Savoia.
Cesare ha partecipando con entusiasmo alla marcia convinto che i fascisti possano portare tranquillità nelle campagne.
“Non posso che sostenere chi difende il nostro lavoro e le nostre aziende “ ripete e parte alla conquista di Roma.
Ritornato trionfatore e galvanizzato dalla facilità di quell’impresa nello stesso periodo Cesare fonda il fascio di combattimento nella vicina Gabioneta con il suo grande amico Farinacci e con altri agricoltori  e affittuari sostenuti  da qualche dipendente.
Poche ore dopo la notizia della costituzione dei Fasci fa il giro del paese.
C’è l’ennesimo sciopero in corso e gli animi sono in ebollizione.
I contadini più sindacalizzati incominciano da organizzare i controlli per verificare che l’ordine di sciopero sia rispettato.
Cesare  è nella stalla a controllare la mungitura e per sostenere quelli che non aderiscono allo sciopero proclamato in quell’occasione.
“Non posso tollerare che le vacche muggiscano senza tregua la notte per non essere state munte regolarmente.” ripete ai mungitori
Quei muggiti gli sembrano dei lamenti delle compagne della sua esistenza cui lui deve tutto: sono la sua vita, il suo lavoro.
In quel mentre arrivano i compagni che, invece, vogliono fare rispettare l’ordine di sciopero.
A loro non interessa nulla che le mucche muggiscano .
Odiano la maledizione di San  Martino quando devono prendere le loro poche  cose e abbandonare la casa e l’azienda.
Se la prendono senza fare distinzione contro tutti quelli che si oppongono all’ordine di sciopero .
Pieni di rabbia aggrediscono a bastonate con cipiglio assassino Nino mentre è intento a controllare i lavori nella stalla.
Cesare non esita a prendere la pistola che in quei tempi tiene sempre con sé.
“ Fermatevi o vi ammazzo.” urla determinato.
Poi spara contro il gruppo per cercare di fermarli.
“Ahhh” si ode un gemito e cade uno degli scioperanti ferito.
La paura di esser colpiti ferma per un istante la piccola folla di scalmanati poi un urlo:
“ Addosso.”
Cesare non riesce a sparare un altro colpo perché gli uomini lo hanno già raggiunto infuriati.
“Ti comporti come un cane padrone adesso ti prendiamo.” gli urlano.
Aurelia che assiste alla scena teme il peggio e sviene bianca come un cencio.
 Cercando di scappare da una gragnola di calci e pugni Cesare si rifugia in una casa della cascina dove abita la moglie di un mandriano che lo conosce e lo protegge dall’ira dei giustizieri.
Dicono che fosse una sua fiamma di gioventù.
La moglie del mandriano lo rifugia nella sua casa a rischio di buscarle sottraendolo al gruppo degli inseguitori.
“Cosa ci guadagnate a ucciderlo” urla  alla folla inferocita.
“Perderemo il lavoro e voi lo avrete sulla coscienza. Se ha fatto del male a qualcuno ci penseranno i carabinieri a punirlo”.
Neanche il penalista più di grido sarebbe stato capace di convincere la più severa giuria con un discorso così efficace.
Nel corso della aggressione, però, il Nino ha sparato un colpo colla propria pistola e quel colpo accidentalmente ha colpito uno degli aggressori.
Il ferito è portato d’urgenza in Ospedale.
Cesare riesce a nascondersi in casa dagli ultimi assalti sferrati con la voglia di prenderlo a bastonate.
La mattina seguente la Guardia regia si è presentata puntuale alle porte dell’azienda per portarlo in prigione.
Il giudice della Pretura di Ostiano ha capito la situazione.
Nino era solo contro la moltitudine degli scioperanti scatenati ed ha tenuto conto delle circostanze attenuanti della provocazione e del fatto che Cesare da solo è stato attaccato da un gruppo sobillato.
“Il Cesare ha reagito per evitare un pericolo grave alla sua persona.” sentenzia il giudice.
