mercoledì 27 febbraio 2013

La Legge 6 novembre 2012 n. 190. Il responsabile della prevenzione della corruzione. Reprime veramente la corruzione ?


La Legge 6 novembre 2012 n. 190. Reprime  veramente la corruzione ?

La Legge 6 novembre 2012 n. 190 che reca disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e  dell'illegalità nella pubblica amministrazione si propone di combattere la corruzione in attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003.
Il d.d.l. 2156 è stato Presentato dal Ministro della giustizia (Alfano), IV Governo Berlusconi, il 4 maggio 2010 .
Non si può non notare come il nostro Parlamento  ha dovuto fare un percorso assai lungo per adottare dei precetti dovuti per la corretta efficienza dell’apparato amministrativo.
La norma complica  notevolmente un procedimento che dovrebbe nella necessaria severità trovare la  sua efficacia e purtroppo non sembra abbia un impatto proprio tanto dirompente nella lotta al crimine nella pubblica amministrazione.
L’art. 1, comma 2 affida alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche,
di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e successive modificazioni, di
seguito denominata il compito di  Autorità nazionale anticorruzione attribuendo compiti che non sembrano significativi nella repressione dei fenomeni ma solo atti a giustificare la produzione di un mare di documenti difficili da gestire e con scarsissimi effetti pratici.
L’art. 1, comma 4,  attribuisce al Dipartimento della funzione pubblica, anche secondo linee di indirizzo adottate dal Comitato interministeriale istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la funzione fra l’altro di coordinare l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale e di predisporre il Piano nazionale anti corruzione.
Viene appesantita anche la gestione dei fatti corruttivi a livello operativo.
L’art. 1, comma 5, impone alle pubbliche amministrazioni centrali di definire e trasmettere al Dipartimento della funzione pubblica un piano di prevenzione della corruzione che fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio, per ulteriormente complicare l’art. 1, comma 6, Ai fini della predisposizione del piano di prevenzione della corruzione, prevede che il prefetto, su richiesta,
fornisce il necessario supporto tecnico e informativo agli enti locali.
L’art. 1, comma  7, prevede, in un momento di blocco del turn over,  di individuare il responsabile della prevenzione della corruzione.
Paurosi sono le conseguenze relative al mancato controllo  da parte responsabile .
L’art. 1, comma 12. In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze:
a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver
osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;
b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano.
Drammatiche le conseguenze sanzionatorie ove si accerti la responsabilità del funzionario .
L’art. 1, comma 13, prevede che la sanzione disciplinare a carico del responsabile non può essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.
L’art. 1, comma 8, finalmente conclude l’operazione programmatica attribuendo all'organo di indirizzo politico il compito di adottare il piano triennale di prevenzione della corruzione.
Non si ravvisa , forse per miopia, nessun effetto pratico di contrasto immediato al fenomeno denunciato dalla Corte dei Conti!
Nella gestione amministrativa dei rimedi sembra che l’imperativo sia allungare i tempi e le procedure.
L’art. 1 comma 35 delega il Governo ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità.
In tal senso è stato emanato il Dlg 33/2013 che detta norme sulla trasparenza , vedi all. a e impone la pubblicazione dei dati sui dirigenti, sui collaboratori e sulle consulenze, art. 22, c. 3.
L’art. 1, comma 44, modifica l'articolo 54 del d. lg. 30 marzo 2001, n.165, introducendo un Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i  dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.
Norme che un dirigente se assunto per pubblico concorso dovrebbe conoscere.
Forse i troppi dirigenti scelti dagli amministratori per meriti speciali non li conoscono .
Il comma 3 dell’art. 54 nuovo testo precisa come se ce ne fosse bisogno che la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare.
La precisazione ove ce ne fosse bisogno reca ulteriore confusione perché il reato di corruzione deve esser punito con la destituzione.
E’ forse per questo che molti dirigenti legittimisti sono stati garbatamente messi alla porta per favorire gente disposta ad ogni operazione più discutibile.
