ATTI
EMULATIVI
Il divieto degli atti emulativi.
Sono
definiti dalla dottrina atti emulativi quei comportamenti con i quali il
proprietario abusa del potere attribuitogli dall’ordinamento, danneggiando
altri senza ottenere per sé medesimo alcun vantaggio.
La relazione
al codice civile afferma che il divieto degli atti emulativi ribadisce un
principio di solidarietà tra privati e pone nell’utilizzazione dei beni una
regola conforme all’interesse della collettività.
La richiesta
esplicita del concorso dell’animus nocendi è stata poi ritenuta
necessaria per evitare che la norma venga applicata con eccessi pericolosi.
Da un lato
tuttavia la relazione considera il divieto un limite al diritto di proprietà,
che asseconda la pretesa tendenza anti individualistica del codice, dall’altro
pone la necessità di ricercare l’animus nocendi, che si presenta come
un’ultima difesa di quell’individualismo che la nuova normativa voleva
eliminare; essa risulta quindi contraddittoria (De Martino 1976, 152 ss.)
Secondo la
dottrina e la giurisprudenza prevalenti è necessario provare l’animus nocendi,
visto come intenzione maligna di recare offesa, ma così facendo diventa inutile
l’altro requisito richiesto per l’atto emulativo, vale a dire la mancanza di
utilità per il proprietario.
Poiché,
infatti, è difficile riuscire a provare specificamente l’intento di nuocere, se
viene anche a cadere la possibilità di richiedere una giustificazione,
soddisfatta da un apprezzabile interesse del proprietario, si riduce al minimo
la possibilità che l’art. 833 c.c. trovi una concreta applicazione.
Non
costituisce atto emulativo il comportamento di colui il quale abbia acquistato
una striscia di terreno, in sé priva di utilità edificatoria, antistante un
fabbricato con vedute a distanza inferiore alla legge, facendosi rilasciare dai
venditori - confinanti il preventivo consenso a mantenere ed aprire delle
vedute in deroga alle distanze legali e successivamente, non avendo ottenuto
l'aggiudicazione del medesimo ai pubblici incanti, eserciti nei confronti
dell'aggiudicatario l'azione diretta a far ridurre a luci le vedute
(Cass. civ.,
sez. II, 3 aprile 1999, n. 3275, NGCC, 2000, I, 85, nota Calvari).
Il divieto
degli atti emulativi, così configurato, diventerebbe solo una derivazione del dettato
dell’art. 2043 c.c., anche se con specifiche differenze (Dossetti 1988, 1).
La
giurisprudenza considera sicuramente non emulativo l’atto che tende ad ottenere
il riconoscimento giudiziale del diritto leso.
Per aversi
atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio
del diritto non arrechi utilità al proprietario ed abbia solo lo scopo di
nuocere o recare molestia ad altri.
Non può
considerarsi emulativa la domanda di eliminazione di una veduta aperta dal
vicino a distanza illegale, ex artt. 905, 906 c.c., che tende al riconoscimento
della libertà del fondo ed alla rimozione di una situazione illegale e
pregiudizievole.
(Cass. civ.,
sez. II, 26 novembre 1997, n. 11852, GCM, 1997, 2273).
La natura
stessa dell’atto teso al riconoscimento dei propri diritti esclude ogni scopo
emulativo, senza che l’accertamento giudiziario debba acclarare se ci sia stato
un danno per il soggetto passivo dell’azione, poiché tale elemento non vale a
qualificare giuridicamente la fattispecie.
Non può
qualificarsi come atto emulativo, vietato dall'art. 833 c.c., la pretesa del
proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio contro il vicino il
rispetto di un obbligo contrattuale, come l'osservanza nelle costruzioni della
distanza pattiziamente stabilita, senza che rilevi che tale violazione non si
sia tradotta in un danno concreto ed effettivo
(Cass. civ.,
sez. II, 19 febbraio 1996, n. 1267, FI, 1996, I, 2464).
Gli elementi
costitutivi dell’atto emulativo. Il comportamento vietato.
Gli elementi
costitutivi dell’atto emulativo sono indicati dalla prevalete dottrina nei
requisiti che deve avere il fatto posto in essere dal soggetto attivo che viene
definito come comportamento vietato.