D’altronde non vuole nemmeno scontentare i dimostranti che vogliono una pena esemplare perché alla fine un ferimento c’è stato.
“in ogni caso c’è stato un eccesso colposo nella legittima difesa” precisa per giustificare la condanna.
Per le ferite causate al manifestante Cesare ha una condanna a tre mesi di carcere.
La pena è stata trasformata in libertà vigilata forse per l’intervento di Farinacci, grande amico del Cesare, che ha fatto pesare il fatto di essere il capo dei Fasci di combattimento di Gabioneta.
Poiché gli animi sono esasperati il capitano della Polizia Regia lo invita alla prudenza.
“Non siamo in grado di garantire la protezione soprattutto se lei vive in una cascina lontano dalla postazione di Polizia” gli dice amichevolmente.
“Vada lontano dal paese dove le forze dell’ordine possono dare una maggiore tutela alla sua stessa incolumità.”
Quando il controllo dei Fasci di combattimento si è consolidato Cesare è ritornato a  casa
Dopo questo episodio siccome la situazione non è tranquilla a causa di ogni tipo di violenza agli uomini e alle bestie.
La zia Elide, sorella della mamma, va a  prendere la Martina e Paolo li porta a Robecco nella sua cascina.
La zia Elide è una Balestreri sorella di Aurelia che ha sposato un Braguti.
I Balesteri sono tutti agricoltori uniti fra di loro e pronti a darsi una mano a vicenda.




































Toni Facco ha conosciuto Paulette una francesina tutta riccioli e finesse come Dio comanda ad una fiera di Parigi.
Piccolina, ben proporzionata, con un gradevole chiacchierio ha incantato il veneto abituato alle donne spigolose delle sue terre.
Se ne è invaghito e non ha saputo resistere al fascino parigino.
Abituato a correre su è giù per l’Europa in cerca di affari non si spaventato di una relazione a quasi mille chilometri di distanza.
Milano - Parigi rientra ora nelle sue mete alternando al lavoro i piaceri del cuore.
 A Parigi hanno inaugurato la nuova stazione in occasione dell’esposizione mondiale del 1900 arrivare dall’Italia è diventato più semplice.
Si è sposato dopo un breve fidanzamento ed ha vissuto a Parigi per alcuni anni poi si è trasferito a Milano sede dei suoi affari.
I due hanno avuto una bambina di nome Giuliette chiamata famigliarmente Titti.
Oggi 20 giugno 1924 a Milano è una bella  giornata di sole.
Giuliette è raggiante si rimira alla specchio.
Sua madre Paulette ha fatto un capolavoro.
“ Tu vois quelle merveille” la mamma è giustamente felice di quei boccoli che incorniciano un visetto vispo e sbarazzino molto compreso della sua bellezza.
Nonostante abbia soggiornato a più riprese in Italia la mamma non ha rinunciato a parlare in francese.
Titti si rimira compiaciuta nello specchio che la madre le porge e pensa che ci sono delle buone probabilità di successo per il concorso.
Mamma e figlia sono in gran fermento perché devono partecipare ad una manifestazione che premia le bambine più carine e Giuliette ha una grande probabilità di vincere,
Lo charme francese contraddistingue anche le bambine più piccole e le mette in grande vantaggio sulle concorrenti provinciali.
Non c’è storia rispetto a chi viene da Parigi!
Un po’ di moine e di sorrisini sul palco ed il gioco è fatto.
“Primo premio per la piccola Giulliette.”
“ La nostra piccola francesina ha vinto.
Un bel applauso per la nostra ospite.” proclama il presentatore della manifestazione.
“Non può andare meglio” ripete fra sé la piccola ed è felice pensando a quando darà la notizia a  suo padre Toni, come lo chiama affettuosamente.
Lui sarà a maggiore ragione orgoglioso della sua bambina preferita anche dopo la nascita del piccolo Alberto.