Positivo sembra il fatto che un organismo indipendente di valutazione dia il proprio parere ad un codice di comportamento. Resta da capire che funzione abbia questo organismo .
Se esso in analogia alla L.231/2001 debba vigilare al rispetto delle procedure amministrative o sia un mero organo deputato a dare pareri su provvedimenti che poco possono incidere.
Di difficile comprensione è la modifica apportata dall’art. 1 comma 46 che introduce l’art. 35-bis. - d. lg. 30 marzo 2001, n.165 che detta norme per la prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici
La norma precisa che coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in
giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale:
a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la
selezione a pubblici impieghi;
b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle
risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o
all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi
economici a soggetti pubblici e privati;
c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori,
forniture e servizi, per la concessione o l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili
finanziari, nonché per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.
Ma questi ottimi funzionari non dovevano essere destituiti?
Troppa severità caro legislatore. Gli organismi internazionali infatti collocano l'Italia al 69°
posto nella lotta alla corruzione!. In Ue peggio di noi hanno fatto solo Bulgaria (77°) e Grecia (80°). In cima la classifica Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia.
La giustizia amministrativa inoltre non ha consentito sempre la dovuta severità nel punire il reato di corruzione nella pubblica amministrazione.
Il T.A.R. Lombardia, sede di Milano, Sezione I, 30 aprile 2004, n. 1542;  ha   annullato il provvedimento di destituzione per eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, in quanto il ricorrente sarebbe stato condannato per un'ipotesi concussiva di tipo induttivo e non costrittivo, ritenendo che  il comportamento tenuto dal ricorrente, in ragione delle complessive circostanze e dei particolari della fattispecie, non potesse ritenersi meritevole della più grave sanzione, costituita dalla perdita del grado con rimozione.
La questione è stata ribaltata dal Consiglio di Stato, sez. IV 03/11/2008 n. 5475, che ha rilevato come evidenziata autonomia nell'apprezzamento disciplinare dei fatti accertati dal giudicato penale permette di escludere la sussistenza (avanzata nel sesto ordine di censure) dei denunziati profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errata impostazione degli atti accusatori, ricollegati al rilievo che il ricorrente è stato condannato per un ipotesi concussiva di tipo induttivo e non costrittivo.
Mentre il T.A.R. Veneto, sez. I, n. 1 del 2012, dichiarava illegittimo il provvedimento sanzionatorio, il Consiglio di Stato, sez. III, 28/05/2012, n. 3101, ha dichiarato legittimo il provvedimento di destituzione dal servizio dell'agente della Polizia stradale condannato penalmente per concussione, per essersi fatto consegnare dal conducente di un mezzo pesante la somma di lire 50.000 al fine di evitare il pagamento della sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, risultando ininfluente il carattere episodico dell'illecito commesso, la modestia del profitto conseguito e il comportamento successivamente tenuto dall'agente, ai sensi dell'art. 7, d.p.r. 25 ottobre 1981 n. 737 .
L’inasprimento delle sanzioni penali  è l’unica cosa positiva .
Il controllo è demandato all'autorità giudiziaria che necessariamente è meno veloce di quella amministrativa.
La pena edittale minima per il peculato passa a quattro anni (fino a dieci), art. 314, comma 1, c.p.
Il reato di  concussione è punito con la reclusione da sei a dodici anni, art. 317 c.p.
La richiesta di patteggiamento ha, però, effetti perversi poiché esclude la  possibilità dell’applicazione delle pene accessorie della interdizione perpetua.
Essa si applica solo per una pena di reclusione superiore a tre anni.
La pena edittale del peculato passa da quattro anni - minimo edittale meno un terzo per il rito e un terzo per le attenuanti generiche - a ventidue mesi.
La pena edittale della concussione passa da sei anni - minimo edittale meno un terzo per il rito e un terzo per le attenuanti generiche - a trentadue mesi.
Restano le difficoltà di coordinamento fra la normativa sanzionatoria penale e quella amministrativa. La sanzione della destituzione deve coll'attuale sistema essere pronunciata dall'amministrazione con la tutela attribuita al giudice amministrativo.