L’azione
deve avere i seguenti requisiti: 1) lo scopo di nuocere; 2) l’assenza di
utilità per l’agente; 3) il danno e la molestia per il soggetto destinatario
dell’azione (De
Martino, Resta e Pugliese 1976, 156).
Il
comportamento vietato, secondo l’interpretazione dominante, deve realizzare un facere
e, di conseguenza, un comportamento omissivo non può essere ritenuto emulativo.
Altra
dottrina tuttavia considera una simile conclusione come dovuta ad una analisi
rigidamente letterale dell’art. 833 c.c.
Per quanto
riguarda l’interpretazione giurisprudenziale, le sentenze sono alterne.
In un caso è
stato deciso che non rientra nell’ipotesi di atto emulativo l’inerzia di un
proprietario di un appartamento localizzato in un immobile distrutto in seguito
ad eventi bellici, che ostacolava la ricostruzione dell’appartamento
sovrastante (App. Catania, 19 marzo 1955, GIR, 1955, voce Proprietà, n.
1).
La
giurisprudenza non ha ritenuto che il comportamento omissivo possa ritenersi
atto emulativo perché contrasta con la dizione letterale della norma che richiede,
in ogni caso, l’esecuzione di un atto.
Ritenere che
l'atto emulativo possa consistere anche in una condotta omissiva, costituisce
violazione dell'art. 833 c.c. sia perché la norma, letteralmente, vieta al
proprietario il compimento di "atti"; sia perché non è configurabile
un atto emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo autore, ed invece, il
non fare, determina sempre un vantaggio in termini di risparmio di spesa e/o di
energia psicofisica
(Cass. civ.
sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250, FI, 1998, I, 69, nota Moliterni,
Palmieri, NGCC, 1998, I, 605 nota Caserta).
Un’altra
decisione sembra, invece, ritenere che un comportamento omissivo possa essere
emulativo.
Nella specie
si tratta del rifiuto di somministrare acqua irrigua da parte di una società
concessionaria, che portava come giustificazione il fatto che il giudice le
aveva imposto di utilizzare esclusivamente cavi propri, mentre risultava che la
stessa società avrebbe potuto servirsi di cavi altrui, in quanto la loro
utilizzazione rientrava nella concessione (Trib. Vercelli, 2 maggio 1949, FP,
1950, I, 322).
In altri
casi è stato parificato al non facere l’opposizione al fare di altri,
dato che è manifestazione non di una iniziativa, ma di una reazione a questa.
E’ stato
considerato come atto emulativo dalla giurisprudenza l’opposizione di un
condomino all’ammodernamento di un edificio, quando costui agisca unicamente
allo scopo di apportare agli altri condomini il maggior danno possibile senza
che gli venga il minimo vantaggio dall’opposizione (App. Torino, 12 maggio
1971, GI, 1973, I, 2, 1146).
Non
costituisce, invece, atto emulativo il comportamento dell’amministratore di
condominio inteso a ripristinare il diritto violato.
Non
costituisce atto emulativo l'azione dell'amministratore di un condominio per la
cessazione dell'abuso di un bene comune da parte di un condomino che,
servendosene a vantaggio della sua proprietà esclusiva, lo sottrae alla
possibile utilizzazione comune, anche se non ancora attuale.
Nella specie
escavazione per ampliare i locali sotterranei del sottosuolo, destinato anche
al passaggio di tubi e canali
(Cass. civ.
sez. II, 30 dicembre 1997, n. 13102, GCM, 1997, 2452).
Il comportamento
vietato deve configurarsi come abuso del diritto nel senso più esteso,
configurandosi anche tale agire nelle relazioni sindacali fra datore di lavoro
e lavoratori.
In tema di
condotta antisindacale, l'intenzionalità del comportamento del datore di lavoro,
mentre è irrilevante nel caso di comportamento contrastante con norma
imperativa, può assumere rilevanza quando la condotta del medesimo, pur se
lecita nella sua obiettività, presenti i caratteri dell'abuso di diritto.