Il piccolino, si fa per dire perché è un maschietto paffuto con due grandi occhi neri, diviene per compensare il beniamino di sua madre.





















La Facco s.p.a. nasce a Milano nel 1929 dando inizio ad un’attività di commercio all’ingrosso di prodotti per la pulizia domestica e professionale.
Proprio negli anni della grande crisi Toni è così solido che inizia e consolida la sua attività commerciale.
La produzione di scope che è l’attività prevalente di Facco fino a quel momento è andata in crisi perché alla lavorazione fatta a mano si è sostituita quella industriale.
I bene informati dicevano che con le macchine si sarebbe avuto più lavoro, ci sarebbe stata più produzione e più ricchezza.
La rivoluzione industriale , in varie situazioni ha, invece, creato più disoccupazione perché il lavori manuali , soprattutto quelli più umili sono stati sostituiti dall’attività delle macchine
All’inizio le scope le cuciono a mano le donne poi, con l’avvento delle macchine, bisogna aggiornarsi o aver i capitali per affrontare questa vera e propria rivoluzione nella produzione o chiudere la fabbrica.
Ci vogliono più macchine e più produzione per reggere la concorrenza e fare lavorare lo stesso numero di operai di prima.
Se non si hanno i capitali necessari il vecchio modello deve essere cambiato.
Pronto a captare nuove opportunità Toni decide senza perdere molto tempo di chiudere la fabbrica.
Non è un uomo che può vivere tutto il giorno chiuso in una fabbrica a controllare la produzione non si sente in grado di seguire personalmente gli operai.
Lui preferisce investire i suoi denari nel commercio e comincia  a girare per l’Europa alla ricerca di nuove opportunità.
Vuole investire in settori dove sussistono ancora forti margini di guadagno.
Gli affari proseguono, comunque, anche a Marsango cambiando modulo organizzativo.
Toni ha trovato il sistema di fare produrre le scope in casa dagli stessi operai diventati artigiani.
In tal modo non deve pensare alla produzione, ma solo alla commercializzazione degli stessi prodotti che prima produceva direttamente.
La fabbrica di Toni in un battibaleno si è delocalizzata nei vari magazzini e sottoscala dei nuovi artigiani dove si è spostata la nuova produzione. Nel suo piccolo Toni ha vinto così la battaglia contro la grande depressione che in quegli anni si abbatte sull’Europa.
 “Xe proprio un gran sfrutamento”protestano i nuovi artigiani.
“Forse xe meio cusì.
Gavemo la possibilità di crearse un futuro!”  pensano quelli che vedono elevata la loro posizione sociale, almeno quelli che si sono creati uno spazio autonomo di mercato vendendo loro stessi le scope di saggina.
Loro si sono resi conto che è l’unico rimedio per sconfiggere la crisi economica finanziaria.
“In tempi de crisi bisogna lavorar de più ed rischiar de più metendose nel commercio.” ripetono i più intraprendenti che hanno tenuto duro.
Loro non si sono lamentati più di tanto ed hanno seguito l’esempio del Toni.
Sono diventati anch’essi artigiani ed una volta imparata la lezione di economia pratica hanno incominciato a commerciare direttamente il loro prodotto saltando il loro originario datore di lavoro ed anzi facendogli concorrenza.
I figli dei scoatarai sono attivi ancora oggi nel settore.
Alcuni ricordano quei tempi con benevolenza, altri li rammentano con rabbia verso Toni che nel bene o nel male ha promosso questa attività nel loro paese.
A Toni le idee non mancano e dopo avere organizzato una rete di artigiani produttori che lavorano per lui si è messo a commerciare e a creare nuovi prodotti per la pulizia.
Il  successo arriva con la produzione dello straccetto favilla.
Le invenzioni semplici sono a volte interessanti anche economicamente. Ci vuole determinazione e fiducia cose che a Toni non mancano ed il successo arriva.