mercoledì 20 febbraio 2013

Il procedimento autorizzativo alla realizzazione di impianto fotovoltaico .


 Il procedimento autorizzativo alla realizzazione di  impianto fotovoltaico .


L'art. 12, comma 10, D.Lgs. n. 387/2003, stabilisce la sequenza degli atti e le relative competenze  del procedimento autorizzativo delle pratiche relative alla realizzazione di  impianto fotovoltaico .
Prima di tutto vanno definite attraverso lo svolgimento di una conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali le linee guida nazionali necessarie per assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio.
La giurisprudenza ha ritenuto legittima la disposizione delle linee guida regionali in materia di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che richieda un nullaosta paesistico dei competenti uffici regionali, da rendere in conferenza di servizi, tenuto conto che il richiesto parere si pone perfettamente in linea con la normativa.
Non violano l'art 12, d.lg. n. 387 del 29 dicembre 2003 — da cui non discende l'indiscriminata possibilità di localizzare gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in zona agricola —  le linee guida regionali che non escludano in assoluto che tali impianti vengano ubicati in zona agricola ma, più semplicemente, si preoccupano di rendere compatibile la localizzazione dell'impianto con peculiari esigenze legate alla vocazione del territorio, fissando requisiti soggettivi e oggettivi per poter ottenere l'autorizzazione unica.
Nella fattispecie la norma indica  la qualifica di imprenditore agricolo e l'individuazione di una nozione di serre fotovoltaiche.
La regione autonoma della Sardegna, titolare, ai sensi dell'art. 3 lett. f) dello Statuto speciale, della potestà legislativa primaria in materia di paesaggio, ben può disciplinare autonomamente la procedura volta al rilascio dei titoli abilitativi ad esercire impianti di energia da fonti rinnovabili, nonché dettare specifici divieti di localizzazione degli stessi sul territorio, anche anteriormente all'attuazione delle linee guida nazionali di cui al d.lg. n. 387 del 29 dicembre 2003, in virtù della previsione normativa di cui all'art. 19 dello stesso Decreto e dell'art. 6 dello Statuto speciale, che, in attuazione del principio di parallelismo di funzioni, attribuisce alla Regione l'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie riservate alla sua competenza.
L'art. 3 lett. f) dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna le attribuisce competenza legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica, nella quale è ricompreso il potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale; detta competenza si esercita nel rispetto dei limiti posti dallo stesso art. 3 in armonia con la costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, delle norme fondamentali di grande riforma economico sociale.
La complessiva disciplina di cui agli artt 12 e 19, d.lg. n. 387 del 29 dicembre 2003, costituisce un punto di equilibrio fra la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ambiente, la competenza legislativa delle regioni e province autonome in materia di paesaggio e la potestà legislativa concorrente in materia di energia. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 20/04/2012, n. 406.
In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere all'indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti.
La giurisprudenza ha precisato che non sussistono quindi spazi per autonome (ancorché provvisorie) discipline provinciali, se non a seguito delle eventuali linee guida regionali e qualora venga stabilita la relativa competenza.
La stessa potestà regionale risulta subordinata alla previa emanazione delle linee guida nazionali non ancora emanate alla data di adozione del provvedimento impugnato), e all'osservanza di esse, come affermato ripetutamente dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità di alcune leggi regionali che avevano esorbitato dai relativi poteri .
La disciplina abilitativa contenuta nell'articolo 12 del d. lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 è inderogabile dalla legislazione regionale, anche quando essa si proponga di anticipare il contenuto di una normativa comunitaria.
Se, al contrario, si volesse riconoscere un autonomo potere localizzativo in capo alla provincia si creerebbero sovrapposizioni di competenza nella medesima materia con inevitabile confusione di ruoli e di discipline, in evidente contrasto con il principio di buon andamento dell'azione amministrativa.

domenica 17 febbraio 2013

ELEZIONI. DIBATTITI TELEVISIVI

ELEZIONI. DIBATTITI TELEVISIVI
Autorevoli esperti si chiedono se i nuovi candidati in Parlamento sono in grado di scrivere le leggi.
Io mi domando ma gli attuali legislatori sono all'altezza?
Quando vado in un ufficio pubblico mi dicono che loro non sono in grado di interpretarle.
Io a leggerle in gazzetta ufficiale ho una certa difficoltà.
Mi chiedo se gli illustri esperti ne abbiamo mai letta una specie una delle ultime finanziarie: 3 articoli e tremila commi: un esempio di semplicità normativa

Elezioni. Campagna elettorale

Elezioni. Campagna elettorale.
Al mio paese un comico ha introdotto il discorso elettorale del candidato!
E' PER QUESTO CHE PAGHIAMO I CONTRIBUTI AI PARTITI POLITICI: PER FARCI RIDERE?

mercoledì 13 febbraio 2013

Elezioni. Contributi elettorali

Elezioni. Contributi elettorali.
Sono molto contento di versare maggiori imposte per garantire a dei candidati, che mai si sono visti sul territorio a dibattere in assemblee di iscritti e simpatizzanti i  loro programmi, un contributo elettorale.
Mi sembra forse eccessivo che gli stessi richiedano per ciascuno di loro con forza un sostegno alla propria campagna elettorale.

Ambiente. Sottoprodotti.