In questo
caso, infatti, l'esercizio del diritto da parte del titolare si esplicita
attraverso l'uso abnorme delle relative facoltà ed è indirizzato a fine diverso
da quello tutelato dalla norma assumendo quindi - in coerenza con la norma
dettata dall'art. 833 c.c., in materia di proprietà - nel campo delle
obbligazioni, e del rapporto di lavoro in particolare, carattere di illiceità
per contrasto con i principi di correttezza e buona fede, i quali assurgono a
norma integrativa del contratto di lavoro in relazione all'obbligo di solidarietà
imposto alle parti contraenti dalla comunione di scopo che entrambe, sia pure
in diversa e talora opposta posizione, perseguono.
(Cass. civ.,
sez. lav., 8 settembre 1995, n. 9501, DL, 1997,II, 288 nota Marazza.
Cass. civ., sez. lav., 20 novembre 1997, n. 11573, NGiL, 1997, 693).
Lo scopo di
nuocere.
Ai sensi
dell’art. 833 c.c. sono da considerarsi emulativi gli atti del proprietario che
hanno il solo scopo di nuocere o di arrecare molestia.
La dottrina
prevalente considera necessaria l’intenzione specifica del proprietario di
recare danno, poiché ritiene che il legislatore abbia espresso l’esigenza della
presenza di una componente psicologica nell’atto emulativo, identificata
appunto nell’animus nocendi (De Martino 1976, 156).
Tale
interpretazione dell’art. 833 c.c. lo rende praticamente inapplicabile, vista
la difficoltà di provare l’intento nocivo del proprietario, che è un
atteggiamento interiore, e ancor più perché l’onere della suddetta prova,
secondo i principi generali in materia, spetterebbe a colui che afferma di aver
subito il danno.
La formula
usata dal legislatore è stata allora sottoposta ad altri criteri
interpretativi.
Alcuni
considerano che fine dell’atto, ai sensi dell’art. 833 c.c., deve essere
ritenuto non tanto l’intenzione dell’agente, ma il risultato che l’azione
provoca, dato che, perché un atto sia definito emulativo, è necessario che esso
porti danno o molestia e non può essere definito tale quello con cui il
proprietario solamente intenda nuocere(Dossetti 1988, 2).
Viene così
ridimensionato l’elemento intenzionale come autonomo requisito dell’atto
emulativo.
Perché si
abbia un atto di emulazione è necessaria la presenza di due elementi, l'uno
oggettivo, e cioè l'assenza di utilità per il proprietario, l'altro soggettivo,
cioè l'animus aemulandi o nocendi, ossia l'intenzione di
nuocere o di recare molestia ad altri. Si è, dunque, al di fuori di tale
ipotesi quando concorra un apprezzabile vantaggio del proprietario da cui
l'atto è stato compiuto.
(Cass. civ.,
sez. II, 25 marzo 1995, n. 3558, GI, 1996, I, 1, 378).
La
giurisprudenza non ravvisa detto requisito nelle azioni a tutela della
proprietà, quale quella, ad esempio, a tutela delle distanze, che sono tese a
raggiungere gli scopi di tutela previsti dal legislatore ed escludono quindi a
priori un’eventuale intenzione di nuocere al convenuto.
Per aversi
atto emulativo vietato ai sensi dell'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di
esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in
essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, per cui non è
riconducibile a tale categoria di atti l'azione del proprietario che chieda
l'eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale.
Nella specie
si è escluso che avesse natura di atto emulativo l'acquisto di una striscia di
terreno antistante l'immobile in cui si aprono le vedute, in vista
dell'aggiudicazione poi mancata del medesimo in sede di asta pubblica, nonché
dell'esercizio dell'azione di rispetto delle distanze legali.
(Cass. civ.,
sez. II, 3 aprile 1999, n. 3275, GCM, 1999, 756).
Per aversi
atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio
del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e che sia stato posto in
essere con il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri.
Non è
riconducibile a tale categoria di atti l'azione del proprietario che chieda la
riduzione della costruzione realizzata dal vicino in violazione delle distanze
legali.
(Cass. civ.,
sez. II, 3 dicembre 1997, n. 12258, GCM, 1997, 2321).
Parimenti a
contrariis la giurisprudenza non ha riconosciuto carattere emulativo né
all'attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione delle
norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, in quanto
comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il
mantenimento dell'opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con dette
norme
Tale
vantaggio, salva l'ipotesi dell'inosservanza delle distanze legali e di un
provvedimento amministrativo di riduzione in pristino, rientra sempre nel
legittimo esercizio dei poteri del proprietario, sia in relazione a possibili
diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto, sia con riferimento ad una
eventuale abrogazione delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri cui
l'interessato dovrebbe altrimenti soggiacere per ridurre in pristino lo stato
dei luoghi.