Lo straccetto favilla è un’dea geniale. Toni è riuscito a vendere agli italiani e non solo uno straccetto di modeste dimensioni che le massaie trovano indispensabile per  le pulizie di tutti di giorni.
 Si è inventato un materiale particolarmente resistente alle usure delle pulizie che dura nel tempo e che consente di svolgere con più semplicità l’umile e quotidiano lavoro della massaia
“Con favilla la casa brilla” è lo slogan pubblicitario in voga negli anni 50che fa decollare gli utili del nostro Toni.
La sua azienda si inserisce a pieno titolo nell’area della produzione industriale con un fatturato in continua crescita.
Nessuno dei due figli continuerà purtroppo la sua opera .
Non hanno mangiato a sufficienza polenta e fatica per essere temprati come Toni a conseguire il successo in attività dove lavoro e impegno sono un ingrediente indispensabile.
Lo straccetto favilla conseguirà ancora i suoi successi ad opera di un cugino che seguirà le orme di Toni.
















Un detto popolare dice che le famiglie numerose ed unite come i Balestreri vogliono tanti eredi.
Nel 1929 nasce Giovanni nella casa di Gabioneta.
Tutti sono felici perché per gli agricoltori una nascita è sempre una benedizione.
La Martina che è già una donnina che ha smesso di giocare con le bambole è la più felice di tutti.
Lei diventa da subito la seconda mamma e si prende cura del piccolo Giovanni.
Lui cresce in fretta viziato come tutti gli ultimi nati e forse anche meno seguiti dai genitori che oramai stanchi delle fatiche famigliari delegano una parte del loro compito alla figlia più grande.
Per Cesare è uno sprone a fare di più per la sua famiglia.
Pensa di prendere in affitto una azienda più grande.
Per Nino l’agricoltore è un datore di lavoro che dirige un’azienda.
Lui deve quindi prendersi delle responsabilità. 
L’affittuario ha due avversari: i braccianti che vogliono tirare la fiacca e la proprietà cui deve pagare le decime.
Legna secca, legna verde, latte e granturco frumento non sono cosa da poco poi bisogna pagare i braccianti e quel che resta va alla famiglia.
Nino continua a fare dei conti che a volte non chiudono in attivo.
“ Qui non riusciamo a quadrare il bilancio bisogna inventarsi qualcosa di nuovo” ripete ad Aurelia
Per fare quadrare i conti Nino cerca la fortuna in altre attività rilevando una ceramica.
L’impresa non ha successo e ci rimette anche parte del magro guadagno dei campi.
Per rimediare a questo inconveniente si getta a lavorare di più nei campi.
E’ quello il suo vero lavoro.


L’azienda agricola di Gabbioneta è di proprietà del marchese Pallavicino.
La famiglia nobiliare possiede numerosi fondi  nel cremonese e nel parmigiano che affitta agli imprenditori della zona.
Cesare non si perde l’occasione visto che la famiglia è aumentata di affittare un podere più grande dove può dare prova della sua abilità nel condurre le aziende agricole e può dare un futuro ai suoi figli se vorranno, come spera, continuare il suo lavoro nei campi.
E’ una sfida continua per dimostrare a sé stesso e agli altri di essere il migliore, di avere l’azienda più bella quella che ha le vacche più premiate e quella che ha il rendimento maggiore per ettaro di foraggio o di mais .
L’importante è di vincere questa competizione immaginaria che non importa a nessun altro che a lui.
Forse in questa gara immaginaria competono i proprietari o gli affittuari confinanti che magari vorrebbero comperare o gestire il fondo vicino per ingrandire la loro proprietà .
Non è competizione quella di puntare a produrre di più o di riuscire a vendere al miglior prezzo sul mercato cogliendo il momento più favorevole della raccolta del prodotto.