La  definizione di "sottoprodotto" posta dall'attuale D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis (aggiunto dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 12, comma 1) va rilevato che l'utilizzo dei materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo fino dai momento detta sua produzione.
La norma precisa che è un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto e' originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) e' certo che la sostanza o l'oggetto sara' utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l'oggetto puo' essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l'ulteriore utilizzo e' legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.mentre nella specie in esame non è dimostrata una preventiva organizzazione alla riutilizzazione, configurandosi piuttosto un utilizzo meramente eventuale e non integrale degli eterogenei materiali rinvenuti nel cantiere conseguente ad un'attività di produttore non industriale rivolta sostanzialmente a disfarsi degli stessi.
I requisiti per definire il sottoprodotto devono essere tassativamente posseduti affinché lì’attività di gestione di detti sottoprodotti  non integri il reato previsto dall'art. 256, comma primo, lett. a), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Per qualificare un materiale come sottoprodotto, occorre tener conto se sia stato sottoposto a trattamenti che rientrano nella "normale pratica industriale" .
Nella specie, la corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva escluso che fossero sottoprodotti i fanghi provenienti dall'impianto di depurazione delle acque e dall'impianto di aspirazione polveri della smaltitura di piastrelle riutilizzati nel processo produttivo della stessa azienda, mediante aggiunta all'impasto di terre vergini, per la produzione di piastrelle di terza scelta.
La decisione ha definito i fanghi come rifiuti, ritenendo, da un lato, che la disidratazione degli stessi costituisca attività di trasformazione incompatibile con la inclusione nella categoria di sottoprodotto e dall'altro, che il composto non possedesse i requisiti di cui ai punti 3 e 4 del citato art. 183, lett. p) (nel testo non più vigente).
Gli esiti della consulenza tecnica hanno posto, invece, in evidenza la compatibilità del composto con i limiti di piombo autorizzati nel processo produttivo, mentre la sentenza impugnata ha enfatizzato proprio il superamento dei limiti di tale sostanza.
E' pertanto necessario che vengano riesaminati tali aspetti, dovendosi stabilire se il trattamento dei fanghi costituisca una trasformazione diversa dalla normale pratica industriale e dovendosi valutare l'impatto ambientale del procedimento di produzione delle piastrelle di terza scelta tramite l'utilizzo dei fanghi suddetti (requisiti di cui ai punti 3 e 4, del previgente art. 183, lett. p) previgenti). Tale valutazione deve anche tenere conto delle condizioni ora indicate nell'art. 184 bis attualmente vigente, laddove il legislatore italiano ha recepito la nozione comunitaria di cui all'art. 5 della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE .
La normativa mostra un'evidente favore del legislatore comunitario per la soluzione di recupero dei rifiuti, come si desume dalla previsione contenuta nell'art. 4 della direttiva recante la gerarchia dei rifiuti, che vede al primo posto la prevenzione e preparazione per il riutilizzo.
Fermo restando il principio della interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, la direttiva quadro ha tracciato il confine tra ciò che deve considerarsi rifiuto e ciò che ha assunto valore di autentico prodotto. Inoltre la disciplina comunitaria tra i requisiti indicati nella nozione di sotto prodotto, ha incluso i trattamenti che rientrano nella "normale pratica industriale", con l'effetto pratico di ampliamento della categoria.
Cassazione penale, sez. III, 25/05/2011, n. 34753.
I ritagli di materiali tessili non rientrano nella nozione di sottoprodotto come oggi definita dall'art. 184 bis del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di materiali già sottoposti ad un ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale.Cassazione penale, sez. III, 25/05/2011, n. 24427.
Costituisce rifiuto e non sottoprodotto, anche a seguito delle modifiche introdotte alla disciplina sui rifiuti dal d.lg. 3 dicembre 2010, n. 205, la sansa di oliva disoleata non utilizzata direttamente dal produttore, ma soggetta a trasformazione preliminare al fine dell'utilizzo quale combustibile. (Fattispecie relativa al sequestro preventivo di un sito di stoccaggio). Cassazione penale, sez. III, 16/03/2011, n. 17863.
Gli inerti di marmo travertino non sono di per sé qualificabili come sottoprodotti, occorrendo a tal fine la prova certa del loro utilizzo, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi.
Nella specie gli inerti, provenienti dall'attività di lavorazione delle cave di marmo svolta da altra società, erano depositati, senza autorizzazione, su un'area gestita dalla società dell'indagato). Cassazione penale, sez. III, 07/06/2011, n. 28734.
La giurisprudenza ha precisato che il reimpiego di materiale inerte derivante dall'attività di scarifica del manto stradale nel processo produttivo di conglomerato bituminoso integra il reato.
Lo scarificato non può  essere qualificato come sottoprodotto ai sensi dell'art. 184 bis del citato D.Lgs. neppure all'esito della modifica introdotta dall'art. 12 del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n, 205. Cassazione penale, sez. III, 19/01/2012, n. 7374.

Ambiente. I pneumatici sono rifiuti?




