La Legge 6 novembre 2012 n. 190. Reprime veramente la corruzione ?
La Legge 6 novembre 2012 n. 190 che reca disposizioni
per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica
amministrazione si propone di combattere la corruzione in attuazione
dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite
contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre
2003.
Il d.d.l. 2156 è stato Presentato dal Ministro della
giustizia (Alfano), IV Governo Berlusconi, il 4 maggio 2010 .
Non si può non notare come il nostro
Parlamento ha dovuto fare un percorso
assai lungo per adottare dei precetti dovuti per la corretta efficienza
dell’apparato amministrativo.
La norma complica
notevolmente un procedimento che dovrebbe nella necessaria severità
trovare la sua efficacia e purtroppo non
sembra abbia un impatto proprio tanto dirompente nella lotta al crimine nella
pubblica amministrazione.
L’art. 1, comma 2 affida alla Commissione
per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni
pubbliche,
di cui all'articolo 13 del decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e successive modificazioni, di
seguito denominata il compito di Autorità nazionale anticorruzione attribuendo
compiti che non sembrano significativi nella repressione dei fenomeni ma solo
atti a giustificare la produzione di un mare di documenti difficili da gestire
e con scarsissimi effetti pratici.
L’art. 1, comma 4, attribuisce al Dipartimento della funzione pubblica,
anche secondo linee di indirizzo adottate dal Comitato interministeriale
istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
la funzione fra l’altro di coordinare l'attuazione delle strategie di
prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica
amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale e di predisporre il Piano nazionale anti corruzione.
Viene appesantita anche la gestione dei
fatti corruttivi a livello operativo.
L’art. 1, comma 5, impone alle pubbliche
amministrazioni centrali di definire e trasmettere al Dipartimento della
funzione pubblica un piano di prevenzione della corruzione che fornisce una
valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione
e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio,
per ulteriormente complicare l’art. 1, comma 6, Ai fini della predisposizione
del piano di prevenzione della corruzione, prevede che il prefetto, su
richiesta,
fornisce il necessario supporto tecnico e
informativo agli enti locali.
L’art. 1, comma 7, prevede, in un momento di blocco del turn
over, di individuare il responsabile
della prevenzione della corruzione.
Paurosi sono le conseguenze relative al
mancato controllo da parte responsabile
.
L’art. 1, comma 12. In caso di
commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione
accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile risponde ai sensi
dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, nonché sul piano
disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica
amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze:
a) di avere predisposto, prima della
commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver
osservato le prescrizioni di cui ai commi
9 e 10 del presente articolo;
b) di aver vigilato sul funzionamento e
sull'osservanza del piano.
Drammatiche le conseguenze sanzionatorie ove
si accerti la responsabilità del funzionario .
L’art. 1, comma 13, prevede che la
sanzione disciplinare a carico del responsabile non può essere inferiore alla
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un
mese ad un massimo di sei mesi.
L’art. 1, comma 8, finalmente conclude
l’operazione programmatica attribuendo all'organo di indirizzo politico il
compito di adottare il piano triennale di prevenzione della corruzione.
Non si ravvisa , forse per miopia, nessun
effetto pratico di contrasto immediato al fenomeno denunciato dalla Corte dei
Conti!
Nella gestione amministrativa dei rimedi
sembra che l’imperativo sia allungare i tempi e le procedure.
L’art. 1 comma 35 delega il Governo ad
adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo
per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni
vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità.
In tal senso è stato emanato il Dlg 33/2013 che detta norme sulla trasparenza , vedi all. a e impone la pubblicazione dei dati sui dirigenti, sui collaboratori e sulle consulenze, art. 22, c. 3.
In tal senso è stato emanato il Dlg 33/2013 che detta norme sulla trasparenza , vedi all. a e impone la pubblicazione dei dati sui dirigenti, sui collaboratori e sulle consulenze, art. 22, c. 3.
L’art. 1, comma 44, modifica l'articolo 54
del d. lg. 30 marzo 2001, n.165, introducendo un Codice di comportamento dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei
servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri
costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla
cura dell'interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata
ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e
comunque prevede per tutti i dipendenti
pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi,
regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie
funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico
valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.
Norme che un dirigente se assunto per
pubblico concorso dovrebbe conoscere.
Forse i troppi dirigenti scelti dagli
amministratori per meriti speciali non li conoscono .
Il comma 3 dell’art. 54 nuovo testo
precisa come se ce ne fosse bisogno che la violazione dei doveri contenuti nel
codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di
prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare.
La precisazione ove ce ne fosse bisogno
reca ulteriore confusione perché il reato di corruzione deve esser punito con
la destituzione.
E’ forse per questo che molti dirigenti
legittimisti sono stati garbatamente messi alla porta per favorire gente disposta
ad ogni operazione più discutibile.