Contro il parere del proprietario che non vuole partecipare finanziariamente al miglioramento delle dotazioni del fondo ha fatto costruire un caseificio pur sapendo che scaduto il contratto le migliorie vanno a fare parte della proprietà.
L’azienda è di circa ottocento pertiche cremonesi, la produzione agricola può consentire di mantenere un certo numero di vacche da latte e questo oro bianco può trasformarsi in prezioso formaggio.
Il ciclo produttivo perfetto per il Cesare che pensa a grandi successi.
Produce Emmental e Sbrinz pregiati tanto che è riuscito mettersi in affari con un commerciante svizzero molto conosciuto a Cremona per la sua passione per la musica.
Stauffer gli compera il formaggio e gli affari sembrano andare bene
Non vuole fare certo concorrenza ad Auricchio, ma vuole ottimizzare i guadagni questo è certo!
Il Nino ha poi costruito delle porcilaie, ma non c’è stata fortuna.
Quasi tutti i maiali sono morti di malattia.
Erano maiali belli grassi che invece di diventare prelibati prosciutti o salami sono diventati cibo per i vermi.
Cesare non si è perduto d’animo ha affittato le porcilaie ad un altro più bravo o come dice lui più fortunato e si è buttato a  corpo morto nell’impresa del caseificio.
Questi investimenti un po’ affrettati non si sono rivelati un buon affare perché a cambiare azienda, si sa, l’affittuario rimette gli investimenti che rimangono a fare parte della proprietà del fondo del marchese Pallavicino.
Nulla gli viene riconosciuto dal proprietario del fondo che  non ha voluto partecipare all’iniziativa economica e si è goduto interamente le sue decime.
Cesare è tutto preso dalle sue idee. Per lui l’obiettivo principale è realizzare il suo sogno di condurre la più bella impresa della provincia.
Tutti gli altri agricoltori ed amici devono potere congratularsi per le sue capacità di agricoltore.
Se poi cambia azienda per ampliare il giro e provare nuove coltivazioni o nuovi allevamenti e nuovi caseifici, ben venga il cambiamento che per il Nino è, innanzitutto, una sfida tutta da vincere.
Vorrà dire che ricomincerà dall’inizio con maggiore passione.
I conti, i profitti e le perdite, le addizioni e le sottrazioni a lui poco interessano e così dopo tanto lavorare, tanto darsi da fare è sempre al punto di partenza.
Il lavoro diventa più complesso, il giro d’affari aumenta ma il fondo le tanto amate pertiche sono sempre di proprietà altrui!
Realizzando strutture a sue spese non riesce mai ad ammortizzarle e alla fine del contratto di affitto i suoi guadagni finiscono a vantaggio della proprietà fondiaria.
Se Cesare avesse saputo quello che dicono di lui che è bravo e laborioso ma che in realtà lavora per gli altri chissà se avrebbe fatto le stesse cose?
Probabilmente sì perché è talmente convito delle sue ragioni che non sente alcun parere contrario.
La dura legge afferma che chi comanda, chi è considerato non è chi s’impegna a lavorare o a gestire ma chi è proprietario delle pertiche, dei terreni e delle cascine.
Giovanni si è goduto poco la casa di Gabioneta
Lui ha avuto soli il tempo di frequentare la prima elementare dove non ha legato molto con i compagni di scuola che sono i figli dei braccianti e lui invece è il figlio degli affittuari.
Così Giovanni quando ha saputo la notizia che c’è in ballo un trasloco non si è dispiaciuto per la perdita di amici che non ha.
Anche la Martina e Paolo sono contenti del trasloco perché si va ad Antezzate in una cascina più grande dove vivono poveramente 250 persone dedite al lavoro dei campi e dove si preannuncia un paese e una scuola più grande e frequentata da tanti possibili nuovi amici figli dei proprietari e degli affittuari della zona.














Scaduto il contratto di affitto visto che è nato un secondo maschio, Cesare decide di prendere in affitto una azienda più grande di 1200 pertiche cremonesi.