Il D.Lgs. 152/2006 (Codice dell'ambiente),  all'art. 228, impone ai produttori ed importatori degli pneumatici l'obbligo di recuperare annualmente, singolarmente o in forma associata, una quantità dgli pneumatici fuori uso, almeno pari a quella degli pneumatici immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale . Ciò anche al fine di incentivare il recupero degli pneumatici fuori uso, con una chiara valenza ambientale.
Si è creata una nuova e diversa classificazione degli pneumatici
Da un lato si considerano i pneumatici fuori uso, considerati rifiuto a tutti gli effetti, destinati ad attività di recupero o smaltimento , art. 228 D.Lgs. 152/2006);  dall'altro si evidenziano i pneumatici usati, non valutati rifiuto e che possono essere destinati ad un'attività di ricopertura o, eventualmente, anche di riutilizzo diretto secondo le modalità previste dalla normativa di settore.
Questi ultimi, quindi, possono essere compravenduti come beni e trasferiti.
È ora pacifico che gli pneumatici ricostruibili non sono rifiuti.
La dottrina ha assunto una posizione favorevole ad escludere gli pneumatici usati ricostruibili dalla disciplina dei rifiuti, in conformità al dato legislativo . Novelio Furin e Enrico De Negri, Pneumatici o rifiuti?, Riv. giur. ambiente, 2010, 3-4, 0453.
Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale, il giudice delle leggi ha espressamente affermato che lo pneumatico ricostruibile non è rifiuto Corte Cost., sent. 30 dicembre 2003, n. 378, in Foro it., 2005, I, 288. Risulta quindi evidente la finalità ecologica delle operazioni di ricostruzione, che appunto mirano a prevenire e, nello stesso tempo, a ridurre l'inquinamento ambientale derivante dal deposito, dall'accumulo e dallo smaltimento degli pneumatici usati.
Con riferimento alla giurisprudenza di legittimità, l'orientamento più recente ed attento si è adeguato alle norme prima esaminate e ha confermato che gli pneumatici usati ricostruibili non sono rifiuti .
Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2007, in Cass. pen., 2008, n. 4, 1553. Tale sentenza afferma espressamente che "...la nozione di rifiuti è attualmente ristretta ai solgli pneumatici "fuori uso" rimanendone invece esclusi, come noto, i cd. pneumatici ricostruibili.
Integra, invece, il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all'art. 256 d.lg. n. 152 del 2006, l'abbandono in modo incontrollato di numerosi pneumatici di camion e autovetture, da considerarsi rifiuti speciali non pericolosi, senza il possesso di provvedimenti di autorizzazione né di documenti richiesti dalla norma. In tale ipotesi, la provenienza da più veicoli dei pneumatici e la permanenza degli stessi per vari mesi, costituiscono elementi tali da non consentire di ritenere lo scarico dei rifiuti come attività episodica ed occasionale. Tribunale Grosseto, 17/05/2007, n. 350.
E’ stata  sanzionata l 'effettuazione di una attività abusiva di gestione di rifiuti speciali, nella specie messa in riserva, lavorazione e frantumazione di pneumatici usati, mediante l'utilizzo di tre aree adiacenti al sito produttivo ma non autorizzate per detta attività, in violazione delle prescrizioni previste dall'allegato 5 del d.m. 5 febbraio 1998. Il reato comporta ai sensi delle normative vigenti anche il risarcimento del danno ambientale.
Cassazione penale, sez. III, 28/10/2009, n. 755.

Ambiente. Le sanzioni per la mancata denunzia.



Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione è punito:
a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi, art. 256, d. lg. 152/2006.
La giurisprudenza ha precisato che l'attività di custodia di autoveicoli e motoveicoli in sequestro non configura attività di realizzazione e gestione di discarica, in quanto detti beni non sono destinati all'abbandono, sempre che non si abbia disordinato spargimento sul terreno di carcasse di autoveicoli in pessime condizioni, di pneumatici ed altro materiale carbonizzato, e conseguente trasformazione dei veicoli sequestrati in rifiuti inquinanti destinati in via obiettiva all'abbandono, tale da costituire una discarica con una situazione di assoluto degrado ambientale dell'area". Cass. Sez. III, 5-27/10/2004, , n. 41775
Il principio é stato ribadito laddove la Suprema Corte ha affermato che "l'attività di custodia di autoveicoli e motoveicoli in sequestro può configurare attività di realizzazione e gestione di discarica, quando detti beni, lasciati in stato di abbandono dal custode giudiziario, subiscano un processo di deterioramento, divenendo materiale inservibile e trasformandosi pertanto in veri e propri rifiuti"
La giurisprudenza di legittimità, proprio a proposito di autoveicoli, ha sottolineato che "qualora sia evincibile lo stato di elevato degrado di un veicolo sì da non poter esser più circolante, lo stesso deve qualificarsi come rifiuto ed è inconferente il riferimento alla persistente iscrizione del veicolo nell'apposito elenco del PRA trattandosi comunque di cosa (o parte di cosa) non più idonea allo scopo per il quale era stata originariamente costruita". Cass. sez. III, 15.5.2009.
Essa ha precisato che:
a) l'attività di deposito e custodia di auto e motoveicoli, anche se a cielo aperto, non costituisce in quanto tale attività di gestione di rifiuti;
b) non é possibile, però, ritenere che il ruolo di custode giudiziario autorizzi a tenere in uno stato di completo abbandono le cose affidate, in quanto ben é possibile che le stesse, non conservate adeguatamente, divengano di fatto inservibili, trasformandosi in veri e propri rifiuti;
c) in tale ultimo caso é pienamente configurabile l'ipotesi di reato di gestione di discarica abusiva.
Occorre, dunque, una verifica caso per caso, volta ad appurare se quelle auto e quei motoveicoli siano rimasti tali, idonei al loro uso, ovvero se il custode, disinteressandosi completamente di curare un'adeguata attività di conservazione degli stessi, li abbia di fatto trasformati in rifiuti. Tribunale Napoli, 10/06/2009.
La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che integra il reato di deposito incontrollato di rifiuti allo stato liquido proprio lo stoccaggio in apposite vasche di raccolta, delle acque reflue provenienti dal lavaggio delle strutture e delle attrezzature di un'impresa per omesso rispetto del prescritto termine periodico per il loro smaltimento, in quanto sono escluse dal novero dei rifiuti solo le acque di scarico (ovvero quelle acque che vengono immesse direttamente nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria
Il reato non può essere escluso neppure in presenza di un'autorizzazione allo scarico dei predetti reflui nella rete fognaria, in quanto è l'attività di stoccaggio stessa che attribuisce alle acque reflue suddette la natura di rifiuti allo stato liquido. Cassazione penale, sez. III, 03/04/2012, n. 12476.