Gli atti
emulativi, vietati dall'art. 833 c.c., sono caratterizzati, oltre che
dall'elemento oggettivo del danno e della molestia altrui, anche dall'animus
nocendi, consistente nell'esclusivo scopo di nuocere o molestare i terzi
senza proprio reale vantaggio.
(Cass. civ.,
sez. II, 8 maggio 1981, n. 3010).
L’assenza di
utilità.
Il dettato
dell’art. 833 c.c. può anche essere interpretato nel senso che lo scopo di
nuocere deve essere esclusivo e, quindi, un’utilità anche minima dell’atto per
il proprietario ne sarebbe una giustificazione sufficiente (Dossetti 1988, 3).
Per aversi
atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. occorre il concorso di due elementi:
a) che
l'atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al proprietario;
b) che tale
atto abbia il solo scopo di nuocere o arrecare molestia ad altri.
(Cass. civ.,
sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9998, GCM, 1998, 2046).
Secondo
certa giurisprudenza, addirittura, l’intenzione di procurarsi un vantaggio,
anche se illecito, da parte del proprietario impedirebbe che l’atto venga considerato
come emulativo.
Per aversi
atto emulativo vietato dalla legge, ex art. 833 c.c., non è sufficiente che il
comportamento del soggetto attivo arrechi nocumento o molestia ad altri,
occorrendo altresì che il fatto sia posto in essere per tale esclusiva
finalità, senza essere sorretto da alcuna giustificazione di natura
utilitaristica del punto di vista economico e sociale.
Non compie
atto emulativo il proprietario che ponga in essere atti che, pur arrecando
nocumento o molestia ad altri, siano soggettivamente intesi a procurargli un
vantaggio, ancorché contrario all'ordinamento giuridico.
(Cass. civ.,
sez. II, 6 febbraio 1982, n. 688, GI, 1983, I, 1, 144).
Detta
interpretazione è leggermente mitigata dal riferimento al principio generale
espresso dall’art. 1322, 2° co., c.c., in base al quale solo interessi tutelati
dall’ordinamento giuridico sono rilevanti per il diritto.
Di
conseguenza l’azione nociva del proprietario può essere discriminata solo
qualora concorrano interessi socialmente apprezzabili.
In realtà,
secondo certa giurisprudenza, la condotta negativa del proprietario viene
giustificata dalla presenza di apprezzabili vantaggi oppure di apprezzabili
motivi.
La
sussistenza di un atto di emulazione postula il concorso di un elemento oggettivo,
consistente nell'assenza di utilità per il proprietario e di un elemento
soggettivo, costituito dall'animus nocendi, ossia l'intenzione di
nuocere o di recare molestia ad altri.
Pertanto, si
è al di fuori dell'ambito dell'art. 833 c.c. quando ricorra un apprezzabile
vantaggio del proprietario da cui l'atto sia stato compiuto.
(Cass. civ.,
sez. II, 25 marzo 1995, n. 3558, GCM, 1995, 690).
Anche
seguendo questo criterio l’efficacia dell’art. 833 c.c. è minima e pure con
questa interpretazione non si tengono in nessun conto i valori di solidarietà
tra privati e di conformità all’interesse della collettività riportati proprio
dalla relazione al codice. |
Certa
dottrina ritiene che l’art. 833 c.c. sia formulato in base ad un principio
generale che sovrintende anche all’esercizio del diritto di proprietà.
Ne consegue
che, nel caso sia necessario il controllo sull’utilità dell’atto, questo deve
essere effettuato valutandone la proporzione con il danno o con la molestia che
è stato arrecato all’altra parte in causa e il carattere emulativo risulterebbe
dalla sproporzione fra il sacrificio di questa e l’utilità anche apprezzabile
ricavatane dal proprietario.
La
giurisprudenza considera sicuramente non emulativo l’atto che tende ad ottenere
il riconoscimento giudiziale del diritto leso.