Positivo sembra il fatto che un organismo
indipendente di valutazione dia il proprio parere ad un codice di comportamento. Resta da capire che
funzione abbia questo organismo .
Se esso in analogia alla L.231/2001 debba
vigilare al rispetto delle procedure amministrative o sia un mero organo
deputato a dare pareri su provvedimenti che poco possono incidere.
Di difficile comprensione è la modifica
apportata dall’art. 1 comma 46 che introduce l’art. 35-bis. - d. lg. 30 marzo
2001, n.165 che detta norme per la prevenzione del fenomeno della corruzione
nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici
La norma precisa che coloro che sono stati
condannati, anche con sentenza non passata in
giudicato, per i reati previsti nel capo I
del titolo II del libro secondo del codice penale:
a) non possono fare parte, anche con
compiti di segreteria, di commissioni per l'accesso o la
selezione a pubblici impieghi;
b) non possono essere assegnati, anche con
funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle
risorse finanziarie, all'acquisizione di
beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o
all'erogazione di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi
economici a soggetti pubblici e privati;
c) non possono fare parte delle
commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento di lavori,
forniture e servizi, per la concessione o
l'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili
finanziari, nonché per l'attribuzione di
vantaggi economici di qualunque genere.
Ma questi ottimi funzionari non dovevano essere destituiti?
Troppa severità caro legislatore. Gli organismi internazionali infatti collocano l'Italia al 69°
posto nella lotta alla corruzione!. In Ue peggio di noi hanno fatto solo Bulgaria (77°) e Grecia (80°). In cima la classifica Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia.
La giustizia amministrativa inoltre non ha consentito sempre la dovuta severità nel punire il reato di corruzione nella pubblica amministrazione.
posto nella lotta alla corruzione!. In Ue peggio di noi hanno fatto solo Bulgaria (77°) e Grecia (80°). In cima la classifica Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia.
La giustizia amministrativa inoltre non ha consentito sempre la dovuta severità nel punire il reato di corruzione nella pubblica amministrazione.
Il T.A.R. Lombardia, sede di Milano,
Sezione I, 30 aprile 2004, n. 1542; ha annullato il provvedimento di destituzione
per eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, in
quanto il ricorrente sarebbe stato condannato per un'ipotesi concussiva di tipo
induttivo e non costrittivo, ritenendo che
il comportamento tenuto dal ricorrente, in ragione delle complessive
circostanze e dei particolari della fattispecie, non potesse ritenersi
meritevole della più grave sanzione, costituita dalla perdita del grado con
rimozione.
La questione è stata ribaltata dal
Consiglio di Stato, sez. IV 03/11/2008 n. 5475, che ha rilevato come evidenziata
autonomia nell'apprezzamento disciplinare dei fatti accertati dal giudicato
penale permette di escludere la sussistenza (avanzata nel sesto ordine di
censure) dei denunziati profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria
ed errata impostazione degli atti accusatori, ricollegati al rilievo che il
ricorrente è stato condannato per un ipotesi concussiva di tipo induttivo e non
costrittivo.
Mentre il T.A.R. Veneto, sez. I, n. 1 del
2012, dichiarava illegittimo il provvedimento sanzionatorio, il Consiglio di
Stato, sez. III, 28/05/2012, n. 3101, ha dichiarato legittimo il provvedimento
di destituzione dal servizio dell'agente della Polizia stradale condannato
penalmente per concussione, per essersi fatto consegnare dal conducente di un
mezzo pesante la somma di lire 50.000 al fine di evitare il pagamento della
sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, risultando
ininfluente il carattere episodico dell'illecito commesso, la modestia del
profitto conseguito e il comportamento successivamente tenuto dall'agente, ai
sensi dell'art. 7, d.p.r. 25 ottobre 1981 n. 737 .
L’inasprimento delle sanzioni penali è l’unica cosa positiva .
Il controllo è demandato all'autorità giudiziaria che necessariamente è meno veloce di quella amministrativa.
La pena edittale minima per il peculato
passa a quattro anni (fino a dieci), art. 314, comma 1, c.p.
Il reato di concussione è punito con la reclusione da sei
a dodici anni, art. 317 c.p.
La richiesta di patteggiamento ha, però, effetti
perversi poiché esclude la possibilità dell’applicazione
delle pene accessorie della interdizione perpetua.
Essa si applica solo per una pena di
reclusione superiore a tre anni.
La pena edittale del peculato passa da
quattro anni - minimo edittale meno un terzo per il rito e un terzo per le
attenuanti generiche - a ventidue mesi.
La pena edittale della concussione passa
da sei anni - minimo edittale meno un terzo per il rito e un terzo per le
attenuanti generiche - a trentadue mesi.
Restano le difficoltà di coordinamento fra
la normativa sanzionatoria penale e quella amministrativa. La sanzione della
destituzione deve coll'attuale sistema essere pronunciata dall'amministrazione con la tutela attribuita al giudice amministrativo.