Agenzia Entrate. Risposta ad e mail. Complimenti

Agenzia Entrate. Risposta ad e mail. Complimenti.
Riceviamo da una nostra lettrice
Nature de la demande : Impôts directs locaux TH et TLV
Objet de la demande : Demande relative au paiement
Référence : MRIC-94TAQB
Traité par : Comptable SIP-CAGNES-SUR-MER, 0492024300, Agent de constatation ou d'assiette, Comptable SIP

Bonjour Madame / Monsieur

Madame,

Il faut nous payer la somme restant due en principal, soit 1318 euros.
La majoration de 132 euros sera annulée après le paiement de 1318 euros.

Cordialement.
JM BIASIN
Contrôleur Principal

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Votre demande :




'sip.cagnes-sur-mer@dgfip.finances.gouv.fr'

demande :
Taxes  fd’abitation

Numero 1625615735051

Ref avis 12 06 081443187

22/01/2013

RUE DES  Mouettes 250
ON AS RECUS L’AVIS

A NOM DE Mondini Paolo  Via Villa Glori 12 Cremona

MAIS Paolom Mondini est mort succession N. Froumessol

c’est pour quoi que nous n’avons pas recu l’avis tout de suite

ON demande le rembourse de 132 euro de majoration on payeras le plus tot la taxe



 priere de envoir la correspondence, etand mort Paolo Mondini ,  a

Comproprieteres  P/MR Giovanna Mondini

Via XI Febbraio 17

26100 Cremona

Merci Salus

GIovanna Mondini



On as faite la meme domande pour le taxes foncieres

Da:CENTOFANTI [mailto:centofanti_@libero.it]
Inviato: mercoledì 14 novembre 2012 18.16
A: 'sip.cagnes-sur-mer@dgfip.finances.gouv.fr'
Oggetto: R: Numero 1625615735051




demande :
Taxes  fonceres

Numero 1625615735051

Ref avis 12 06 460 96 10 33

Numero proprietere 123M03326P

RUE DES  Mouettes 250
ON AS RECUS L’AVIS

A NOM DE Mondini Paolo  Via Villa Glori 12 Cremona


priere de envoir la correspondence, etand mort Paolo Mondini ,  a

Comproprieteres  P/MR Giovanna Mondini

Via XI Febbraio 17

26100 Cremona

Merci Salus

GIovanna Mondini


PS Pardonne c'estait la FRANCE, pas l'ITALIE



martedì 12 febbraio 2013

Programmi elettorali. sondaggi elettorali e preferenze


e' bellissimo sentire un conduttore di dibattiti televisivi rintrodurre una conversazione in termini di sondaggi elettorali e preferenze mentre la gente perde il lavoro o gli ultimi soldi divorati dal fisco sanguisuga e imperversa corruzione e criminalità. Per fortuna che c'è il telecomando.

lunedì 11 febbraio 2013

Ambiente. Rifiuti. Le sanzioni per l’abbandono dei rifiuti.