A fronte
dell'esercizio del diritto da parte del terzo al rispetto delle norme
urbanistiche non e' in alcun modo utilizzabile la nozione di atti di emulazione
col commesso divieto (art. 833 c.c.) in quanto va ritenuto che l'art. 31, 8°
co., l. 17 agosto 1942 n. 1150 – che afferma che chiunque può ricorrere contro
il rilascio della licenza edilizia - ha posto un'azione rientrante fra quelle
di "status", quale l’appartenenza ad una collettività organizzata e
non un'azione a difesa della proprietà quale è quella ex art. 833 c. c.
(T.A.R.
Puglia, sez. II, Bari, 29 agosto 1996, n. 478, T.A.R., 1996, I, 3899).
Non può
qualificarsi come atto emulativo (vietato dall'art. 833 c.c.) la pretesa del
proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio contro il vicino il
rispetto di un obbligo contrattuale, come l'osservanza nelle costruzioni della
distanza pattiziamente stabilita, senza che rilevi che tale violazione non si
sia tradotta in un danno concreto ed effettivo
(Cass.
civile sez. II, 19 febbraio 1996, n. 1267, FI, 1996, I, 2464).
Per aversi
atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio
del diritto sia privo di interesse ed utilità per colui che lo compie e che sia
stato posto in essere al solo scopo di nuocere o recare molestia ad altri.
Non è
riconducibile alla categoria degli atti emulativi l'azione del proprietario che
chiede la riduzione della costruzione realizzata dal vicino violando gli
accordi negoziali sulle dimensioni del manufatto ed arrecando pregiudizio
estetico
(Cass. civ.,
sez. II, 16 gennaio 1996, n. 301, GCM, 1996, 58).
Il danno e
la molestia.
Solo l’atto
che nuoce o reca molestia può essere considerato emulativo.
Il danno è
un requisito essenziale dell’atto che si ritiene emulativo Esso deve essere
provato dal ricorrente.
La
sussistenza di un atto di emulazione postula il concorso di un elemento
oggettivo, consistente nell'assenza di utilità per il proprietario e nel danno
o molestia altrui, e di un elemento soggettivo, costituito dall'animus nocendi
ossia dall'intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri
(Trib.
Napoli, 20 febbraio 1997, GM, 1998, 33).
Il
legislatore, utilizzando il termine molestia, ha voluto mettere in evidenza che
non è necessario che derivi un danno in senso tecnico dall’atto (Allara 1959,
37), ma è sufficiente che esso crei un pericolo per il terzo (De Martino 1976,
153).
Di
conseguenza, nella nozione di danno o molestia, data l’indeterminatezza
dell’espressione legislativa, possono essere comprese le situazioni più varie,
quali, ad esempio, la limitazione di comodità, di utilità o di facoltà dei
terzi.
In
giurisprudenza è stato giudicato atto emulativo il fatto di aver realizzato una
piantagione con il solo scopo di togliere alla villa confinante la veduta
panoramica (Dossetti 1988, 3).
Non può
qualificarsi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. la pretesa del
proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio i diritti che gli
competono per legge o per contratto che assume violati ed è irrilevante che
tale violazione non si sia tradotta in un suo danno concreto ed effettivo.
(Cass. civ.,
sez. II, 11 settembre 1998, n. 9001, GCM, 1998, 1887).
La tutela.
L’atto
emulativo viene inquadrato dalla prevalente dottrina nello schema generale
dell’art. 2043 c.c., sia pure come figura speciale in relazione ai particolari
requisiti richiesti perché si possa verificare questa fattispecie (Dossetti
1988, 5).
Taluni sono,
invece, contrari a tale inquadramento poiché in tal caso il soggetto attivo
dovrebbe essere ritenuto responsabile anche nel caso di mera colpa in contrasto
col richiesto requisito dell’animus nocendi.
Secondo le
regole generali il proprietario che compie atti di emulazione può essere
perseguito con azione tesa al risarcimento del danno e se possibile la
reintegrazione in forma specifica.
La
violazione all’obbligo di cui all’art. 833 c.c. determina: 1) il diritto del
privato, rispetto al quale si è verificata la violazione, di richiedere la restitutio
in integrum; 2) il diritto dello stesso privato al risarcimento del danno
patrimoniale ove ricorrano gli estremi del comportamento antigiuridico
(Allara
1959, 33).
L’azione è
da esperire solo qualora non si siano tipici rimedi di tutela.