La casa padronale di Antezzate, poco distante da Roncadelle, troneggia al centro nel podere.
Cesare non è un discendente dei marchesi Pallavicino, non appartiene alla classe dei proprietari terrieri è un imprenditore.
Fa parte di una classe sociale che lavora e fa lavorare gli altri producendo un reddito modesto che gli consente di vivere con un po’ più di benessere  ma sempre del suo lavoro delle sue iniziative.
Cesare ha ampliato l’allevamento del bestiame arrivando a120 vacche da latte oltre alle manze ed ai vitelli.
E’un allevamento imponente per quei tempi. Tutti si complimentano per il suo spirito di iniziativa.
Il Nino ha comperato tre trattori per lavorare la terra; lui ha deciso di abbattere le piante di gelso che non si trovano ai confini della proprietà ed ostacolano il lavoro dei campi riorganizzando l’azienda per la produzione di mais e frumento da dare in pasto alle fameliche vacche da latte.
Il vanto di un agricoltore della bassa è la stalla di mucche da latte.
Cesare ha sempre voluto una grande stalla che produca del buon latte per avere la materia prima per realizzare il miglior provolone della zona. Poi si è messo a comperare anche il latte dai proprietari vicini per incrementare la produzione e fare ottimi affari.
Cesare guarda in grande e pensa ad un ciclo integrato di prodotti dal foraggio al provolone per ottimizzare il reddito dell’azienda e poterne affittare una sempre più grande con l’intenzione di diventare il più grosso e riverito agricoltore della zona.
Nella cascina manca il un caseificio ma Cesare lo costruisce con i suoi danari in pochi anni e per realizza anche un capannone per potere effettuare l’allevamento dei suini.
Sono circa 200 grossi porcelli che Giovanni si diverte a stuzzicare mentre si rotolano nel fango gettandogli del cibo per vedere se quello più grosso riesce a mangiarselo tutto facendo piazza pulita di quelli che glielo contendono.
Il patto colonico fissato da Benito Mussolini  fissa a 12 le mucche da mungere per ogni addetto di stalla.
Il reddito è magro anche per gli affittuari.
L’azienda è un modello di organizzazione.
Cesare ha voluto anche l’allevamento dei bachi utilizzando le piante di gelso che sono rimaste ai bordi dei campi coltivati a mais.
Le larve sono tenute al caldo nelle case dei contadini . Poi sono trasportati all’esterno sotto i porticati dove i bachi si costruiscono i bozzoli ogni famiglia produce dai dieci ai quindici chili di bozzoli per dieci famiglie danno un buon prodotto.
Inventando qualcosa di nuovo si può arrotondare il reddito.
Cesare vende i provoloni a Gennaro Auricchio, inventore del “Caglio Speciale”, o come si diceva, del “Segreto” di don Gennaro , che dà al provolone un sapore unico al mondo.
Gli Auricchio selezionano il latte, seguendo la fabbricazione nei caseifici che lavorano per loro, curando la qualità ed organizzando le vendite.
La lavorazione deve essere trattata sul posto di produzione per ovvi problemi di trasporto e così da San Giuseppe Vesuviano in provincia di Napoli Antonio Auricchio, alla fine del secolo scorso, sale nella Pianura Padana in cerca di latte buono ed abbondante.
Cesare è uno dei tanti produttori che lavora per quell’azienda.
Nino è uomo di grande severità, il grande capo rispettato dai dipendenti, ma anche molto contestato.
La vita è grama e bisogna essere dei duri per fare andare avanti un’azienda di 120 ha con quaranta contadini a libretto  con cento avventizi stagionali da pagare,  con l’affitto da pagare e con una famiglia da mantenere .
La produzione è bassa bisogna arrangiarsi cercando di puntare sulla qualità, concorrere alle fiere del bestiame ricercare le migliori vacche da latte magari andando a comprare quelle olandesi o svizzere che hanno la produzione di latte più elevata.