Le infrazioni più lievi alle disposizioni del testo unico sull'ambiente sono punite con sanzioni amministrative
L’art. 255, d. lg. 152/2006, punisce l’abbandono di rifiuti con la sanzione amministrativa pecuniaria che può variare da lire trecento a tremila euro.
Tale infrazione differisce dalla attività di gestione di rifiuti – punita come contravvenzione dal successivo art. 256, d. lg. 152/2006, - per il fatto che il deposito deve essere occasionale e non deve esistere una azione continuativa nello smaltimento.
Chi abbandona i rifiuti è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.
Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate, art. 192, d. lg. 152/2006.
I requisiti che devono sussistere affinché possa essere emessa l'ordinanza sono così individuati dalla dottrina.
a) Le condotte vietate sono individuate nei commi 1 e 2 dell'articolo 192 e consistono, da un lato, nell'abbandono e nel deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, dall'altro, nell'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
b) Il contenuto dell'ordinanza è definito nel comma terzo dello stesso articolo 192 e consiste nell'individuazione delle operazioni necessarie sia per la rimozione, avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti sia per il ripristino dello stato dei luoghi sia nella fissazione del termine entro cui provvedere, con statuizione che decorso questo si deve procedere all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
c) I soggetti destinatari appartengono a due diverse tipologie: da un lato il trasgressore, dall'altro (ed in solido) il proprietario ed i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area. Questi ultimi, tuttavia, sono responsabili solamente qualora l'Amministrazione accerti che agli stessi la violazione sia imputabile a titolo di colpa o dolo. Gli accertamenti delle responsabilità devono essere effettuati, in contraddittorio con gli interessati, dal soggetto tenuto al controllo. Viene così individuato un aggravio del procedimento, che si traduce in un maggior onere motivazionale.
d) I soggetti di cui sia accertata la responsabilità per l'abbandono dei rifiuti, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, sono altresì passibili dell'applicazione delle sanzioni penali previste dagli articoli 255 e 256 del D.Lgs. 152/2006, qualora ne ricorrano i presupposti. V. Cingano, I presupposti applicativi per l'adozione dell'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti abbandonati e per il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell'articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, Riv. giur. ambiente, 2010, 3-4, 465.
Chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui all'articolo 192, comma 3 è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno.
Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all'articolo 192, comma 3, ovvero all'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, art. 255, d. lg. 152/2006.
La giurisprudenza ritiene che nel caso in cui l'area sulla quale i rifiuti si trovano in stato di abbandono sia sottoposta a sequestro giudiziario, il proprietario (od il possessore) della medesima che sia destinatario dell'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti debba richiedere al giudice l'autorizzazione ad accedervi onde provvedere alla rimozione. Tribunale La Spezia, 20/04/2011, n. 369
Diversamente si  configura la contravvenzione prevista dall'art. 192, comma terzo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Si è escluso che il sequestro costituisca causa di inesigibilità della condotta normativamente richiesta. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14747 del 11/03/2008.

Ambiente. Rifiuti. Divieto di abbandono, art. 192 comma 3, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152.



Ambiente. Rifiuti. Divieto di abbandono, art. 192 comma 3, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152.

La disposizione di cui all'art. 192 comma 3, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, secondo cui l'inosservanza del divieto di abbandonare rifiuti obbliga l'autore del fatto, solidalmente con il proprietario o titolare di diritti reali sull'area, alla rimozione e al ripristino dello stato dei luoghi. T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 13/04/2012, n. 642
I presupposti di legge per l'esercizio del potere di ordinanza previsto dall'art. 192, d.lg. n. 152 del 2006 sono costituiti dalla violazione del comma 1 il quale vieta l'abbandono ed il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e del comma 3, il quale impone all'autore la rimozione in solido con il proprietario al quale tale violazione è imputabile a titolo di dolo o colpa: ne è invocabile la disciplina prevista dall'art. 2051 c.c. (responsabilità per danno cagionato da cose in custodia), atteso che quest'ultima disciplina non è espressione di un principio di carattere generale dell'ordinamento né da essa può inferirsi siffatto principio di generale applicazione.
T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 23/12/2011, n. 3178.
La violazione deve essere imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo
Al fine dell'accertamento della responsabilità del proprietario del fondo, il modulo procedimentale deve assicurare il contraddittorio con l'interessato, prefigurato dalla legge come inderogabile.
L'obbligo della comunicazione di avvio di procedimento sussiste allorché l'invio della stessa risulti in concreto compatibile con il procedimento alla base del provvedimento, in considerazione del procedimento stesso in più fasi o del passaggio di un certo lasso di tempo dell'attività sfociata nell'adozione dell'atto.
Nel  caso di specie, non accennandosi nell'impugnata ordinanza a quali siano stati i motivi di urgenza che hanno reso obiettivamente impossibile la comunicazione di avvio del procedimento, non sussisteva alcuna concreta ragione per adottare il provvedimento gravato, in assoluta carenza di contraddittorio e senza il diretto coinvolgimento dei diretti interessati, nella specie, quanto mai opportuno, non solo per consentire di dimostrare l'estraneità di qualsiasi elemento di colpevolezza a loro carico, ma anche per identificare congiuntamente le misure più idonee e per rendere praticamente attuabile qualsiasi tipo di intervento. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 10/04/2012, n. 1706.
La giurisprudenza ha evidenziato in numerose occasioni (T.A.R. Campania, sez. V, 6 ottobre 2008, n. 13004) che, in caso di rinvenimento di rifiuti da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque il titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l'elemento soggettivo del dolo o della colpa, per cui lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino (T.A.R. Campania, Sez. I; 19 marzo 2004, n. 3042).
Tanto perché l'art. 14 D.L. vo 5 febbraio 1997, n. 22, in tema di divieto di abbandono incontrollato sul suolo e nel suolo, oltre a chiamare a rispondere dell'illecito ambientale l'eventuale "responsabile dell'inquinamento", accolla in solido anche al proprietario dell'area la rimozione, l'avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi, ma ciò solo nel caso in cui la violazione fosse imputabile a titolo di dolo o di colpa (T.A.R. Lombardia, Sez. I, 26 gennaio 2000, n. 292).
Tale rigorosa disciplina trova conferma anche nel sistema normativo attualmente vigente, quale quello del D.L. vo n. 152/2006 in tema di ambiente. Esso è  incentrato su una rigorosa tipicità dell'illecito ambientale, alcun spazio v'è per una responsabilità oggettiva, nel senso che - ai sensi dell'art. 192 - per essere ritenuto responsabili delle violazione dalla quale è scaturita la situazione di inquinamento, occorre quantomeno la colpa.
La regola di imputabilità a titolo di dolo o colpa non ammette eccezioni, anche in relazione ad un'eventuale responsabilità solidale del proprietario dell'area ove si è verificato l'abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo.
La P.A. non può imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità, né diretta, né indiretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari o gestori o addirittura in ragione della mera collocazione geografica del bene, l'obbligo di bonifica di rimozione e smaltimento di rifiuti ed, in generale, della riduzione al pristino stato dei luoghi che è posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare, artt. 242 e 244 D.L. vo n. 152/2006.

Ambiente. I bossoli di armi da sparo che residuano nel terreno costituiscono rifiuti speciali?


Ambiente. I bossoli di armi da sparo che residuano nel terreno costituiscono rifiuti speciali?

Nella fattispecie riguardante l’attività di un poligono di tiro e relativa al rinvenimento di bossoli di armi da sparo nel terreno e con questo mescolati la giurisprudenza ha precisato che i materiali rinvenuti nel terreno, in quanto non destinati ad essere riutilizzati dal detentore nel corso del medesimo processo di produzione o di utilizzazione, costituiscano rifiuti speciali. Tribunale Tivoli, 04/07/2007, n. 251
Un primo dato può quindi ritenersi acclarato. La polisportiva che gestiva il poligono era un "produttore di rifiuti". Non è superfluo ricordare al riguardo che, nella nozione di produttore, rientra non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione definibile di garanzia, l'obbligo, sancito dall'art. 10 c. I, D.L.vo n. 22 del 1997, di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti (Cass. pen. Sez. III, 21 gennaio 2000, 4957. Cass. pen., 12 ottobre 2005, 1303 Ribecchi). Tale è il caso di specie, posto che i rifiuti derivavano dall'attività gestita dall'associazione.
Sull'associazione gravavano pertanto gli oneri contemplati dall'art. 188 del d. L.vo 3 aprile 2006 n. 152.
Circa le modalità attraverso cui l'associazione faceva fronte agli oneri di legge in tema di smaltimento dei rifiuti, può ritenersi acclarato che " i responsabili del servizio non avevano un registro di carico e scarico dei rifiuti.
Deve quindi ritenersi che la condotta accertata debba essere ricondotta ala nozione del deposito incontrollato. Non essendo quindi intervenuta alcuna autorizzazione amministrativa per l'esercizio di una tale attività, risulta configurabile nella vicenda il reato di cui al c. II dell'art. 51 D.lgs. 22/97.
Non è poi dubbio che il reato di deposito incontrollato accertato possa essere riferito ad un'associazionee al suo presidente che ha la rappresentanza legale nei confronti dei terzi.
Va escluso invece che il rporpietario dell’immobile fosse tenuto ad assicurare che le operazioni di smaltimento o recupero dei rifiuti prodotti dall'attività di tiro avvenissero nel rispetto della normativa vigente.
Del pari non è rimasto provato che l'imputato fosse consapevole delle irregolarità accertate in tema di rifiuti a carico dell'associazione conduttrice del terreno. Tanto basta per escludere che l'imputato possa essere chiamato a rispondere, a titolo di concorso, nella contravvenzione accertata.
Per i poligoni di tiro militari il dl.152/2006 evidentemente non si applica come insegna la triste esperienza di Quirra.

Come si fa a tagliare la spesa pubblica?

Come si fa a tagliare la spesa pubblica?
aumentando il numero degli amministratori , garantendo quindi occupazione a un bel numero di persone?
aumentando le indennità agli amministratori e ai grandi manager così avremo i miglior a gestire il paese?
consentendo solo gli indagati e condannati a salire in Parlamento e nei consessi più prestigiosi attuando così il garantismo più assoluto?
aumentando il contributo alla stampa così avremo una pluralismo di testate?

domenica 10 febbraio 2013

I residui dei bossoli e delle bombe sparate a Quirra Sardegna costituiscono rifiuti che devono essere trattati?

i residui dei bossoli e delle bombe sparate a Quirra Sardegna costituiscono rifiuti che devono essere trattati?

vorrei sapere chi sono quelli che hanno votato Mussari alla Presidenza di MPS e successivamente chi lo ha votato all'ABI?


vorrei sapere chi sono quelli che hanno votato Mussari alla Presidenza di MPS e successivamente chi lo ha votato all'ABI?
E chi sono gli sponsor politici dell'operazione. Se tutto fosse andato bene(tassi in calo) sarebbe diventato un eroe?